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 2010  novembre 10 Mercoledì calendario

La tribù che non si lascia scoprire (2 articoli) - Gli indiani Ayoero dicono che non importa se questa è una spedizione scientifica

La tribù che non si lascia scoprire (2 articoli) - Gli indiani Ayoero dicono che non importa se questa è una spedizione scientifica. Tanto finirà come sempre. Finirà che molti di loro moriranno. Ma anche molti bianchi ci rimetteranno la pelle. Perciò proprio non ce la fanno a capire il senso di questa partita. Il nemico stavolta non è un proprietario terriero brasiliano e neppure qualche milionario di Asuncion. A costringerli a scrivere al presidente Fernando Lugo è il Museo di Storia Naturale di Londra che spinto dal sacro fuoco della conoscenza ha deciso di mandare una spedizione a esplorare le foreste sconosciute del Gran Chaco, nel nord del Paraguay, ai confini con la Bolivia e con l’Argentina. Cento uomini, un investimento da trecentomila sterline per un viaggio di un mese. L’obiettivo: catalogare centina di specie di piante e di insetti. Un mondo mai visto e mai registrato. «Servirà a difendere questo habitat così fragile», spiegano dalle stanze eleganti di Cromwell road. «Sarà un genocidio», replicano i capi tribù. E saranno le malattie a fare una strage. Forse sono vere entrambe le cose. Benno Glauser, responsabile di Iniciativa Amotocoide, associazione che difende gli indigeni, intervistato dal Guardian sostiene che «esiste una evidente minaccia per la vita degli scienziati e di ogni singolo uomo che partecipierà all’impresa». Un folto gruppo di antropologi si è schierato al suo fianco. Il Gran Chaco è un posto diverso da tutti gli altri. Straordinariamente bello e pericoloso. Fino a pochi anni fa gli indiani che ci vivevano erano cinquemila. Adesso la maggior parte di loro è stata costretta ad andarsene, a radunarsi in una riserva vicino alla città di Filadelfia. Bulldozer, missionari fondamentalisti decisi a convertirli e cacciatori di legno e di terra li hanno messi in fuga, finché nel 2005 l’Unesco ha dichiarato la zona riserva di biosfera. Non è bastato per fermare lo scempio, ma in qualche modo l’ha circoscritto. Tra le pieghe di questo massacro circa centocinquanta persone, divise in sei tribù, sono riuscite a nascondere il proprio mondo all’interno della foresta. Ayoero anche loro. Esseri umani che non hanno mai avuto un contatto con gli occidentali. E che non lo vogliono avere. Vivono mangiando maiale selvatico e grandi tartarughe. I leader tribali rifugiati a Filadelfia dicono che queste regioni appartengono a chi le abita. E nella lettera al presidente Lugo hanno scritto che con la spedizione «si corrono troppi rischi. Le persone della foresta muoiono frequentemente per avere contratto malattie per le quali non hanno gli anticorpi. I bianchi lasciano vestiti, spazzatura, tracce di ogni tipo. E’ una questione molto seria. La possibilità di un genocidio è assolutamente reale». Agli Ayoero mancano gli anticorpi dei bianchi e ai bianchi mancano gli anticorpi degli Ayoero. La contaminazione è potenzialmente esplosiva. «Se questa spedizione andasse avanti qualcuno ci dovrebbe spiegare perché gli scienziati inglesi solo per studiare nuove piante e nuovi animali sono disposti a perdere delle vite umane». Jonathan Mazower, portavoce di Survival International, aggiunge che «i contatti con i gruppi isolati sono invariabilmente violenti. Qualche volta fatali e spesso disastrosi». Poi chiama il suo amico Esoi, che un tempo viveva nella foresta. Gli fa raccontare una storia. «Era la fine degli Anni Novanta, ho sentito gli alberi cadere e ho visto un mostro che mangiava tutto. Ho chiamato i miei. Lo abbiamo attaccato con le lance. Ma la sua pelle era troppo dura. Siamo scappati. Adesso sappiamo che si chiamava bulldozer». Vive a Filadelfia, dove ha preso uno strano acne che gli rovina la pelle. Si aggiusta in continuazione i pantaloni. Si sente a disagio con questi vestiti. ANDREA MALAGUTI *** Francesca Casella è da oltre vent’anni la responsabile italiana di Survival, la charity internazionale che assiste le tribù isolate. Quanti sono i popoli isolati nel mondo? «È davvero impossibile sapere esattamente quanti siano ma sappiamo con certezza che esistono: lo provano alcuni incontri fortuiti e le tracce che lasciano dietro di sé: frecce, utensili e case abbandonate in fretta e furia. Il loro numero varia moltissimo: da un solo sopravvissuto fino a cento o duecento persone per gruppo, per un totale di circa cento popoli diversi. In Brasile sono state individuate almeno 40 tribù, 15 in Perù. In Asia li troviamo nelle Isole Andamane e in Nuova Guinea. Il resto vive tra Bolivia, Colombia, Ecuador e Paraguay. Ognuno di questi popoli è unico e le loro lingue, le loro culture e le loro visioni del mondo sono insostituibili». Cosa sappiamo di loro? «Molto poco se non che il loro isolamento è sempre frutto di una scelta obbligata, compiuta per sopravvivere alle invasioni. Spesso sono dei sopravvissuti, o discendono da sopravvissuti ad atrocità commesse in epoche precedenti; violenze che hanno lasciato segni indelebili nella loro memoria collettiva. Talvolta hanno, o hanno avuto, sporadici rapporti con i popoli indigeni più vicini ma, qualunque sia la loro storia personale, nella maggior parte dei casi, la loro fuga continua ancora oggi». Chi li minaccia? «Sono circondati su tutti i fronti, in ogni Paese del mondo. Le compagnie petrolifere e di disboscamento invadono i loro territori in cerca di risorse naturali; i coloni usurpano le loro terre e le convertono in allevamenti di bestiame e aziende agricole. Le strade aprono le porte a bracconieri, missionari fondamentalisti, epidemie e turisti. Le foreste da cui dipendono per il loro sostentamento vengono tagliate a ritmi vertiginosi; la selvaggina è sempre più scarsa. Anche se cercano di sopravvivere all’avanzata della civilizzazione rifugiandosi in luoghi sempre più remoti, mantenersi in salvo sta diventando ogni giorno più difficile». Quali sono i problemi principali di queste popolazioni? «Innanzitutto, il fatto di abitare in alcuni dei territori più ricchi di risorse rimasti al mondo, che molti sono determinati a sfruttare a qualsiasi costo. E poi i pregiudizi. A dispetto di quanti pensano che siano reliquie del passato, reperti archeologici destinati inevitabilmente all’assimilazione culturale ed economica, oppure all’estinzione, la storia dimostra che laddove le loro terre vengono riconosciute legalmente e protette in modo adeguato, il loro futuro è assicurato». Uscire dall’isolamento potrebbe essere anche un’opportunità. Non crede? «Decidere se e quando interagire con gli altri è una decisione che spetta solo a loro. Negare questo principio e imporre loro un malinteso progresso contro la loro volontà è sbagliato. A sancirlo è anche la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni, adottata delle Nazioni Unite nel 2007. I popoli incontattati vivono tutti in modo autosufficiente di ciò che la foresta dona loro. Le loro vite sono profondamente legate a quelle del loro ambiente e, per questo, la protezione delle loro terre e delle loro risorse è fondamentale per la loro sopravvivenza». FRANCESCO MOSCATELLI