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 2010  novembre 08 Lunedì calendario

IL MONDO DIFFICILE DELLE BOUTIQUE

Angela conosce le sue clienti una per una. Non soltanto con nome e cognome: sarebbe banale. Di tutte sa la taglia, la preferenza tra gonna e pantaloni, i colori prediletti, i punti di forza da valorizzare e quelli di debolezza da nascondere con i trucchetti del mestiere. La signorina Angela ha una boutique nel pieno centro di Milano, a pochi passi dal Duomo, dove da quattro decenni vende cappotti e tailleur, abiti da cerimonia e bermuda per l’estate, sciarpe colorate da annodare al collo e cinture strizzavita. Capi anche firmati di quelle linee di "diffusione" di stilisti che sono andati fuori moda o di marchi made in Italy un tempo solidi. Anche la signorina Angelina è andata fuori moda: alle soglie dei 65 anni, ancora in forma, non ha retto la forza d’urto delle catene di fast fashion che stanno divorando ogni spazio libero sulle strade del capoluogo lombardo e del resto del mondo. E sta per abbassare per sempre la saracinesca del negozio che ha creato quando era ragazza con tanti sacrifici.

Il negozio individuale, generalmente gestito da una famiglia e tramandato di generazione in generazione, è ancora il canale predominante nel dettaglio tessile-moda nazionale, ma vive anni di fortissima crisi. Su 28 miliardi di euro di spesa totale degli italiani nel 2009, stimata da Sita Ricerche per conto del Centro studi di Sistema moda Italia, il 37% è riferito appunto al dettaglio indipendente, pari a 10,36 miliardi. Un dettaglio costretto a una profonda evoluzione dall’ascesa stellare delle catene, che rappresentano ormai al 28,4% della spesa totale, con vendite che sfiorano gli 8 miliardi.

In Italia imperversano la spagnola Zara, che con il megastore di corso Vittorio Emanuele a Milano garantisce il più alto incasso al mondo del marchio (identico primato per il neonato negozio Home in piazza San Babila), e la svedese H&M, che il 23 novembre lancerà in tutto il mondo l’attesissima collezione-capsula firmata da Alber Elbaz, direttore creativo di Lanvin, con prezzi massimi di 99,99 euro); ci sono l’altra spagnola Mango, che nei giorni scorsi ha tagliato il nastro di due pop-up store alla stazione centrale del capoluogo lombardo, e l’italiana Motivi del gruppo Miroglio. Alla partita giocano anche l’apripista Benetton e le americane Gap e Banana Republic, in rampa di lancio sulla piazza milanese, mentre si è abbassata quella bizzarra febbre per Abercrombie&Fitch che lo scorso autunno-inverno ha provocato code chilometriche in corso Matteotti a Milano di teenarger desiderosi di comprare le celebri felpe A&F e farsi immortalare con i commessi a petto nudo e muscolosi come Big Jim.

Il fast fashion, insomma, ha messo il turbo: decibel alle stelle, addetti che non salutano impegnati a ripiegare i capi provati ed eliminati, lunghe code ai camerini e alle casse, piace ai consumatori di ogni fascia d’età grazie al prezzo giudicato congruo in una fase di crisi economico-finanziaria internazionale e al frequente inserimento negli store di prodotti freschi (anche un paio di volte alla settimana). Una soluzione impegnativa dal punto di vista produttivo e logistico, che si è rivelata vincente per stimolare la frequenza d’ingresso e invogliare così all’acquisto.

Ma quanti sono i negozi di moda che hanno chiuso i battenti negli ultimi anni? Secondo un’elaborazione Diomedea su dati dell’Osservatorio del commercio del ministero dello Sviluppo economico, tra il 2005 e il giugno 2010 si registrano in Italia 4.422 unità in meno: 3.829 nel tessile-abbigliamento e 593 nelle calzature. Attenzione, però: il dato è un saldo tra aperture e chiusure di negozi indipendenti, e non è possibile calcolare il dato relativo a quanti hanno abbassato effettivamente la saracinesca per sempre.

Quel che invece è certo è il numero di inaugurazioni tra le catene: ben 10.900, sempre tra il 2005 e il giugno 2010, secondo la stessa elaborazione. Un dato nel quale è incluso pure lo sviluppo di quelli che un tempo venivano definiti i "prontisti", cioè aziende produttrici per la stagione in corso, che hanno agganciato il carro del low cost e si stanno affermando come veri e propri retailer, come la Imperial di Bologna.