Mariolina Iossa, Corriere della Sera 05/11/2010, 5 novembre 2010
AL PARCO E CON CIBI DA CASA. CAMBIA LA PAUSA PRANZO —
Il pranzo al bar o alla tavola calda costa troppo, è tempo di tornare alla «schiscetta», direbbero i milanesi. L’insalata, il panino, una pietanza portati da casa. O magari proprio un po’ di quel polpettone rimasto sulla tavola della cena. La «schiscetta», appunto. Lo dicono i milanesi e lo dicono ormai un po’ tutti gli italiani, ciascuno nel proprio dialetto. Mangiare al bar o al self-service è diventato troppo caro. E il guaio è che i prezzi crescono di anno in anno.
Persino a volersi limitare, a rinunciare al secondo, un piatto di pasta oppure l’insalatona sono diventati un lusso. Se è vero, come certifica Federconsumatori con un’indagine sui costi che va indietro fino al 2001, che in tempi di vacche magre, per un primo non particolarmente elaborato, mezza minerale, un dessert al piatto e un caffè si spendono in media 11 euro e 95 centesimi, insomma 12 euro al giorno. Che in un mese di lavoro fanno 262 euro e 90. Ben 18 euro e 70 in più ogni mese (con una crescita dell’8%) rispetto al 2009, che è appena un anno fa, e del 116 per cento rispetto al 2001 quando per mangiare al bar o al self-service si spendevano non più di 5 euro e 53 centesimi.
Meglio allora aprire la credenza o il frigo di casa. Il risparmio è enorme. E pazienza se si deve rinunciare alla comodità del bar. «Succede già da un po’ — conferma Roberto Piccinelli, docente di sociologia dei consumi al Politecnico di Milano ma anche autore dell’annuale Guida al divertimento —. E si cominciano a vedere le conseguenze di questi cambiamenti delle abitudini, che poi sono cambiamenti sociali. La conseguenza più importante è che, a differenza di quello che si può credere, nella pausa pranzo il lavoratore sceglie comunque di uscire, di lasciare il posto di lavoro e andar fuori a prendere una boccata d’aria. Non resta seduto a trangugiare da solo il panino. Lasciare il luogo del lavoro per un’oretta è necessità, è di vitale importanza. Che si fa allora, se ci siamo portati qualcosa da casa? Si va a mangiare ai giardini».
Il pranzo al parco è molto conveniente, e c’è una bella differenza con quanto si arriva a spendere oggi nei bar e anche nei self-service. Secondo Federconsumatori una mezza minerale nel 2001 costava 52 centesimi, oggi te la fanno pagare anche 1 euro e 60, il piatto di pasta costava 2 euro e 32, 5 euro nel 2009, e 5 euro e 60 oggi. Il dolce non superava i 2 euro e 7 centesimi 9 anni fa, oggi arriva fino a 3 euro e 80, 20 centesimi in più dello scorso anno. Il caffè è passato dai 62 centesimi del 2001 ai 90-95 di oggi. Tirando le somme, un decennio fa la spesa per la pausa pranzo non superava i 121 euro e 66 centesimi al mese. Oggi, come detto, siamo sopra i 260.
Ma andare a mangiare al parco può dare comunque soddisfazione o non c’è il rischio di precipitare nella solitudine? «No, affatto — risponde Piccinelli —. Un panino mangiato al parco con un collega, un collega che magari è anche amico, soddisfa e permette comunque quella necessaria evasione, quell’interruzione del lavoro che ricarica. Questa tendenza ad uscire con il proprio sacchetto del cibo preparato e portato da casa per andare a sedersi ad una panchina del parco o del giardinetto, porta anche a d una selezione delle persone con cui condividere questo momento — continua il sociologo —. Perché il pranzo che mi porto da casa è molto personale, nella vaschetta di plastica c’è quello che è rimasto nel frigo e che ho rielaborato secondo la mia fantasia. Insomma, è necessario avere una certa confidenza, una maggiore intimità con il collega per concedermi di mostrargli il mio pranzo. Per questo vado a mangiare solo con chi mi fa sentire a mio agio. Con un doppio vantaggio: stare all’aria aperta e facilitare le relazioni sociali, una risposta antica ai social network di oggi in tempo di crisi economica».
Mariolina Iossa