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 2010  novembre 11 Giovedì calendario

SAREMO I NUMERI UNO AL MONDO


Per l’Alfa Romeo si è preso ancora due anni di tempo prima di sferrare il prossimo attacco. La moglie Ursula invece dovrà pazientare di più. Nel 2002, al momento di lasciare la presidenza del consiglio di amministrazione della Volkswagen, Ferdinand Piech le aveva promesso di girare il mondo con lei in barca a vela e di tornare soltanto ogni tre mesi a Wolfsburg. Da allora però lo yacht di lusso dei Piech è ancora ormeggiato nel porto olandese di Ijsselmeer mentre il proprietario è rimasto al timone della prima casa automobilistica europea dove, anche in veste di presidente del consiglio di sorveglianza, resta l’eminenza grigia, la mente e il regista di tutte le più spettacolari operazioni del gruppo, compresa la recente acquisizione della Italdesign di Giugiaro e il tentativo di scalata all’Alfa.

All’età di 73 anni il più potente ma anche enigmatico top manager tedesco, con lo sguardo gelido alla Derrick e gli abiti grigi acquistati con parsimonia nei grandi magazzini, non pensa minimamente ad andare in pensione. «Vivere a tutto gas, puntando sempre più in alto. È questo il mio sogno» ha confidato anni fa nella sua autobiografia, anche perché il suo unico hobby è sempre stato quello di «costruire auto» e di vincere tutte le sfide. Ecco perché il secco no della Fiat alla vendita del marchio milanese del biscione al «dottor Ferdinand » proprio non è andato giù. «Siamo pazienti e abbiamo tempo, ma l’Alfa Romeo è il marchio con il maggiore potenziale di crescita» ha detto Piech, che alla casa di Torino è già riuscito a scippare più di una ciliegina.

Come Luca De Meo, ex responsabile dei marchi Alfa Romeo e Abarth e dal 2009 numero uno del marketing autovetture del gruppo Volkswagen. Per non parlare degli ex manager della Fiat Walter De Silva, oggi capo del centro stile a Wolfsburg, Flavio Manzoni (attuale responsabile del Creative design alla Vw) e tanti altri che negli ultimi anni hanno arricchito la collezione di «trofei italiani» di Piech.

Sotto la sua guida il colosso tedesco costruisce oggi oltre 6 milioni di auto l’anno e il gruppo Volkswagen, con 9 marchi (Audi, Bentley, Bugatti, Lamborghini, Porsche, Seat, Scania, Skoda, Vw), già detiene l’invidiabile primato di unico costruttore al mondo in grado di offrire l’intera gamma di prodotti, dalla piccola utilitaria da città alla fuoriserie extralusso, dalle auto sportive ai camion.

Ma non basta: il suo primato in Europa poggia su una strategia di mercato basata sulla ricchezza dei modelli sfornati. In questo modo la casa di Wolfsburg, tra gennaio e settembre di quest’anno, è riuscita a mantenere inalterata la quota di mercato in Europa, pari al 21,2 per cento (2,16 milioni di auto immatricolate), mentre la Fiat ha perso un punto, rispetto allo stesso periodo del 2009, scendendo al 7,9 per cento (pari a 809 mila auto vendute).

E pensare che nel lontano 1993, quando Piech salì al vertice della casa di Wolfsburg, la Volkswagen aveva i conti in rosso, un esubero di almeno 30 mila dipendenti e una gamma di appena 28 modelli, molti dei quali piuttosto stagionati, tecnicamente superati e considerati nella migliore delle ipotesi «robusti». Lui, però, con un ambizioso piano di risanamento è riuscito a trasformare, da vero re Mida, Audi e Volkswagen in nuovi marchi premium, è riuscito ad aumentare il numero dei modelli da 28 a 65, ad avviare un’aggressiva campagna d’espansione, alleanze e acquisizioni e a siglare con i potenti sindacati metalmeccanici dell’Ig-metall il famoso accordo per la settimana lavorativa di 30 ore (lavorare meno per lavorare tutti) con tagli proporzionali in busta paga e la rinuncia, in cambio, ai licenziamenti.

Viennese di nascita e rimasto orfano del padre già all’età di 15 anni, Piech è cresciuto all’ombra del nonno Ferdinand Porsche, fondatore dell’omonima casa automobilistica sportiva (la «Ferrari tedesca») nonché inventore del leggendario Maggiolino per la fabbrica di auto del popolo (la Volkswagen appunto) voluta da Adolf Hitler nel 1937. Della sua vita privata si sa poco o nulla. Dopo gli studi universitari a Zurigo pensava inizialmente di fare l’albergatore. Ma una modesta padronanza delle lingue straniere e la sua dislessia lo convinsero a entrare nell’azienda di famiglia diretta dallo zio Ferry Porsche.

Nel 1972 il passaggio alla Audi come responsabile per lo sviluppo tecnico (è lui che ha lanciato la trazione integrale Quattro e il motore diesel Tdi). Già tre anni dopo entra nel consiglio di amministrazione, nel 1983 ne diventa vicepresidente e nel 1988 presidente. Nel 1993 infine la successione a Carl Hahn alla guida del gruppo Volkswagen, con i suoi 400 mila dipendenti in tutto il mondo e una produzione (in perdita) di circa 4 milioni di vetture l’anno.

Oggi la Vw fattura 113,8 miliardi di euro per un utile di 6,3 miliardi (2008) e anche nell’anno nero 2009 il bilancio ha registrato un utile di 1,85 miliardi e un fatturato di 105,2. Un successo che sembra dare ragione alla strategia aggressiva di Piech, ai suoi intrighi interni contro manager e direttori sfruttati in modo spietato e poi cacciati via secondo il suo umore, la sua brama di potere, le sue richieste di perfezione meccanica e di ottimizzazione nei costi di produzione, ma anche in nome del suo profondo senso di responsabilità nei confronti dei lavoratori.

Giungendo a Torino per festeggiare l’acquisizione della Italdesign, Piech ha preferito intrattenersi con i dipendenti piuttosto che con i cronisti e le autorità. Nelle presentazioni fieristiche e ai ricevimenti ufficiali, allo champagne preferisce l’acqua minerale, e se può evita anche gli eventi mondani e i ritrovi dell’alta società come St. Moritz o Baden Baden.

L’unico eccesso che si permette sono le donne. Non a caso ha 12 (alcuni sostengono 13) figli nati da quattro unioni diverse, alle quali va aggiunta una serie di avventure sentimentali, come quella con Marlene, l’ex moglie del cugino Gerd Porsche.

Di nemici Ferdinand Piech se n’è fatti tanti nel corso della sua lunga carriera. Primi fra tutti quelli che hanno osato contraddirlo. Come gli ex capi dell’Audi Franz-Josef Kortüm, Herbert Demel e Franz-Josef Paefgen, silurati da Piech in persona per le loro obiezioni alle scelte del presidente. La stessa fine è toccata anche a Ignacio Lopez, il responsabile acquisti sottratto da Piech alla General Motors e poi costretto a dimettersi per via delle accuse di spionaggio industriale ai danni della Opel, controllata dal gruppo di Detroit. O Bernd Pischetsrieder, l’ex ceo della Bmw designato inizialmente da Piech come proprio successore ma poi abbandonato per divergenze sullo sviluppo di nuovi modelli.

L’ultima vittima di Piech è stata Wendelin Wiedeking, il brillante ex amministratore delegato della Porsche, capace di portare il fatturato della casa di auto sportive e suv di Stoccarda da 300 milioni a 27 miliardi di euro, ma inciampato nell’azzardato tentativo di acquisizione ostile del gigante Volkswagen (risoltosi, invece, con l’acquisizione della Porsche da parte della Volkswagen). Wiedeking è stato costretto ad andarsene (con una buonuscita di 50 milioni di euro).

Entro il 2018 lo schivo e riservato Piech vuole fare della Volkswagen il principale produttore automobilistico del mondo. L’acquisizione della casa di Giugiaro è solo uno dei tanti piccoli passi per raggiungere l’obiettivo. Ma è un passo importante dal momento che un tempo la Fiat, principale rivale della Vw sul mercato italiano e sudamericano, aveva lo stesso sogno. Per Piech una soddisfazione più che sufficiente per stappare una bottiglia di acqua minerale. Quella per la conquista dell’Alfa Romeo è già pronta in frigorifero.