Aldo Grasso, Corriere della Sera 9/11 e 10/11/2010, Fabrizio Rondolino, www.thefrontpage.it, in Dagospia 9/11/2010, 10 novembre 2010
TRE COMMENTI A "VIENI VIA CON ME"
(Fazio e Saviano) -
«Madamina il catalogo è questo... pel piacer di porle in lista». E vai con l’elenco dei mali italiani. Fabio Fazio cita illustri personaggi che hanno dato una definizione poco encomiastica degli italiani; la precaria Margherita enumera la lista dei lavori occasionali cui è stata costretta nonostante la laurea; suor Giuliana Galli, quella che lavora al Cottolengo e siede nel cda della Compagnia San Paolo, spiega i buoni motivi per costruire una moschea a Torino. E poi una canzone di Giorgio Gaber, che ci sta sempre bene. Daniele Silvestri canta «E io non mi sento italiano» ma pareva dicesse «Io non mi sento Saviano».
Perché Saviano è Saviano: la sua invettiva contro la macchina del fango, quel meccanismo del potere che diffama sistematicamente i suoi oppositori, non è una novità assoluta, se n’è parlato molto nei giorni passati: la casa di Montecarlo di Fini, il killeraggio nei confronti di Dino Boffo, il dossier contro Caldoro. E poi Giovanni Falcone, la lotta alla mafia, la definizione di Leonardo Sciascia sui «professionisti dell’antimafia», il fango gettato sul magistrato, la santificazione dopo la morte.
Ma stavolta Saviano non pare efficace come in altre occasioni, è ripetitivo, vinto dall’emozione o, ahi lui, stretto nel personaggio Saviano. Altri elenchi ancora: gli insulti a un operatore di call center, i sinonimi di omosessuale, l’inventario delle possibili «espiazioni» dell’omosessualità lette da Nichi Vendola. Ormai ci sono libri e film che si riempiono di elenchi («Caos calmo», «Alta fedeltà», «Manhattan»...) e sarebbe interessante capire se questa mania della classificazione al peggio, se questa tassonomia della foresta dei legni storti è una dura denuncia o, viceversa, denuncia il piacere perverso di porli in lista.
Roberto Benigni non si fa mancare l’elenco delle escort del premier, degli scandali sessuali, dei suoi processi. Si risolleva quando spiega al premier che quando si scrive del male e si va a fondo, si impara dalle favole, dai sogni, dalla fantasia. Le fiabe non dicono che esistono i draghi ai bambini, ma che i draghi possono essere sconfitti.
«Ammazzalo con un libro» è il suo giusto invito al camorrista Sandokan, quello che vuole Saviano morto. Il merito principale di Benigni è stato quello di opporre alla retorica del potere la poesia del giullare, e di cantare «Vieni via con me» di Paolo Conte. Questo è il primo programma tv di governo di unità nazionale. Caso mai cambiasse qualcosa nelle pagine bianche o gialle o nere della nomenclatura italiana.
Aldo Grasso
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Più che un professionista dell’antimafia, Roberto Saviano sembra un ragazzo del Grande Fratello. Conosce una sola espressione del volto, parla soltanto di se stesso e sbanca l’auditel. Del resto, entrambi i programmi sono prodotti da Endemol.
Saviano è un pupazzo che sorride in uno spettacolo scritto, diretto e montato da altri: Loris Mazzetti, il dirigente Rai con mansioni di commissario politico (inquadrato mentre applaudiva soddisfatto l’ennesima battuta contro il suo direttore generale), i furbissimi autori del furbetto Fazio, la cricca di Repubblica, e naturalmente l’agente e l’editore e tutti gli altri che lucrano percentuali sul Wunderkind.
Il post-scugnizzo appariva ieri completamente calato nella parte, e totalmente ignaro del reality pornopolitico che era stato allestito ai piedi del suo monumento. In perfetta buona fede, col cappello di Napoleone, ha veramente creduto di essere come Falcone - elogiato per mezz’ora al solo scopo di parlare di sé -, sebbene una cosa siano le inchieste e un’altra le rimasticature di cronaca; ha veramente pensato che la "macchina del fango" - quel meccanismo messo a punto nei giorni di Noemi da Repubblica, curiosamente non citata - voglia occuparsi di lui; ha veramente immaginato di aiutare la causa omosessuale allestendo un siparietto neoleghista, o di colpire al cuore la Lega avvolgendosi in un tricolore di scena.
7,6 milioni di sinistrati in cerca di un nuovo eroe e di un alibi per la prossima, catastrofica sconfitta, sono rimasti ieri sera incollati al televisore. Il ciclo berlusconiano si conclude là dov’era iniziato: un agitar di manette, un bel primo piano, tanta gente che batte le mani.
Fabrizio Rondolino
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Mi piacerebbe che Roberto Saviano accogliesse queste considerazioni come costruttive. Quando, mattine fa, ho letto la sua presentazione del programma «Vieni via con me» un brivido mi ha percorso la schiena. Per due motivi: il primo è che una fondamentale legge dello spettacolo impone di promettere poco e dare molto (a leggere quell’ articolo sembrava invece che stessimo per assistere alla «Divina commedia» tv); il secondo è che bisogna con tutte le forze rifuggire l’ ingenuità e la retorica. Non si può scrivere una frase del tipo, «Nel racconto televisivo gli articoli sono le luci dello studio, gli aggettivi sono i filmati, i verbi sono i movimenti di scena, le frasi sono le inquadrature, la punteggiatura sono gli ospiti. In un tempo limitato deve entrare tutto: la volontà di raccontare uno spaccato significativo di esistenza e l’ onestà di raccontarla come un punto di vista, non come verità assoluta». Quello che il programma ha dimostrato è che se sei un professionista come Roberto Benigni puoi permetterti di affrontare temi impegnativi anche in modo scherzoso, irridente, ma sempre efficace. E fare tuo il programma, imprimergli il sigillo beffardo del paradosso. Se sei Saviano ti devi accontentare di un compitino, con il rischio di imbozzolarsi nel personaggio e nell’ autocompiacimento. Intendiamoci, «Vieni via con me» (Raitre, lunedì, ore 21,05) è un programma ben sopra la media delle pochezze che la Rai propone, e Saviano ha tutte le ragioni del mondo a portare avanti la sua battaglia. Ma proprio la posta in gioco della sua missione gli imporrebbe di crescere. Il duetto finale con Fabio Fazio era tutto incentrato su un dubbio: restare o andare via dall’ Italia? Nessuno ha la risposta, ma credo che girare il mondo, guardarsi attorno, guardare un’ altra tv, rapportarsi con un universo meno provinciale del nostro gli farebbe un gran bene. E comunque questi sono consigli non richiesti, cioè superflui.
Aldo Grasso (10/11)