Gloria Satta, Il Messaggero 8/11/2010, 8 novembre 2010
INTERVISTA A CARLO VERDONE
CARLO Verdone compie sessant’anni il 17 di questo mese. Più di trenta li ha passati da protagonista. Attraverso i suoi film che, da Un sacco bello a Io loro e Lara, hanno raccontato l’Italia e gli italiani, con acume e ferocia. Non ha intenzione di smettere, il regista e attore: nella prossima commedia, che girerà ad aprile, Verdone illustra la tragicomica odissea di tre mariti separati. Erede di Sordi, si è sempre detto.
Nella romanità dalle radici più solide, nella signorilità innata, nella curiosità per la gente, nel rispetto assoluto di quel pubblico che ha fatto propri i suoi tipi, le sue battute (una per tutte: lo famo strano), il suo mondo. Verdone, uomo colto e a tratti malincomico, da trent’anni ci fa ridere e riflettere. Alla vigilia del compleanno, ascoltiamolo.
Oggi che tutti hanno paura di invecchiare, che effetto le fa compiere 60 anni?
«Un bell’effetto. Perché hai raggiunto un traguardo importante. Gli anni non fanno paura se ti accorgi di aver fatto cose delle quali sei orgoglioso: figli con principi forti, lavoro creativo, un rapporto bello e stretto con la gente. L’importante è “vivere” non “esistere”. E io ho vissuto e vivo tuttora le mie passioni con tanto slancio e stupore».
Che ragalo vorrebbe farsi?
«Smettere di fumare una volta per tutte».
Si sente molto diverso, rispetto al Carlo trentenne?
«Mi sono sentito cambiato quando ho avuto i figli. Questo comporta un senso di responsabilità enorme e la considerazione che prima insegnavi tu a loro poi, improvvisamente, ti accorgi che sono loro ad insegnarti tante cose. Ma non sono cambiato molto nell’anima: continuo a vivere da “fan” e poco da protagonista».
In che momento si è reso conto di avere raggiunto il successo, di aver stabilito un contatto duraturo con il pubblico?
«Quando una sera di tanti anni fa, all’una di notte, due ragazzi in moto, con la faccia da duri, mi affiancarono ad un semaforo. Al verde la moto smarmittata schizzò via e quello senza casco mi urlò: A Carle’, grazie pe’ avemme dato er sorriso a n’ adolescenza de mmerda!. Quella frase valeva quanto un Oscar».
Quanto è mutato il cinema dai tempi di ”Un sacco bello”?
«Molto. Tante sale dei centri storici hanno chiuso i battenti, Cinecittà è un ricordo in bianco e nero, molti film d’autore non suscitano curiosità. Spesso le commedie pensano solo alla quantità e non alla qualità. Siamo nell’epoca dell’intrattenimento e la memoria storica è sempre più appassita».
E l’Italia, quanto è cambiata?
«Molto. E’ un’Italia che non si indigna più, che non si stupisce di niente. Solo una minoranza è alla ricerca di una ricostruzione etica. Gli altri sono in una perenne riunione condominiale basata su fregnacce. Ma ho molta fiducia nelle nuove generazioni che però dovranno lottare molto per svecchiare un Paese refrattario ai ricambi».
Nei suoi film lei non ha avuto remore a mettere alla berlina i difetti degli italiani. Cosa la fa indignare di più, oggi?
«Il fatto che gli obiettivi principali riguardino troppo il materiale, il superficiale, il benessere personale. Bisogna ogni tanto rivolgersi anche al prossimo e dedicarsi a qualche riflessione spirituale».
Esiste una speranza che gli italiani la smettano di vivere perennemente dentro una “commedia all’italiana”?
«E’ nà parola … Io punto sui giovani arrabbiati e preparati. Sordi è stato la più grande maschera italiana nella commedia del cinema, ma ha combinato un guaio che non si aspettava: lo hanno imitato in troppi».
Un attore di duccesso è sempre concupito dal potere. A lei è capitato di subire gli assalti della poltica?
«Molte volte. Ma il mio mestiere è un altro. Ho le mie idee da elettore ma l’attore deve appartenere a tutti mettendo da parte i preconcetti».
La commedia è stata finalmente rivalutata?
«Il miglior giudice è il tempo. Una bella commedia non corre alcun rischio di sottovalutazione. Il tempo ha risarcito Totò di tanta spocchia critica».
Quali film rispecchiano di più la sua vera personalità?
«In Maledetto il Giorno…c’è tanto di me. Come in Io e Mia Sorella, Io Loro e Lara e Sono Pazzo di Iris Blond. Quando affiora una lieve malinconia, una timidezza e un tormento in un’ interpretazione non caratterizzata, c’è un pezzo del vero Verdone».
Che effetto le fa vedere che i suoi personaggi e le sue battute sono diventati patrimonio comune degli italiani?
«Il più delle volte mi stupisco. Spesso colgo dei dettagli linguistici e comportamentali del momento che entrano nell’immaginario della gente. E’ sempre una sorpresa inaspettata!».
Quali film considera più riusciti?
«Lascio sempre al pubblico decidere. Faccio sempre molta fatica a darmi un voto. In ogni caso Borotalco, Compagni di Scuola e Viaggi di Nozze rappresentano gli anni in cui li ho girati. Come speciale è l’ultimo episodio di Grande, Grosso e Verdone. Molto attuale nella miserabile mitomania della famiglia protagonista».
Lei ama molto la musica. Un brano in cui si rispecchia?
«A Day In The Life dei Beatles. Raccoglie tutte le mie emozioni».
Che ruolo interpreta nel film di Veronesi?
«Un conduttore televisivo, un po’ vanesio, alla soglia delle nozze d’argento. Fiero della sua tranquilla e compatta famiglia ma anche della sua prestigiosa posizione professionale, intatta e serena negli anni. Fino a quando non sbatte in una bella donna (Donatella Finocchiaro) che solo in apparenza è sana di mente. E da lì entra in un tunnel tragicomico dove, braccato, vedrà distrutti il suo lavoro e la sua famiglia. Ma il finale non lo racconto…».
Perché nel prossimo film che dirigerà e interpreterà ha deciso di raccontare le famiglie sfasciate?
«E’ un tema, purtroppo, sempre attuale. Ma più che sulle famiglie, il mio film indagherà le conseguenze della separazione su tre mariti: senza un euro, senza una casa, senza una prospettiva. Quello che guadagnano lo devono destinare al mantenimento delle mogli e dei figli. E’ un problema di enorme attualità. E sta venendo fuori un copione molto interessante. Vero, serio al punto giusto e molto divertente per alcune situazioni. Ai tre protagonisti si aggiungerà una figura femminile che interagirà con il mio personaggio».
Cosa pensa di aver insegnato, innanzitutto, ai suoi figli?
«Penso di avergli trasmesso molte passioni, il rispetto per il prossimo e una grande umiltà. E in questo anche la loro mamma Gianna è stata assolutamente formidabile. Giulia a Carlo non hanno mai usato il cognome per avere facilitazioni. E di questi tempi è un gran risultato».
Se dovesse definrisi in poche parole?
«Un tifoso dei grandi talenti o un instancabile “pedinatore” degli italiani. Non so … Faccia lei».