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 2010  novembre 08 Lunedì calendario

SILVIO IV, IL BLUFF DEL LAVORO

Più posti di lavoro, circa due milioni dal 2000 ad oggi. Un bel colpo, si direbbe. In effetti un risultato come questo, ascrivibile in larga parte a chi in questo decennio ha governato per più tempo, e cioè agli esecutivi Berlusconi, dovrebbe costituire un titolo di merito. Ma è veramente così? Non esattamente: intanto, è il centrosinistra, nei pur brevi periodi in cui ha governato, ad avere una media più alta nella creazione di posti di lavoro. Ma la cosa più sorprendente è che la maggiore occupazione creata è andata quasi esclusivamente a favore degli stranieri.Niente di male, ovviamente, evidentemente l’economia italiana ha bisogno di forza lavoro che non si trova nel nostro paese. L’unico problema, casomai, è per il centrodestra con la Lega in prima fila che ha sempre tenuto un atteggiamento platealmente xenofobo, avvalorando presso i suoi elettori l’idea di essere l’alfiere degli interessi degli italiani. Infine: ben il 40% della nuova occupazione creata è stata di tipo precario o insufficiente a fornire un reddito capace di soddisfare le esigenze di una famiglia. Tanto che venerdì scorso il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha lanciato un allarme chiedendo una graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari.
Ma andiamo per ordine. Analizzando i dati sull’occupazione forniti trimestralmente dall’Istat si scopre, come emerge dalle tabelle pubblicate in queste pagine, che durante i governi di centrosinistra (inizio 2000 – giugno 2001, e giugno 2006 – giugno 2008) l’occupazione è sempre cresciuta, per un totale di 850mila unità in 3,5 anni, ossia circa 250mila l’anno. I governi Berlusconi hanno invece alternato ottimi e pessimi risultati. Nei 5 anni trascorsi a Palazzo Chigi tra il 2001 ed il 2006 il Cavaliere ha messo all’attivo ben 1,7 milioni di posti di lavoro, ma nel biennio giugno 2008 – giugno 2010 gli impieghi persi sono stati oltre mezzo milione. Certo, va considerato che quest’ultimo risultato è stato influenzato dalla grande crisi economica e finanziaria scoppiata nel 2008. In definitiva, il premier può vantare la creazione di 1,2 milioni di posti di lavoro, ma in 7 anni, per cui la crescita media annuale è stata di circa 170mila posti l’anno.
Una prima conclusione a cui si arriva facilmente è che, nel decennio che sta per concludersi, i governi di centrodestra non sono stati quelli che hanno contribuito maggiormente all’aumento dell’occupazione nel nostro paese, sul piano del ritmo annuale di crescita.
Ma l’aspetto più sorprendente è che l’incremento dei posti di lavoro, sia sotto i governi di centro sinistra che sotto Berlusconi, è andata a beneficio soprattutto degli stranieri. Per gli esecutivi di centro sinistra non c’è molto da meravigliarsi: hanno sempre detto che gli stranieri che vengono in Italia per lavorare (e quelli che figurano come occupati sono tutti regolari) debbono essere accolti e aiutati. Ma per i governi di centrodestra è un clamoroso paradosso: proprio quelle forze politiche che, soprattutto tramite Bossi e la Lega e in parte anche Alleanza Nazionale (prima che confluisse nel Pdl), hanno combattuto più aspramente l’ingresso in Italia di lavoratori extracomunitari, sono anche quelle che hanno, di fatto, contribuito maggiormente al loro aumento.
Per arrivare a questa inattesa conclusione, occorre partire dal sito dell’Istat dove sono reperibili i dati storici sull’evoluzione del mercato del lavoro italiano. Analizzando questi dati si scopre che dal gennaio 2000 al giugno 2010 sono stati creati in Italia 2 milioni di posti di lavoro in più: gli occupati sono passati infatti da 21 a 23 milioni. Si tratta di una crescita strutturale, in quanto costante nel corso del decennio, sebbene negli ultimi due anni, per effetto della crisi economica, cominciata nella seconda metà del 2008, si sia registrata una perdita di 800mila posti di lavoro, dei quali però 250 mila sono stati recuperati nel secondo trimestre del 2010.
È stato quindi lasciato alle spalle il livello massimo di occupazione, pari a 23,5 milioni di persone, raggiunto nel giugno 2008, prima che Berlusconi riprendesse Palazzo Chigi.
Ma chi ha beneficiato di questi nuovi posti di lavoro? I dati sull’immigrazione regolare, forniti sempre dall’Istat, e accessibili nel suo sito, danno precise indicazioni in merito. Tra la fine del 2001 e la fine del 2009 gli stranieri regolari sono cresciuti quasi di 3 milioni di unità (da 1,3 milioni a 4,2 milioni), dei quali 2,3 milioni maggiorenni. Dato che gli stranieri adulti regolari devono aver un motivo ufficiale per essere residenti in Italia, è ragionevole ritenere che la grande maggioranza di essi sia nel nostro paese per motivi di lavoro. Non è quindi azzardato ipotizzare che circa 2 milioni di stranieri maggiorenni abbiano occupato altrettanti posti di lavoro.
Se questo è vero, ne consegue che l’incremento dei posti di lavoro è stato appannaggio quasi esclusivo degli stranieri, e non degli italiani. Una prima conferma indiretta di questa conclusione si trova guardando i dati dell’Istat sui "disoccupati" e sugli "inattivi" (coloro che hanno tra i 15 e i 64 anni, e che non cercano lavoro). Tra il 2000 ed il 2010 i "disoccupati" sono diminuiti di 400 mila unità, passando da 2,5 a 2,1 milioni, anche se il minimo storico si raggiunse nel giugno 2006, con 1,6 milioni. Gli "inattivi" nel corso del decennio si sono ridotti di sole 200 mila unità (erano 15 milioni nel 2000 e 14,8 a giugno 2010), anche se nel corso del decennio c’è stata prima una riduzione fino a 14 milioni nel 2003, e poi di nuovo una risalita, in particolare negli ultimi anni. Dunque, la riduzione di 600mila persone tra disoccupati e inattivi, fra i quali vi possono essere anche gli stranieri residenti, non può spiegare l’incremento di 2 milioni di posti di lavoro.
A escludere definitivamente che l’aumento degli occupati sia dovuto soprattutto a forza lavoro italiana intervengono i dati demografici: tra il 2001 ed il 2010 il nostro paese ha sperimentato una crescita pari a 3,4 milioni di persone (da 57 a 60,4 milioni). Nello stesso periodo gli stranieri regolari, che sono conteggiati nella popolazione residente, sono aumentati, come già ricordato, di 2,9 milioni di persone. L’incremento della popolazione residente italiana è dunque di circa mezzo milione di persone. Ma, come ricorda la nota dell’Istat del 18 febbraio 2010, l’aumento degli italiani è dovuto solo alla componente degli anziani. Basti pensare che fra inizio e fine decennio le persone di età avanzata (coloro che hanno oltre 65 anni) sono aumentate di 1,9 milioni di unità. Ne consegue che la forza lavoro potenziale composta da cittadini italiani è diminuita in questo decennio di quasi un milione e mezzo di persone. Questo vuol dire che non c’erano persone che potevano occupare i nuovi posti di lavoro. D’altronde le persone con più di 65 anni non vanno certo a ingrossare le file degli occupati, visto che poi da noi l’età pensionabile è in media più bassa.
In conclusione, non possono esservi dubbi sul fatto che dell’incremento dei posti di lavoro registratosi negli ultimi 10 anni abbiano beneficiato quasi esclusivamente gli stranieri.L’ultima conferma di questo trend si ha spulciando i dati annuali sull’immigrazione regolare: durante i governi di Berlusconi (20012006, 20082009) gli stranieri sono aumentati di quasi 2,1 milioni di unità, mentre durante i governi del centrosinistra la crescita è stata di 800 mila unità. Insomma, di fatto la metà degli stranieri oggi residenti regolarmente in Italia, è entrata durante 6 degli 8 anni in cui il Cavaliere è stato a Palazzo Chigi.
Bisogna tenere presente che i dati disponibili partono da fine 2001 e arrivano a fine 2009. Non si è quindi potuto calcolare l’ingresso di stranieri durante il secondo semestre del 2001 (in quanto mancano i dati), né quelli del 2010 (poiché i dati saranno disponibili solo il prossimo anno), periodi in cui Berlusconi ha guidato un esecutivo.
Tenendo presente queste considerazioni, si può con più forza affermare che durante l’ultimo governo di centrosinistra (quello di Prodi) gli stranieri regolari stabilitisi nel nostro paese non sono aumentati ad un ritmo sensibilmente maggiore rispetto a quello registratosi durante gli esecutivi berlusconiani: infatti nel primo caso (Prodi) l’incremento è stato di 410mila persone l’anno, e nel secondo caso (Berlusconi) di 345mila all’anno.
Va detto che si tratta di ritmi di crescita quasi quadruplicati rispetto al decennio precedente, visto che in tutti gli anni 90 gli stranieri regolari sono aumentati di un milione di unità (100 mila l’anno), passando dai 350mila del 1991 al 1,35 milioni del 2001. E questa accelerazione è dovuta, come si è visto, soprattutto agli esecutivi di Berlusconi, la cui azione non ha certo frenato il flusso sempre più consistente di stranieri regolari.
Ma che tipo di rapporti di lavoro sono stati creati in questo decennio? Più stabili o più precari? Anche qui le sorprese non mancano. L’Istat ci dice che tra gennaio 2000 e giugno 2010, 1,7 dei 2 milioni di posti di lavoro in più sono a tempo indeterminato. Sembrerebbe a prima vista che i nuovi contratti di lavoro siano stati perlopiù di tipo stabile, tanto più che gli autonomi sono rimasti grosso modo 6 milioni, (anche se nel corso del decennio vi è stata una variazione in più e meno di circa 400mila posti).
Ma la verità è diversa. I lavoratori a tempo determinato sono cresciuti di 300mila unità, sebbene a giugno 2008, nel momento migliore dell’economia italiana, la crescita avesse raggiunto il livello di 500mila lavoratori. Ma il dato che ci fa capire come sono andate in realtà le cose è quello relativo ai rapporti di lavoro parttime, disponibili solo dal 2004. In effetti, i rapporti a tempo parziale e indeterminato sono cresciuti dal 2004 al 2010 di 500mila unità, per cui gli 1,7 milioni di posti di lavoro fisso in più, sono a tempo pieno solo per 1,2 milioni. Quindi, il classico posto di lavoro a pieno tempo e "sicuro", in grado di fornire un reddito più o meno sufficiente a sopravvivere, ha rappresentato solo il 60% dell’incremento occupazionale che si è avuto nel decennio. Il resto, 800 mila posti di lavoro in più, pari al 40% del totale, sono o precari o part time, e quindi hanno minori potenzialità di soddisfare le effettive esigenze dei lavoratori, soprattutto in termini prospettici.
Un ultimo elemento interessante riguarda il cosiddetto "lavoro nero". In una nota dell’Istat del 14 aprile 2010 si mette in luce che questo fenomeno non si è sostanzialmente modificato nel corso del decennio, essendo stimato costantemente intorno a 2,5 milioni di persone. In altre parole non sembra che la liberalizzazione regolamentata dei rapporti di lavoro degli ultimi anni (il Pacchetto Treu del 1997, che ha introdotto il lavoro interinale, la cosiddetta Riforma Biagi del mercato del lavoro del 2003, che ha ampliato la gamma di contratti flessibili) abbia contribuito a ridurre il fenomeno del lavoro irregolare. Si può quindi affermare che chi utilizza il lavoro nero non lo fa perché la normativa è rigida, ma semplicemente perché il lavoro irregolare è, e resterà fino a quando non ci saranno controlli e sanzioni severe, più conveniente.
Quali conclusioni si possono trarre dall’insieme di questi dati? Innanzitutto che il mercato del lavoro italiano ha delle sue proprie dinamiche, difficilmente influenzabili dai governi. Lo prova l’andamento dell’occupazione negli anni degli esecutivi Cavaliere, che alternano performance ottime con risultati pessimi. Dunque, promesse (elettorali) in questo campo non sono altro che scommesse.
In secondo luogo – e questa è forse la peggiore notizia il nostro paese produce ormai soltanto posti di lavoro poco qualificati, come dimostra l’incremento degli stranieri che, com’è noto, vanno a svolgere quelle attività spesso disdegnate dai nostri concittadini (colf, operaio, lavoratore agricolo, ecc.).
In terzo luogo, in Italia vi è ancora un numero abnorme di persone inattive (circa 15 milioni), che non si può spiegare solo con il numero di studenti (non lavoratori), di giovani pensionati e di casalinghe, ma con un’incapacità strutturale di affrontare questo problema. Che la situazione italiana sia fuori dai canoni, lo dimostra un dato incontrovertibile: il tasso di occupazione, ossia il rapporto tra il numero di occupati e la popolazione compresa tra 15 e 64 anni di età, in Italia era nel 2009 pari a 57,5%, contro una media europea di circa il 65%. Francia e Germania vantano tassi molto più alti: rispettivamente il 64,2% e 70,9%. Anche la Spagna ha una situazione migliore (59,8%), per non parlare della Gran Bretagna (69,9%).
La differenza rispetto agli altri paesi è probabilmente data dalla dimensione del lavoro irregolare: come è stato ricordato, 2,6 milioni di persone, pari al 11% degli occupati. È evidente, che se questo fenomeno fosse contrastato davvero, il tasso di occupazione potrebbe crescere fino a 6 punti percentuali, riducendo sensibilmente il distacco dell’Italia dagli altri paesi europei.
In conclusione, il mercato del lavoro italiano sta mostrando segnali molto preoccupanti (aumento della disoccupazione, che colpisce soprattutto i più giovani vedi articolo in basso nell’altra pagina permanenza di lavoro nero diffuso, ampia precarizzazione, abnorme numero di inattivi), e costituirà una grossa sfida per qualsiasi futuro esecutivo, come ha messo in luce il Governatore Draghi. Ma una cosa è certa: i governi Berlusconi in questo decennio non hanno né creato più posti di lavoro rispetto al centrosinistra, né lo hanno fatto a maggior beneficio degli italiani, né hanno risolto i problemi strutturali del nostro mercato del lavoro.