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 2010  novembre 10 Mercoledì calendario

Bekoff: gli animali non possono permettersi di essere malvagi come l’uomo - Gorilla compassionevoli, ratti altruisti, pipistrelli che prestano volontariato, lupi rispettosi delle regole e scimpanzé onesti, a volte anche più di noi

Bekoff: gli animali non possono permettersi di essere malvagi come l’uomo - Gorilla compassionevoli, ratti altruisti, pipistrelli che prestano volontariato, lupi rispettosi delle regole e scimpanzé onesti, a volte anche più di noi. Ogni anno la linea che divide gli uomini dagli altri animali viene spostata e adesso, dopo le abilità cognitive e quelle emotive, è la volta della moralità. «Mi piace pensare - spiega Marc Bekoff, professore di Ecologia e Biologia Evolutiva all’Università di Colorado-Boulder - che il motto per la continuità evolutiva tra gli uomini e gli altri animali sia: se noi l’abbiamo, allora anche loro ce l’hanno. Già Charles Darwin sosteneva che la differenza tra le specie è una differenza per grado e non per qualità: a definire noi e gli altri animali è una scala di grigi, mai il bianco e il nero. E’ buffo che siamo pronti ad accettare questa continuità in fisiologia e in anatomia, ma che non riusciamo ad accettarla in campo emotivo e morale». Professore, lei è autore, con Jessica Pierce, del libro «La vita morale degli animali»: che cosa intende esattamente per moralità? «Definisco la moralità come un’insieme di comportamenti correlati e indirizzati verso gli altri, volti ad ampliare e regolare le complesse relazioni all’interno dei gruppi sociali». Una cooperazione che, però, nel mondo animale può essere spiegata con l’«egoistico» vantaggio che si ricava geneticamente nell’aiutare i parenti o qualcuno che prima o poi ricambierà il favore. Perché e quando scomodare la moralità? «Sono d’accordo che non basti rilevare i comportamenti cooperativi o altruistici, altrimenti potremmo attribuire la moralità anche ad api e formiche. Al contrario, bisogna considerare morali gli animali che mostrano forme complesse di cooperazione. I requisiti minimi devono essere un certo grado di complessità sociale, la presenza di norme comportamentali stabilite, capacità cognitive avanzate, oltre che l’abilità di prendere decisioni basate sulla percezione del passato e del futuro». Può fare qualche esempio? «Una ricerca ha evidenziato come i ratti mostrino un altruismo generalizzato, ossia aiutano un ratto sconosciuto a ottenere del cibo, se a loro volta in passato sono stati aiutati da un estraneo. E, per quanto riguarda la cooperazione, è stata osservata una femmina di pipistrello che aiutava a partorire un’altra femmina non imparentata, mostrandole il modo corretto di stare appesa». Sono esempi singoli, ma esiste un comportamento generico che, secondo lei, rappresenti al meglio il suo concetto di moralità animale? «Uno degli esempi che preferisco è quello del gioco. Quando gli animali giocano, cercano di capire e rispettare le regole, tentando di comunicare nel modo più leale le proprie intenzioni. Nel gioco onesto ci sono 4 regole fondamentali: chiedi se il tuo compagno vuole giocare, sii onesto, segui le regole e, se sbagli, ammetti l’errore. Quando i lupi giocano, si mordono, si montano, si spintonano, usano comportamenti che sono usati anche durante lotte e accoppiamenti. Perciò, visto che queste azioni possono essere mal interpretate, è fondamentale che gli animali siano chiari su cosa vogliono e cosa si aspettano». E se uno infrange le regole? «E’ raro, ma succede. Diverse ricerche che ho condotto sui coyote hanno dimostrato che chi non gioca onestamente paga un conto salato. Viene emarginato dal gruppo». Sembra emergere un legame tra moralità e socialità. E’ così? «Assolutamente sì. La moralità è un collante, è una strategia adattativa per la vita sociale: esiste quindi un legame stretto tra evoluzione morale e sociale. La mia ipotesi è che un’aumentata complessità sociale sia legata a comportamenti morali elaborati e ricchi di sfumature». Oltre al gioco, in quali comportamenti c’è moralità? «Ho suddiviso i comportamenti morali in 3 categorie correlate: il gruppo della cooperazione, quello dell’empatia e quello della giustizia. Nel primo rientrano comportamenti quali l’altruismo, la reciprocità, la lealtà e la fiducia; nel secondo la compassione, il dispiacere e la capacità di consolare; nel terzo la condivisione, l’equità, la correttezza e la capacità di perdonare». E’ necessario capire un altro individuo, ossia provare empatia, per comportarsi moralmente? «In un certo senso sì. Penso a una ricerca sui cercopitechi: le scimmie venivano addestrate a inserire un gettone in una fessura per ricevere del cibo. La femmina più anziana non riusciva a svolgere questo compito. Il partner, dopo aver assistito a diversi tentativi a vuoto, ha raccolto il gettone e l’ha inserito nella macchina. Poi ha lasciato la ricompensa alla femmina. Avrebbe potuto tenere per sé il premio, ma non l’ha fatto. Aveva capito le intenzioni della femmina e l’aveva aiutata senza alcun tornaconto». Tra i comportamenti morali, quello più difficile da accettare è quello sulla giustizia. Come si può dire se un animale distingue ciò che è giusto da ciò che è sbagliato? «Esistono numerosi esperimenti sui primati focalizzati sull’avversione per l’ingiustizia, una reazione negativa che insorge quando vengono violate le aspettative sulla distribuzione equa delle ricompense. La difficoltà ad accettare questa caratteristica è dovuta al modo in cui la giustizia è intesa nel nostro sistema culturale, come un insieme di concetti astratti. La moralità, tuttavia, come la giustizia per gli animali, non è una questione astratta. Comprende, infatti, comportamenti molto “pratici”: come le punizioni degli imbroglioni, degli scrocconi e dei bugiardi». Per esempio? «Nello zoo di Arnhem, in Olanda, gli scimpanzé sgridano quelli che arrivano in ritardo per il pasto, perché nessuno può mangiare se non sono tutti presenti». E quindi qual è la conclusione? «La giustizia si manifesta in relazione con le specifiche aspettative sociali di una specie e di un individuo e non da standard universali. Quello che è giusto per uno scimpanzé non è detto che lo sia anche per l’uomo». Se gli animali sono morali, possono essere anche immorali? «Le vite degli animali sono delle vere soap operas. Come noi, creano delle amicizie, mentono, rubano, fanno delle brutte figure quando vengono scoperti, flirtano e vanno in bianco, litigano e chiedono scusa. Insomma anche tra loro ci sono le mele marce e i cittadini onesti. Ma voglio sottolineare che la maggior parte dei loro comportamenti sono di tipo cooperativo. Nonostante i documentari vogliono farci credere in una natura con i denti insanguinati, tra gli animali regna molto di più la collaborazione che la competizione. Alcuni studi sulle proscimmie hanno mostrato che il 93% delle relazioni sociali sono di natura positiva, mentre nei gorilla la percentuale sale al 95%». Lei pensa che in un’ipotetica gara tra l’uomo e gli altri animali, sul campo della moralità, perderemmo di diverse lunghezze? «Sotto un certo punto di vista, sì. Gli animali possono comportarsi bene o male, ma non c’è la “malvagità” dell’uomo. La nostra moralità in certi casi è più sofisticata, soprattutto grazie al linguaggio e a complessi codici morali e alla nostra razionalità e coscienza. Inoltre la nostra corteccia prefrontale, responsabile del pensiero razionale e del potere decisionale, è più sviluppata. L’uomo, in fondo, è un mammifero dotato di un gran cervello, egocentrico, arrogante e invasivo. Gli animali non hanno il tempo e il lusso di essere così crudeli. In natura c’è un prezzo altissimo da pagare, quando si è scorretti. Se se sei un coyote e decidi di non giocare secondo le regole, attaccando un compagno, corri il rischio di essere a tua volta ferito. Al contrario, se noi decidiamo di lanciare un missile non mettiamo a repentaglio la nostra incolumità. Perciò, se lei mi chiede se gli animali sono più morali di noi, le rispondo: sì!».