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 2010  novembre 06 Sabato calendario

IL PAROLIERE DEL DUCE

Sul finire del 1959, nel­l’anno centenario del­la­seconda guerra d’in­dipendenza, la Rai tra­smise in prima serata un bellissimo sceneg­giato di Anton Giulio Majano in cinque puntate dal titolo Ottocen­to .
Si trattava di un lavoro appas­sionante, ben curato sia per l’at­tenta ricostruzione degli ambienti e degli arredi, sia per il cast che comprendeva nomi di rilievo, da Sergio Fantoni nella parte di Co­stantino Nigra a Mario Feliciani in quella di Napoleone III fino a Lea Padovani in quella dell’imperatri­ce Eugenia e a una giovanissima Virna Lisi. Lo sceneggiato era trat­to dall’omonimo romanzo di Sal­vator Gotta dedicato alle vicende del Risorgimento rivissute attra­verso la figura di Costantino Ni­gra.
Salvator Gotta, del quale ricorre quest’anno il trentennale della scomparsa avvenuta nella riviera ligure dove si era ritirato, è stato non un scrittore non solo prolifico ma anche fra i più amati della pri­ma metà del Novecento. Molti suoi romanzi- una settantina di ti­toli- superarono le 100mila copie, furono tradotti in una decina di lin­gue e furono apprezzati anche da critici severi e attenti come Giusep­pe Ravegnani. È stato calcolato che le vendite dei suoi volumi ab­biano superato il milione di copie.
Quando Tommaso Monicelli lo convinse a scrivere per il rotocal­co Novella il romanzo La signora di tutti , la rivista registrò un balzo: da 180mila a ben 250mila copie. E dal romanzo venne tratto un film, poi presentato e premiato al festi­val di Venezia.
Oggi lo scrittore piemontese (nacque in provincia di Ivrea nel 1887) è quasi dimenticato e da tempo non più presente nei catalo­ghi di editori che sulle sue opere costruirono una fortuna. A tale de­stino hanno contribuito, certa­mente, il mutamento del gusto, ma anche certe preclusioni di na­tura più propriamente “politica” che tendevano a considerare ob­soleti il “ messaggio”e i valori, “na­zionali”, trasmessi nei romanzi di questo scrittore gentiluomo, ca­parbiamente legato alla storia del­l’Italia risorgimentale, sabauda.
In una delle ultime opere, L’al­manacco di Gotta , gustoso excur­sus
autobiografico ricco di aned­doti e notizie sul mondo culturale dell’Italia del primo novecento, egli liquidò con poche parole la questione: «Non intendo nascon­dere- ciò che del resto è risaputo ­la mia fede monarchica e sabau­da. Piemontese di sangue e di spiri­to, non potrò mai distruggere il le­game ( non meno forte di una reli­gione) che mi tiene avvinto ai seco­li di storia durante i quali la Casa di Savoia resse paternamente e glo­riosamente le sorti del mio Pae­se ». A Mussolini e al fascismo si av­vicinò gradualmente, per interces­sione dello scrittore Giuseppe Bru­nati, dopo qualche iniziale diffi­denza, all’indomani dello«sciope­ro legalitario» dell’agosto 1922 e nella convinzione che nel fasci­smo potessero trovare casa, una volta abbandonata la «tendenzia­lità repubblicana», anche coloro che, come lui, si nutrivano del cul­to del Risorgimento.
Per il fascismo Gotta scrisse, nel 1925, su incarico del Direttorio Na­zionale del Pnf e dietro compenso di cinquecento lire, ma anche su richiesta del carissimo compagno di studi e compositore Giuseppe Blanc,l’inno Giovinezza .Blanc ne aveva composto la musica nel maggio 1909 in sole quattro ore su un testo buttato giù in tutta fretta, da Nino Oxilia. L’inno, scritto e composto per un pranzo di lau­rea, ebbe l’onore della stampa: Blanc ne fece tirare 150 copie. Si trattò, insomma, di un «commia­to goliardico» che ebbe fortuna. Fu adottato dagli alpini, che lo udi­rono suonare e cantare dall’auto­re al corso allievi ufficiali. Blanc lo inserì all’interno di un’operetta, Festa di Fiori , e se lo ritrovò poi stampato come Inno degli arditi firmato con il nome di un presun­to autore. A questo punto fece vale­re i suoi diritti su quella musica che gli era cara. Mussolini in perso­na intervenne perché Blanc aves­se «la legittima soddisfazione arti­stica alla quale aspira e alla quale ha evidentemente diritto». Così fu coinvolto Gotta per la stesura del testo.
Gotta e Mussolini non ebbero molti incontri. L’ultimo avvenne ai primi di luglio del 1943, quando lo scrittore, su richiesta del Duce, si recò a Palazzo Venezia per por­targli i tre volumi del romanzo Ot­tocento . Mussolini osservò che, de­scrivendo Costantino Nigra, ave­va omesso di sottolinearne l’ap­partenenza alla massoneria che poteva spiegarne il successo nella cerchia di Napoleone III. E aggiun­se scherzosamente: «Hai avuto pa­ura di me, della censura. E non vo­­levi mettere il tuo bel personaggio in cattiva luce». Poi osservò che lo riteneva, da tempo, maturo per l’Accademia d’Italia della quale non era ancora entrato per la gelo­sia dei colleghi scrittori che, sde­gnando la popolarità, gli rimpro­veravano il fatto di aver pubblica­t­o romanzi a puntate su riviste po­polari.
Che Gotta fosse uno scrittore “di consumo” è fuor di dubbio. Ma i suoi romanzi erano ben diver­­si dalla letteratura popolare, quel­la dei Luciano Zuccoli, dei Lucio D’Ambra,dei Michele Saponaro e via dicendo, se non per altro alme­no per il gusto di una narrazione complessa e articolata che aspira­va a tratteggiare un mondo, quello della borghesia e dell’aristocrazia piemontese prima e italiana poi, attraverso il racconto di vicende fa­miliari che si distendono nel tem­po e si intrecciano con i fatti stori­ci. Sotto questo profilo, fu una del­le espressioni più significative del romanzo “ciclico” e “storico” che non ebbe mai, in Italia, quella for­tuna che al genere arrise per esem­pio Oltralpe secondo una linea che va dalla Comédie humaine di Honoré de Balzac a Les Thibault del premio Nobel Roger Martin du Gard, passando per il ciclo dei Rougon-Macquart di Emile Zola. Cresciuto e formatosi nella Tor­i­no d’inizio del secolo alla scuola di Arturo Graf e del mondo che cir­condava questo illustre poeta e cri­tico letterario, Gotta esordì come romanziere con Il figlio inquiet o, pubblicato nel 1917, in piena guer­ra mondiale e destinato ad essere inserito nel ciclo narrativo dei Ve­la, che segue le vicende di una fa­miglia piemontese dal Risorgi­mento fino all’età contempora­nea e al quale è rimasta legata la sua fama di scrittore. Ma è forse proprio il più breve ciclo di Otto­cento quello che attesta - con una ricerca meticolosa di fonti stori­che, con una ricostruzione minu­ta di ambienti e situazioni, con una attenzione alla psicologia dei personaggi e con una scrittura classica e lineare - la statura di scrittore di Salvator Gotta. Uno scrittore che meriterebbe di esse­re riproposto, se non riscoperto, proprio in occasione delle celebra­zioni dell’Unità d’Italia.