la Repubblica Affari&finanza 8 /11/2010, 8 novembre 2010
AKERSON, IL "JOLLY" DI OBAMA PER RIPORTARE LA GM AL LISTINO DI WALL STREET
Scortato da una schiera di manager e banchieri di Wall Street, Daniel Akerson, il nuovo (e ancora sconosciuto) chief executive della General Motors, in queste ore sta girando per il mondo con un lussuoso aereo privato affittato dal colosso dell’auto. Ma come? Non era stato vietato ai dirigenti delle imprese americane salvate con i soldi dello stato di viaggiare con i jet da miliardari? Sì, la proibizione era stata imposta dopo lo scandalo del novembre di due anni fa, quando i capi delle tre Big di Detroit andarono a Washington con i rispettivi velivoli aziendali per chiedere al Congresso gli aiuti di emergenza. Fu considerato uno schiaffo ai contribuenti e uno spreco inutile.
La Gm e la Chrysler, le due case nell’occhio del ciclone, vendettero in tutta fretta la loro flotta, mentre la Ford di Alan Mulally fu l’unica a mantenerla perché, a dispetto della recessione e del tracollo del mercato dell’auto, non fece ricorso a contributi pubblici. Adesso, però, la Gm è riuscita ad avere una deroga: quell’aereo serve ad Akerson e ai suoi per il "road show", cioè per la presentazione a investitori istituzionali e fondi sovrani dell’imminente collocamento di 365 milioni di azioni della "new Gm", cioè quella uscita dalle procedure fallimentari e dalla ristrutturazione, in vista del ritorno a Wall Street fissato per il 18 novembre.
E’ una scadenza, questa di giovedì della settimana prossima, che aprirà un capitolo nuovo nella storia ultracentenaria della più grande industria americana dell’auto. La Gm si libererà dello scomodo e imbarazzante soprannome di "government motors". L’operazione segnerà infatti il ridimensionamento della presenza dello stato nel capitale del gruppo, che scenderà dal 61 al 43 per cento, forse anche meno, e il successo del salvataggio voluto dalla Casa Bianca di Barack Obama. Di qui l’autorizzazione all’uso dell’aereo privato e, più in generale, l’attenzione con cui Washington segue la strada imboccata da Daniel Ackerson.
Anche se il Ceo della Gm è un repubblicano di vecchia data, fu scelto nel luglio 2009 dal ministro del tesoro Tim Geithner in rappresentanza degli interessi dello stato nel board della multinazionale. Ackerson era allora direttore esecutivo del gruppo di private equity Carlyle e non aveva alcuna esperienza nel settore dell’auto. Per questo fu accolto con sospetto. Fino all’ultima crisi, infatti, la Gm aveva sempre cercato di reclutare i suoi top manager tra gli addetti al settore: Rick Wagoner, che l’ha guidata dal 2000 fino al marzo 2009, quando fu defenestrato dalla Casa Bianca, aveva lavorato alla Gm dal 1977. Il suo successore Fritz Henderson era stato assunto dal colosso nel 1984.
Di fronte alla débacle dell’auto americana e alla concorrenza delle case straniere, questa cultura settoriale e insulare dei manager Gm è apparsa come un handicap. E Steven Rattner, il finanziere che ha guidato il team dell’auto di Obama, ha deciso di puntare sugli outsider. Al posto di Henderson è subentrato nel dicembre 2009 Edward Whitacre, excapo della Att e manager di grande valore. E lo stesso Whitacre, non più giovanissimo (69 anni), ha ceduto il primo settembre di quest’anno la poltrona di chief executive ad Akerson e sempre a lui lascerà in eredità quella di presidente dal primo gennaio del 2011.
Nato in California nel 1948, cresciuto nel Minnesota, moglie e tre figli, Akerson è stato formato da una lunga esperienza nella marina militare. Dopo la laurea in ingegneria all’accademia navale di Annapoolis, nel Maryland, e un master alla London school of economics, è stato per cinque anni a bordo di un cacciatorpediniere della US Navy come ufficiale, acquisendo doti di leadership e un approccio molto pragmatico ai problemi, che poi ha messo a frutto nella sua carriera. Per dieci anno ha poi lavorato alla Mci, diventando direttore finanziario. In seguito ha preso il posto di Donald Rumsfeld come presidente e chief executive della General Instrument. Nel 1997 è passato alla Nextel e nel 2003 al gruppo Carlyle.
Negli ultimi mesi Akerson ha affiancato Whitacre nella missione di ristrutturazione e rilancio della Gm, che ha avuto risultati superiori alle aspettative. Dopo che la cura imposta da Rattner e dal governo attraverso un fallimento pilotato aveva ridotto gli organici, abbassato i costi di produzione e ridotto gli oneri finanziari, la "new Gm" ha puntato con decisione su quattro marche (Chevrolet, Buick, Cadillac, GM), vendendo o abbandonando i rami secchi (Saab, Hummer, Pontiac e Saturn). Ha anche rivisto la rete di concessionari, rafforzato i legami con la Cina (che è ormai il maggior mercato mondiale) e accelerato i tempi per le auto elettriche e ibride.
Risultato: le vendite di auto della Gm nello scorso mese di ottobre sono aumentate del 4,2 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, con una quota del mercato nordamericano del 19,3 per cento rispetto al 16,6 della Ford, al 15,3 della Toyota (le cui vendite sono diminuite a ottobre del 27 per cento), al 10,4 della Honda e al 9,5 della Chrysler di Sergio Marchionne (che ha aumentato le vendite del 37 per cento). Anche i conti della Gm vanno benone: nel terzo trimestre gli utili sono stati di 2 miliardi di dollari, al netto di 203 milioni di dividendi pagati per le azioni privilegiate. E il 2010 si chiuderà con un profitto "solido".
In questo contesto la riprivatizzazione, che è la missione numero uno di Akerson, si prospetta in modo molto favorevole, grazie anche all’esuberanza della Borsa americana, il cui indice Dow Jones è tornato ai livelli preLehman Brothers. Il piano per l’Ipo (initial public offering), cioè il collocamento al pubblico delle azioni, è stato studiato nei minimi dettagli in una serie di riunioni tra Akerson e gli attuali azionisti della nuova Gm: i proprietari dei bond della vecchia società (hanno in mano il 9,8 per cento del capitale), il governo canadese e quello dell’Ontario (11,7 per cento), la cassa pensione del sindacato (17,5 per cento) e soprattutto il tesoro americano (61 per cento). L’obiettivo di quest’ultimo era chiaro: rinunciare al più preso alla maggioranza, anche a costo di perdere qualche soldo investito nell’azienda, pur di liberarsi delle accuse mosse dalla destra politica e da Wall Street di "intrusione" nelle aziende private e di "ostacolare" il libero funzionamento del capitalismo.
Secondo i documenti presentati da Akerson alla Sec (e concordati con Ron Bloom, l’exfinanziere della Lazard Freres che ora è l’uomo di punta per l’auto di Geithner), la Gm venderà 365milioni di azioni comuni a un prezzo compreso tra 26 e 29 dollari l’una (la cifra esatta sarà stabilita il 17 novembre) con un incasso previsto di 10 miliardi di dollari. In aggiunta la casa di Detroit, assistita da quattro banche (Morgan Stanley, JPMorganChase, Bank of America Merrill Lynch e Citigroup), incasserà altri 3 miliardi di dollari dal collocamento di azioni privilegiate convertibili molto appetite da alcuni fondi di investimento.
Nel complesso l’Ipo valuta in 41 miliardi il valore attuale della Gm: un po’ meno dei 54 miliardi di capitalizzazione di borsa della Ford e molto meno dei 70 miliardi che occorrerebbero per far rientrare i soldi del salvataggio statale (50 miliardi). Il senatore repubblicano Chuck Grassley ha subito protestato per la perdita che subirebbe il tesoro. "I contribuenti – ha detto – hanno diritto di ricevere fino all’ultimo centesimo della somma versata alla Gm". Ma Geithner e Akerson hanno altre priorità. Sostenuto da Obama, il ministro vuole rinunciare alla partecipazione di controllo e punta a un aumento delle quotazioni in Borsa capace di far lievitare il valore del pacchetto dello stato. Il chief executive vuole invece normalizzare la vita aziendale, liberandosi di condizionamenti politici e di lacciuoli normativi, come ad esempio quello sugli aerei privati e sugli emolumenti dei manager. Lui stesso, del resto, è già riuscito a spuntare un compenso di tutto rispetto: un pacchetto, approvato dal board e ratificato dallo "zar degli stipendi" Kenneth Feinberg, di 9 milioni di dollari dal collocamento di azioni privilegiate convertibili molto appetite da alcuni fondi di investimento.
Nel complesso l’Ipo valuta in 41 miliardi il valore attuale della Gm: un po’ meno dei 54 miliardi di capitalizzazione di borsa della Ford e molto meno dei 70 miliardi che occorrerebbero per far rientrare i soldi del salvataggio statale (50 miliardi). Il senatore repubblicano Chuck Grassley ha subito protestato per la perdita che subirebbe il tesoro. "I contribuenti – ha detto – hanno diritto di ricevere fino all’ultimo centesimo della somma versata alla Gm". Ma Geithner e Akerson hanno altre priorità. Sostenuto da Obama, il ministro vuole rinunciare alla partecipazione di controllo e punta a un aumento delle quotazioni in Borsa capace di far lievitare il valore del pacchetto dello stato. Il chief executive vuole invece normalizzare la vita aziendale, liberandosi di condizionamenti politici e di lacciuoli normativi, come ad esempio quello sugli aerei privati e sugli emolumenti dei manager. Lui stesso, del resto, è già riuscito a spuntare un compenso di tutto rispetto: un pacchetto, approvato dal board e ratificato dallo "zar degli stipendi" Kenneth Feinberg, di 9 milioni di dollari all’anno, di cui 1,7 in contanti e il resto in azioni della società.
E’ molto meno dei 14,9 milioni ricevuti dal suo prdecessore Rick Wagoner nel 2008 e meno dei 17,9 intascati nel 2009 dal suo concorrente Mulally della Ford. Ma Akerson si può accontentare: se il ritorno in Borsa procederà come ci si aspetta e se la Gm continuerà a macinare utili e sfornare auto competitive, la sua permanenza alla testa del gruppo industriale, che fino a pochi anni fa era il primo d’America, potrebbe durare a lungo.