Camillo Langone, Libero 5/11/2010, 5 novembre 2010
PENSIERO UNICO
Ma voi, andate ancora al cinema? Non vi siete stancati di pagare per farvi fare il lavaggio del cervello? Io sono fortunato, abito a Parma, una città in cui le comode monosale del centro si sono quasi estinte e i multisala periferici puzzolenti di popcorn sembrano fatti apposta per evitarmi la tentazione di frequentarli. Ma se abitate a Roma o a Milano dovete stare attenti a quello che fate, ci vuole poco per cadere nella trappola, magari leggete una recensione entusiasta, magari vedete un manifesto attraente, ed eccovi in men che non si dica davanti al Grande Schermo del Grande Fratello.
Sì, il cinema è diventato una scuola di conformismo in cui viene insegnata una neolingua orwelliana da ripetere a pappagallo una volta usciti dalla sala. Mentre voi credete di assistere a un innocuo spettacolo vi verranno somministrate forti dosi di propaganda: innanzitutto propaganda omosessualista, di quell’ideologia secondo la quale omosessuale è meglio (non uguale: meglio).
Uno specchietto per le allodole
Pur abitando felicemente ai margini dei circuiti distributivi, domenica scorsa sono incappato mio malgrado nell’ultimo film di James Ivory, vecchio regista americano di cui ricordavo appena “Camera con vista”. Lo davano all’Astra, un cinema di prima periferia raggiungibile in bicicletta. Nel cast c’era Charlotte Gainsbourg e io ho un debole per quel suo musino ammaccato e perverso e così francese... Però mi sono bastati pochi minuti per capire che era solo uno specchietto per le allodole. Checché ne dicano gli addetti ai lavori, “Quella sera dorata” è focalizzato su due sodomiti attempati e panciuti che passano il tempo a sbaciucchiarsi: sono loro i personaggi positivi della vicenda, mentre tutti gli eterosessuali di contorno risultano irresponsabili e inaffidabili.
E dai e dai, grazie a film del genere, Nichi Vendola è diventato la speranza della sinistra. Si sbaglia chi pensa che il catto-abortista pugliese sia stato lanciato da Cossutta e Bertinotti: sono stati Pedro Almodovar e Ferzan Özpetek. Sappiatelo: se vi siete messi in fila per “Tutto su mia madre” o per “Le fate ignoranti”, indipendentemente dal vostro voto avete contribuito alla causa vendoliana. Potenza del Grande Schermo grandemente condizionante: la Hollywood dei tempi d’oro ha fatto morire di cancro ai polmoni milioni di persone (avevano imparato a fumare imitando Humphrey Bogart), il cinema contemporaneo non fa nascere milioni di bambini perché deride la famiglia ed esalta l’omosessualità in ogni sua forma.
Lezioni di vita da una mantide
Avete visto l’altro giorno al Festival di Roma? Julianne Moore, protagonista di un film omosessualista diretto da una lesbica divenuta madre con la fecondazione artificiale, complimenti vivissimi, ha dichiarato che la sana, virile, simpatica battuta del
premier Silvio Berlusconi sulla preferenza per le belle ragazze è «arcaica e idiota». Non so voi, ma anch’io preferisco le belle ragazze e non ho alcuna intenzione di pagare un biglietto per sentirmi definire «arcaico e idiota». Di sicuro, non accetto lezioni di vita da un’attrice, la Moore, che ha avuto non so più quanti mariti: avessi il suo curriculum, più da mantide che da donna, eviterei di presentarmi al mondo con il ditino alzato.
Perfino Paolo Mereghetti, critico parecchio di sinistra, si è stufato del dilagante cinema pedagogico e ha detto basta: è ora di finirla coi film da dibattito, torniamo alle belle inquadrature, ha scritto sul Corriere della Sera. Il Festival di Roma somiglia sempre più a una puntata di “Annozero” o a una seduta dell’Onu: le donne da liberare, la pena di morte da abolire, i tiranni da spodestare... E
intanto, su quel tappeto rosso che il giornalume esterofilo continua con insistenza a chiamare red carpet, siccome la lingua italiana al Grande Schermo del Grande Fratello non piace, sfilano le modelle con le magliette “Meglio gay che Berlusconi”.
Ma perché il ministro Sandro Bondi non chiude definitivamente il rubinetto dei soldi pubblici? In questi tempi grami le poche risorse disponibili vanno impiegate per salvare le chiese e i musei, Venezia e Pompei, quello che il mondo giustamente ci invidia; e non quello che il mondo giustamente ignora: i filmetti tutti parlati in romanesco o in napoletanesco e tutti quanti immancabilmente interpretati da Alba Rohrwacher o da Silvio Orlando o da Toni Servillo (non esistono altri attori in Italia?).
Il Festival di Roma e la saggezza di Adorno
«Da ogni spettacolo cinematografico mi accorgo di tornare più stupido», scrisse il filosofo Theodor Adorno, anche lui non certo di destra. Il cinema in generale e il Festival di Roma in particolare mi fanno il medesimo effetto. Per esempio, il documentario dedicato a Inge Feltrinelli rischia di farmi esplodere l’Alzheimer: la signora dichiara che la morte del marito Giangiacomo «resterà uno dei tanti misteri italiani». Grazie a Dio, a salvarmi dalla perdita della memoria, giunge l’immagine del famoso terrorista-editore mentre si arrampica sui tralicci dell’energia elettrica per piazzarvi cariche esplosive: nessun mistero, quindi, solo un incerto del mestiere.
Lettori, amici, non posso credere che vogliate ancora mettere a repentaglio la vostra intelligenza: dimettevi da spettatori, subito!