UGO MAGRI, La Stampa 8/11/2010, pagina 5, 8 novembre 2010
Berlusconi punta al rimpasto - La certezza cui Berlusconi s’aggrappa, con la forza disperata di chi penzola sul burrone, sta ormai solo ed esclusivamente nella paura altrui, dei deputati e dei senatori che rischiano di tornare a lavorare, come tutti, se le Camere verranno sciolte
Berlusconi punta al rimpasto - La certezza cui Berlusconi s’aggrappa, con la forza disperata di chi penzola sul burrone, sta ormai solo ed esclusivamente nella paura altrui, dei deputati e dei senatori che rischiano di tornare a lavorare, come tutti, se le Camere verranno sciolte. Per cui il premier continua a ripetere: «A dimettermi non ci penso nemmeno, se Fini ha il coraggio mi voti contro. A quel punto li voglio proprio vedere, io, certi suoi deputati che lo seguono sapendo che andranno a casa senza più essere rieletti». Ovviamente non dice solo questo, il Cavaliere. Per quanto Letta e Bonaiuti si sforzino di farlo tacere, è tutta una processione di «pie donne», ministre, sottosegretarie che lo chiamano per consolarlo, e con loro Silvio non resiste al bisogno umanissimo di sfogarsi: «Ho sentito da Perugia un discorso vergognoso, dalla sinistra Fini ha raccolto il peggio del peggio del peggio...». A fedelissimi come Osvaldo Napoli fornisce spunti per denunciare la «spregiudicatezza» di Gianfranco, «non si può essere al tempo stesso presidenti della Camera e picconatori dell’equilibrio politico». Ma poi il sangue gli si raffredda, e Berlusconi ostenta la sicurezza del condottiero prima della battaglia: «State tranquilli, noi andiamo avanti». Ha un piano in mente, che funzioni o meno lo vedremo presto, nei prossimi giorni. Non appena Fini impartirà ai suoi ministri (che poi è uno, Ronchi, più il viceministro Urso, più i sottosegretari Menia e Bonfiglio) l’ordine di dimettersi, a quel punto il Cavaliere salirà sul Colle. Non per gettare la spugna, come gli chiede il rivale; ma per indicare altri quattro nomi a Napolitano. Un rimpasto, insomma, in perfetto stile Prima Repubblica (come del resto la crisi al buio che gli sollecita Fini). Berlusconi scommette che il Capo dello Stato dirà: «D’accordo il rimpasto, ma presentati in Parlamento per verificare se ti reggi ancora sulle tue gambe...». A quel punto lui si recherà davanti alle Camere. E il piano escogitato con i capigruppo Cicchitto, Gasparri e il vicario Quagliariello prevede che il «redde rationem» prenda il via non già da Montecitorio, dove il governo senza Fli sarebbe virtualmente in minoranza, bensì con un dibattito a Palazzo Madama. Già, perché l’ultima volta che si votò la fiducia in Senato (era il 30 settembre) il margine del vantaggio berlusconiano fu lì di 45 voti. Senza i finiani sarebbero stati 25, comunque abbastanza per tirare a campare. Il Cavaliere spera di fare il bis. E quando il dibattito si trasferirà alla Camera con il punto fermo messo al Senato, ecco scattare la paura folle dei «peones», specie quelli senza patria e senza bandiera; ecco traballare (perlomeno nella sua mente) le certezze finiane: «Chi mi voterebbe contro saprebbe perfettamente di condannare a morte la legislatura, dunque ci penserà due volte e non commetterà l’errore». La sua scommessa è di riportare a casa 12-15 voti, quanto basta per ottenere l’«autosufficienza» a Montecitorio, insomma di sfangarla pure stavolta. Però si tratta di un piano molto molto fragile, proprio come il ramo cui Silvio si aggrappa. Basta un nonnulla per farlo saltare. Napolitano potrebbe (in teoria) negare il rimpasto e chiedere una crisi vera; sulla sede del dibattito potrebbe aprirsi uno scontro istituzionale tra Schifani e Fini; infine non è detto che a Palazzo Madama Berlusconi porti a casa la maggioranza, certezze non ve ne sono. Ecco perché in queste ore, nello stesso partito del premier, comincia a circolare l’ipotesi di un «piano B», casomai qualcosa andasse storto e la maionese impazzisse. Piuttosto che correre il rischio di un «governo tecnico» senza Pdl e Lega, da cui verrebbe massacrato sul piano politico e giudiziario, qualcuno azzarda: Silvio stesso potrebbe scegliere il male minore. Cedendo ad altri il volante della coalizione che, se lui ne lasciasse la guida, si ricomporrebbe in un battibaleno, allargandosi magari addirittura a Casini... Il nome del nuovo pilota in quel caso potrebbe essere uno e uno solo, Tremonti. La Lega? «Noi ci potremmo stare», sussurra un esponente di punta del Carroccio, «basta che non significhi tradire Silvio». Comunque vada, per il quarto governo Berlusconi già scorrono i titoli di coda.