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 2010  novembre 08 Lunedì calendario

Tanja, la ribelle olandese nella trappola delle Farc - Un’altra giovane donna di origini europee trascorre i suoi giorni con la guerriglia colombiana, nella giungla, esasperando le tensione tra il governo colombiano e la comunità internazionale

Tanja, la ribelle olandese nella trappola delle Farc - Un’altra giovane donna di origini europee trascorre i suoi giorni con la guerriglia colombiana, nella giungla, esasperando le tensione tra il governo colombiano e la comunità internazionale. Questa volta, però, non si tratta di una vittima di sequestro, come nel caso della franco-colombiana Ingrid Betancourt, ma di una ragazza olandese che ha deciso, volontariamente, di prendere il fucile e militare attivamente nelle file delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (Farc). Si chiama Tanja Nijmeijer, ma per i suoi compagni di lotta è semplicemente “Alexandra”. Tanja ha 32 anni ed è diventata parte delle Farc per convinzione. Di lei s’erano perse le tracce dal 2007, quando la connazionale Liduine Zumpolle fece il documentario Vicino a Tanja e pubblicò la sua biografia assieme all’ex guerrigliero León Valencia. Dopo il bombardamento dello scorso 23 settembre, dove è morto il capo Víctor Julio Suárez, alias “Mono Jojoy”, si sono susseguite le voci sulla scomparsa della giovane olandese, l’unica europea che fa parte ufficialmente del gruppo narcoterrorista. Ma la smentita è arrivata dall’istituto di medicina legale, che ha comparato il dna di nove cadaveri con quelli forniti dai familiari di Tanja, e anche dal presidente della Colombia Juan Manuel Santos, che fece vedere delle fotografie di “Alexandra” trovate nel computer di “Mono Jojoy” e che sono state inviate dal capo delle milizie urbane delle Farc Carlos Antonio Lozada. In quelle fotografie Tanja veste una maglietta nera, un pantalone verde militare e stivali di gomma al ginocchio. Ha un fucile sopra le gambe e luce serena, felice. Ci sono fotografie in cui balla e ride con altre donne ribelli, in altre abbraccia il suo fidanzato, il nipote del capo Mono Jojoy. La mamma di Tanja, che non ha notizie sue da più di tre anni, teme il peggio. E chiede all’esercito di verificare se sua figlia sia ancora in vita, visto che quelle fotografie non dimostrano nulla. Dai documenti ritrovati dal computer di Mono Jojoy sono state recuperate alcune email in cui i capi delle Farc si complimentano per le capacità della giovane olandese e per la sua “formazione linguistica”, che ha portato alla decisione di nominarla all’interno della commissione internazionale delle Farc. L’incarico sarebbe stato dato lo scorso 5 aprile. Tanja Nijmeier è arrivata in Colombia nel 2002 determinatissima, con un solo proposito: far parte delle Farc. Prima di raggiungere il suo scopo, questa giovane idealista apparteneva a una famiglia di classe media. Padroneggiava bene il castigliano, dopo essersi laureata in Filologia spagnola presso l’Università di Groningen. Era già stata un paio di volte nel paese sudamericano, nel 2004, per viaggi di cooperazione in cui giovani europei volevano conoscere una vera società marxista-leninista. Ne è rimasta incantata. Tutti sono tornati a casa tranne lei. Tanja non poteva continuare a «riposare nella spazzatura del capitalismo» ed è per questa ragione che ha deciso di lasciarsi alle spalle la sua vita europea per combattere con le Farc. Il 18 giugno del 2007 il villaggio di Tanja, nella foresta, è stato bombardato dall’Esercito colombiano. Lei è dovuta fuggire lasciando tutti i suoi oggetti personali, tra cui il computer di Carlos Antonio Lozada, con annesse informazioni sui prossimi attacchi dell’organizzazione, e il suo diario. Nei suoi racconti, Tanja sembra critica e delusa per molte dinamiche all’interno delle Farc. Dopo il confronto con la realtà del movimento terrorista, tra sequestri e narcotraffico, erano rimaste in vita poche delle motivazioni iniziali di uguaglianza sociale e lotta contro la povertà. Tanja sembra iniziare a sentire nostalgia per la vita passata, tra i caffè di Amsterdam, le stazioni ferroviarie e la famiglia. Uno sfogo, quello del diario, che è proibito a tutti i membri delle Farc perché compromette la sicurezza del gruppo, in presenza di dati sensibili. «Sono tre giorni che siamo nascosti e un elicottero sorveglia la zona. Maledizione, quanti altri giorni dovremmo aspettare? A volte mi sveglio piangendo e con la stessa domanda: sarei stata felice rimanendo in Olanda? Impartendo lezioni, traducendo e lavorando per l’università. Sposa e con figli? Un’incognita che risolvo da sola dicendomi: “La giungla è la mia casa”», scrive Tanja. Il 24 novembre del 2006, dopo aver messo nero su bianco delle critiche sui suoi capi, la ragazza scrive: «Sono stufa. Non sopporto più le Farc, la loro gente e la loro forma di vita». La delusione, forse, non è ancora così forte. O, semplicemente, uscire non è facile come entrare. Paradossalmente, sono molti i punti in comune tra la vita di Tanja e quella di Ingrid Betancourt. Entrambe sono donne con un’alta formazione accademica, con radici in Europa e legami affettivi con la Colombia; hanno vissuto tutte e due nella selva colombiana, tra gli orrori della guerra colombiana. Sono due facce della stessa realtà, sono state due prigioniere della foresta, una volontariamente, l’altra no. Anche il destino, ora, le ripaga diversamente. Ingrid è libera, va in giro a presentare il suo (secondo) libro autobiografico, mentre film e fiction raccontano la sua vicenda. Senza mai fare riferimento all’alter ego guerrigliera, ovviamente. Un finale che sembra felice. Come sarà, invece, quello dell’epopea di Tanja?