ALESSANDRO URSIC, La Stampa 6/11/2010, pagina 15, 6 novembre 2010
Birmania al voto dopo 20 anni - Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è arrivato ieri sera in India
Birmania al voto dopo 20 anni - Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è arrivato ieri sera in India. Durante il viaggio nel continente asiatico, che durerà dieci giorni, Obama visiterà anche Indonesia, Corea del Sud e Giappone. Il presidente americano resterà in India tre giorni e mezzo, il soggiorno più lungo in un Paese straniero da quando è entrato alla Casa Bianca. In India Obama alloggerà al Taj Mahal Palace Hotel, l’albergo di Mumbai che fu teatro del brutale attentato terroristico che nel 2008 costò la vita a 166 persone. Il presidente incontrerà alcuni fra i sopravvissuti all’attacco. Sono elezioni che il regime militare birmano, ideatore e gestore della «road map verso la democrazia», non può non vincere. E forse non serviranno a nulla. Eppure la scelta stessa di andare al seggio divide la Birmania, stremata da mezzo secolo di dittatura. Perché il voto di domani - pur con l’icona nazionale Aung San Suu Kyi detenuta in casa, 2.200 prigionieri politici in carcere e una partita elettorale in cui i generali sono giocatori e arbitri - è il primo dopo vent’anni. Tanto che anche i membri del regime si chiedono cosa succederà dopo. Si eleggeranno un Parlamento bicamerale e 14 consigli regionali, in oltre 1.150 collegi a turno secco. Con il 25 per cento dei seggi già garantiti ai militari, e un’opposizione che si presenta frammentata e vittima di mille restrizioni, una maggioranza ostile all’attuale giunta è matematicamente impossibile. Senza contare che il generalissimo Than Shwe punta a una vittoria schiacciante del partito di regime Usdp, per oscurare il trionfo del partito di Suu Kyi (conquistò l’80 per cento dei seggi, in elezioni mai onorate) nel 1990. Il controllo della macchina statale sulle operazioni è totale: già si denunciano vaste irregolarità nel voto anticipato per i funzionari, e domenica non ci saranno osservatori stranieri. La Lega nazionale per la democrazia (Nld), guidata dal premio Nobel per la Pace, non c’è più: ha scelto di non partecipare, andando così incontro allo scioglimento forzato. Una costola di dissidenti ha fondato la Forza democratica nazionale (Ndf), che schiera il contingente più nutrito tra i 28 movimenti dell’opposizione, pur correndo in solo il 10 per cento dei collegi. Gli altri hanno una presenza minima, spesso su base regionale. L’unico che può impensierire la giunta è il Partito di unità nazionale (Nup), espressione della vecchia guardia «socialista»: ha piazzato quasi mille candidati. Ma a parte qualche differenza nella politica economica, rimangono contigui al regime. La generazione che ha sofferto la repressione delle manifestazioni del 1988 crede nel boicottaggio, per non legittimare una farsa. Molti inoltre staranno a casa per disinteresse o rassegnazione, a meno di minacce (già segnalate). Ma ci sono anche quelli, in particolare tra gli under 38 alla prima elezione, che sfrutteranno questa possibilità. «E’ tutto marcio, ma almeno abbiamo il diritto di votare», confida Aye Nyein, una giovane programmatrice di Rangoon (Yangon, come l’ha ribattezzata la giunta). E’ questo germoglio di democrazia, pur piantato da un regime che tre anni fa ha sparato sui monaci, a far sperare gli ottimisti. Protetti dall’isolamento della nuova capitale Naypyidaw, solo i militari sanno il perché di questa mossa. Su tutti l’ermetico Than Shwe, 77 anni e al potere dal 1992. Al contrario di altri 27 ex generali, che si presentano al voto da civili, lui non è tra i candidati. Pensa a una dorata pensione o conta di rimanere in sella, magari da presidente eletto da un Parlamento a lui fedele? Ha escogitato un gattopardesco «cambiare tutto perché nulla cambi», o si è reso conto che l’attuale sistema non è sostenibile? Una recente ondata di privatizzazioni ha mostrato come le ricchezze della Birmania rimangano nelle mani della solita cerchia di affaristi, mentre il Paese annaspa tra infrastrutture decrepite e un terzo degli abitanti vive sotto la soglia di povertà, tra costanti violazioni dei diritti umani. Le elezioni non hanno portato concessioni: Suu Kyi è stata esclusa dai giochi, viene data per imminente un’offensiva contro le milizie etniche asserragliate nelle loro enclave nord-orientali. Anche per questo l’Occidente guarda al voto con diffidenza: ha sperato in un cambiamento, e finora non lo vede. Cina e India, specie Pechino con i suoi miliardari investimenti energetici, si sono invece preoccupate di portare avanti i loro affari. La stabilità prima di tutto. Ma se il germoglio mettesse le radici? Le istituzioni tendono ad avere una vita loro, sostengono molti analisti, e la stessa Suu Kyi dovrebbe essere finalmente liberata tra una settimana - anche se si ancora ignora con quali condizioni. Il morale della popolazione è sottoterra, ma si è già visto come le condizioni possano cambiare in fretta, in presenza di una scintilla. Portare la Birmania al voto, si dirà forse in futuro ripensando a questo momento, potrebbe essere stato un primo passo.