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 2010  novembre 06 Sabato calendario

FRASI DI TREMONTI PER IL FOGLIO DEI FOGLI DELL’8/11/2010


«Non esistono ministri con il portafoglio. Siete tutti senza portafoglio» (ai colleghi di Governo 7/6/2008).

«Siamo di fronte ad una crisi economica profonda. Metà del sistema bancario americano è stato nazionalizzato. Invece da noi c’è gente che ancora non vuole capire la gravità di quello che sta avvenendo. Eppure ho dimostrato di avere una certa capacità di previsione. Chi aveva scritto che si rischiava un nuovo ’29?» (16/7/2008).

«Spero che un contributo per un bilancio della Sanità sostenibile venga anche dalla magistratura, dalla sua azione moralizzatrice» (18/7/2008).

«Non possiamo aspettare due anni per aprire un cantiere. Quando i cinesi stanziano una somma per l’economia, dal giorno dopo quei soldi vengono effettivamente spesi» (16/11/2008).

«Se in America ci fosse stato il Tar non ci sarebbe certamente stato il New Deal» (16/11/2008).

«Comprate Bot, Bpt e Cct italiani, sono i migliori del mondo. Il debito italiano è assolutamente solido. State tranquilli perchè i titoli italiani sono anche semplici» (5/12/2008).

«Per fortuna c’era il Financial Stability Forum, e figuratevi se non c’era; i ragazzi hanno fatto un grande lavoro... È un caso in cui la massa raccolta coincide con la refurtiva. [...] È demenziale stare ad ascoltare le lezioni di chi non ha capito nulla o ha capito troppo» (19/12/2008).

«Un giorno Lincoln disse: “Ho due grandi nemici, l’esercito del Sud davanti a me e le società finanziarie dietro di me. Dei due nemici, il secondo è il peggiore”» (a Sergio Rizzo 19/1/2009).

«Salvare tutto è compito divino, non umano. I governi possono salvare le famiglie, le imprese e la parte funzionale delle banche, quella che finanzia l’economia, non la parte che si presenta come finanza fine a se stessa» (19/1/2009).

«Il Nord e il Centro hanno 38 milioni di abitanti e sono fra le aree più ricche d’Europa. Se fosse vero che in Italia non ci sono ricerca, produttività, istruzione, non sarebbe così. Il dramma dell’Italia è nel Sud, l’unica area europea che non ha una sua banca, ma soprattutto che vive un deficit sociale e culturale generale. E questa è una grande responsabilità della politica. Non c’è futuro per l’Italia se non c’è futuro per il Sud. Ed è questa la missione che sento più profondamente» (19/1/2009).

«Il mondo va a sbattere se pensa di cavarsela con la testa e la cultura dei banchieri» (24/6/2009).

«Sapete come fanno le statistiche? Hanno un campione di mille persone. Fanno le telefonate e chiedono: “Sei di­soccupato?”. La risposta: “Vai a quel paese”. Scrivono: “Molto disoccupato”. Ma non si capisce e non si governa così un Paese» (commentando i dati dell’Istat sulla disoccupazione, 26/6/2009).

«Quando di fronte a una crisi per eccesso di debito e per transazioni che hanno una logica speculativa bisognava fare una scelta: chi salvare? E avevamo tutti convenuto su le industrie, la famiglia e il risparmio. In molti altri Paesi la scelta è stata è stata il salvataggio delle banche. Un’opzione la cui validità impone una riflessione» (29/8/2009).

«Non sono sufficientemente liberista da dire a chi perde il lavoro che penseremo a lui, sì, ma a lungo termine. Penso subito alla cassa integrazione perché si deve mangiare ogni giorno» 29/8/2009).

«Implica una rinnovata e forte responsabilità non solo sul piano socio-economico ma anche a livello politico. Rimanda alla creazione, in Italia, di una leadership complessiva sul piano di un consenso che non sia solo immediato e mediatico» (dalla lettera, «riservata» e «personale», con cui Tremonti, in quanto presidente dell’Aspen Institute Italia, invitava a partecipare alla tavola rotonda “Costruire il dopo e rinnovare la leadership del Paese” del 7/11/ 2009).

«Non credo che la mobilità sia di per sé un valore. Credo che per strutture sociali e storiche come le nostre, il posto fisso sia la base su cui tu organizzi il tuo progetto di vita, su cui fai la famiglia» (20/12/2009).

«Se uno pensa che la soluzione ai problemi aperti dalla crisi la trovino i banchieri, che si autoregolano, sta solo preparando la prossima crisi. La crisi poteva avere gli effetti di una guerra, e se non li ha avuti è stato per il ruolo fondamentale dei governi. La ragione della speranza, oggi, è data proprio dal fatto che la macchina politica si è rimessa in funzione. Io ho sempre pensato che le regole le deve fare la politica» (28/1/2010).

«Una cosa che vorrei fare è quella che ho indicato nel ’97 ne Lo Stato criminogeno: una norma “rivoluzionaria” per cui “tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale o europea”. Per due o tre anni».
Ma richiederebbe una modifica della Costituzione. «Probabilmente sì. E io, oltre a proporla, vorrei essere tra i firmatari di una legge di riforma così fatta» (ad Aldo Cazzullo 31/5/2010).

«Ho giurato fedeltà alla Repubblica nel governo Berlusconi. E per me la fedeltà è un valore insieme morale e politico: politico perché morale, e morale perché politico» (31/5/2010).

«Questa è la fine dell’utopia della globalizzazione come nuova età dell’oro, come metafora dello sviluppo positivo e progressivo continuo. Era illusorio pensare che la globalizzazione, causando l’emersione o lo spostamento epocale e improvviso di enormi masse di merci, di lavoratori e di capitali potesse svilupparsi senza squilibri a loro volta enormi ed epocali. Ed è stato, come ho scritto nel 1994 ne Il fantasma della povertà, un drammatico errore politico accelerare in modo forsennato sui tempi e sui metodi della globalizzazione» (31/5/2010).

«Succede che dal copione è venuto fuori il film. Per come lo vedo e lo vivo io, La paura e la speranza era il copione, e quello che sta girando è il film. Quando ho scritto il copione non immaginavo di stare anche nel film, e di starci così dentro. E tuttavia è vero che nel copione c’erano proprio le cause e le cose che sarebbero successe, che stanno succedendo, che vediamo. Mancavano solo le date. Il crollo delle piramidi finanziarie, simbolizzato dalla Lehman Brothers, c’è stato nell’autunno 2008, ma avrebbe potuto esserci anche nell’autunno 2009 o nell’autunno 2010. Niente sarebbe cambiato rispetto alla grande curva che sta facendo la storia» (31/5/2010).

«Incombe il rischio di un drammatico, devastante e nuovo fuorigioco della finanza, non ci sono alternative alla disciplina nella politica e bilancio e, di riflesso, nella politica In Europa e in Italia la ricreazione è finita. Deve finire l’illusione che la spesa pubblica sia o possa essere una variabile indipendente dal prodotto interno lordo. Oggi i numeri vengono prima della politica ed è la politica che deve adattarsi ai numeri» (23/6/2010).

«Basta con la cialtroneria delle regioni del Sud. Quello prodotto dalle Regioni meridionali è uno scandalo pauroso: il programma 2007-2013 prevedeva uno stanziamento di 44 miliardi di euro ma questi signori ne hanno spesi solo 3,6, cioè un dodicesimo» (3/7/2010).

«Non so se l’austerità è un’ideologia, ma so che è una necessità e una responsabilità per tutti» (15/7/2010).

È vero che lei punta a fare il presidente del Consiglio?
«Parliamo di economia».
Bersani ieri ha aperto a un governo Tremonti.
«Io faccio, e con un certo impegno, il ministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Berlusconi e proprio per questo con il Sole 24 Ore vorrei parlare di economia» (a Fabrizio Forquet, Il Sole 24 Ore 4/8/2010).

«Sulla spesa pubblica c’è una sola voce su cui si deve davvero fare uno sforzo in più, ed è la voce ricerca. È su questa che stiamo lavorando. Poi c’è il Sud. Qui la questione è diversa: non investire di più ma, paradossalmente, riuscire a spendere i fondi disponibili» (4/8/2010).

«È utile rileggere gli scritti del 1977 di Enrico Berlinguer sull’austerity, si tratta di un ragionamento sulle responsabilità nelle politiche di bilancio che può costituire una base di riduzione per i prossimi anni in tutta Europa. L’austerità sostenuta da Enrico Berlinguer è un riferimento etico e politico da non trascurare, pur non condividendo tante analisi e riconoscendo che la nostra politica è diversa da quella di allora» (26/8/2010).

I governi possono passare - non è il caso del governo Berlusconi, che è un unicum - ma i Paesi no. In Italia questo vuol dire - e i documenti europei lo chiedono - un ruolo molto intenso del Parlamento, e di tutti gli altri soggetti e forze economiche e sociali del Paese. Fuori dalla lotta politica e fuori dalla dialettica di parte, idee e proposte certo dovranno essere alla fine sintetizzate, ma prima dovranno essere sul più vasto catalogo possibile e nel più ampio dibattito possibile (4/9/2010).

«Per il Sud prima ci vuole lo Stato che manda la Guardia di Finanza a rifare la contabilità nella sanità e poi il federalismo» (10/9/2010).

«Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e se qui c’è qualche pirla che dice allora non vuoi prendere voti, forse non ha capito che gli italiani che sono uno dei popoli più intelligenti, sanno che i politici devono smettere di dire che pagano l’assegno perchè se io firmo ’assegno il conto lo pagate voi» (18/9/2010).

«Forse non hai capito, te lo spiego dopo» (a Silvio Berlusconi in Consiglio dei Ministri 8/10/2010).

«Non c’è un euro» (in Consiglio dei Ministri, 8/10/2010).

«Non farò mai il traditore. O si va avanti con questo governo o si torna al voto» (16/10/2010).

«È finito il tempo in cui la politica veniva prima dei numeri. Oggi l’arte della politica è quella di “adeguarsi” a numeri che, per altro, non sono fissati in Italia [...] Quante volte negli ultimi anni mi sono sentito dire: “Reperisci le risorse”. Ecco questa formula non appartiene più al dizionario europeo. Non solo in Italia, ma in tutti i Paesi dell’Unione» (17/10/2010).

«La differenza tra un politico e uno statista è che un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni». (23/10/2010).