Sergio Romano, Corriere della Sera 05/11/2010, 5 novembre 2010
LE MULTE DELL’EUROPA DOLOROSE, MA NECESSARIE
Con regolarità più noiosa che divertente, l’Ue ogni tanto minaccia multe a questo o quel Paese per qualche infrazione a certi regolamenti o direttive comunitarie. Però non ho mai saputo se poi queste multe siano mai state effettivamente pagate. Può darci qualche informazione in merito?
Bruno Stucchi
bstucc@tin.it
Caro Stucchi, non posso fornirle un quadro riepilogativo delle multe inflitte e del denaro effettivamente percepito. Ma ho passato la sua domanda a un ex direttore generale della Commissione e ho qualche indicazione che può servirle a meglio inquadrare il problema.
Posso dirle anzitutto che le multe sono una cosa seria e che vengono trattate con serietà sia a Bruxelles sia nelle capitali dei membri dell’Unione. Quando le multe sanzionano una impresa per violazione delle regole della concorrenza, è molto probabile che l’azienda punita ricorra contro la decisione di fronte alla Corte europea di giustizia. Ma se la Corte conferma la multa, l’azienda non ha altra via di fronte a sé fuor che quella di pagare. Più complicati, invece, sono i casi in cuila commissione deci de di multare un membro dell’Ue per un aiuto di Stato che i Trattati considerano illegale. Per restaurare la legalità ed evitare gli indebiti vantaggi che l’impresa interessata trarrebbe dall’aiuto, la Commissione chiede agli Stati di recuperare le somme elargite; e questa procedura può avere per effetto un altro contenzioso di fronte a tribunali nazionali di cui occorre attendere l’esito. Vi sono poi le questioni che assumono un rilievo politico come quella delle «quote latte», in cui la Lega è intervenuta per ragioni elettorali, e che vengono rinviate da un anno all’altro nella speranza di un miracolo. Ma l’Italia sarà sottoposta a molte pressioni, anche e soprattutto da Paesi a cui non piace che qualche Stato venga esonerato dall’obbligo di osservare le regole.
Esistono infine le multe che dovrebbero scattare quando uno Stato supera il limite (3% del prodotto intorno lordo) fissato dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità per il deficit di bilancio. La procedura è avviata dalla Commissione, ma l’esecuzione spetta ai governi; e questi, come accadde qualche anno fa nel caso della Francia e della Germania, possono cedere alla tentazione di dare una mano al compagno che sbaglia, magari nella speranza che domani, se necessario, ricambi il favore. È giusto chiedersi d’altro canto se il miglior modo per raddrizzare i conti di uno Stato sia quello di caricare sulle sue spalle un peso aggiuntivo. È questa probabilmente la ragione per cui il cancelliere tedesco e il presidente francese, negli scorsi giorni, hanno prospettato per i Paesi colpevoli una punizione politica piuttosto che finanziaria: la soppressione del diritto di voto. La proposta non è piaciuta anche perché richiederebbe probabilmente un emendamento al Trattato di Lisbona, nuove ratifiche e nuovi referendum. Ma a Giuliano Amato, che fu vicepresidente della Convenzione convocata per la redazione della Costituzione europea, la proposta non spiace. Nel Sole 24 Ore del 31 ottobre Amato scrive che la sospensione del diritto di voto, quando venga accertato che il disavanzo è dovuto a «responsabilità dirette delle autorità nazionali (...) può essere ben più utile ed efficace». Aggiungo che l’Europa avrebbe allora una più visibile e credibile politica fiscale.
Sergio Romano