Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 05/11/2010, 5 novembre 2010
SONDAGGI E DISAGIO DEI MODERATI, PD FRA DUE FUOCHI —
«Non vogliamo le elezioni perché con questo sistema elettorale uno con il 34 per cento dei voti può fare il presidente della Repubblica». Quando Pier Luigi Bersani ha pronunciato questa frase, in una conferenza stampa, qualche giorno fa, i giornalisti hanno pensato a un lapsus — freudiano o meno — perché quelle parole equivalevano ad ammettere che il Pd teme ancora che, scandali o non scandali, Berlusconi possa vincere le elezioni.
Ma di lapsus non si è trattato, anche se, naturalmente, una frazione di secondo dopo il segretario ha tentato di rettificare. Già, i sondaggi riservati a disposizione del Partito democratico sono tutt’altro che confortanti e quindi quella frase dal sen fuggita è più che comprensibile. Non si tratta solo della percentuale attribuita al Pd, ma anche dell’immagine che quella forza politica rimanda all’esterno. E gli ultimi dati hanno fatto riflettere il gruppo dirigente.
Li ha portati mercoledì scorso, direttamente al leader, Giacomo Portas che per Contacta si occupa della divisione ricerche e sondaggi d’opinione. In genere la società lavora con le imprese un po’ in tutto il mondo, ma siccome Portas è anche un deputato, eletto con i Moderati per il Piemonte e iscritto al gruppo del Partito democratico, si fanno anche sondaggi che riguardano la politica italiana. I risultati non sono lusinghieri per il Pd. C’è quel 23-24 per cento entro cui oscilla il partito, senza un minimo accenno a una possibile inversione di tendenza. E c’è la percezione che gli elettori hanno del Pd: l’ottanta per cento degli intervistati vede il Pd come una forza decisamente di sinistra, non di centrosinistra, il restante lo percepisce come una forza troppo schiacciata su Casini e Fini.
Spiega Portas (che queste cose le ha dette anche a Bersani per un’ora e mezzo): «Noi abbiamo perso voti sul fronte moderato. Il Pd che con Veltroni inglobava pure quell’elettorato, ora lo ha perso. Del resto se siamo passati dal 33 e rotti per cento al 23-24 un motivo c’è». Bersani ha ascoltato con interesse anche un altro ragionamento, legato a un ennesimo sondaggio. La cui domanda era testualmente questa: «Se domani ci fossero le elezioni, lei voterebbe per un nuovo partito di centro moderato, alleato con il centrosinistra?». Domanda secca, risposta: l’11 per cento lo voterebbe. Ulteriore spiegazione di Portas a Bersani: «C’è un mercato di centro che il Pd non riesce più a cogliere: prima, quando Veltroni si è inventato il partito maggioritario, votavano per noi, ora non più e pensano piuttosto a una nuova formazione». Con Beppe Fioroni, che è suo amico, il deputato è stato ancora più esplicito su quei dati: «Il vestito che indossava Walter ora si è ristretto, prendiamone atto. E noi rischiamo di scendere anche fino al 20 per cento se continuiamo così, con il terzo polo che si presenta autonomamente e ci mangia altri voti. Invece possiamo sperare di risalire al 27-28». Ossia alle percentuali delle regionali. Bersani, comunque, ha ascoltato con attenzione il suo interlocutore. E non solo perché fa sondaggi: con il suo movimento Portas, che fino al 2005 militava in Forza Italia, è riuscito a superare l’Udc a Torino, quindi è un alleato prezioso in un capoluogo dove l’anno prossimo si tornerà a votare. E dove i Moderati torneranno a coalizzarsi con i Democrats, perché, spiega il deputato, «io stimo Bersani e per questo non ho firmato documenti, tipo quello dei 75».
«Se il Pd non riesce ad attrarre i moderati forse sarebbe il caso di creare un’altra gamba di centro — è stata la prosecuzione del ragionamento che Portas ha fatto con il segretario — ma non parlo dell’alleanza con Casini e tanto meno con Fini, che quella non la capiscono proprio. Gli elettori percepiscono l’Udc come ambiguo. Nelle Marche sta con il Pd, nel Lazio con il Pdl e Storace. E infatti nei sondaggi non aumenta. Ci vorrebbe una creatura politica nuova».
Il discorso si è chiuso qui. Ma nella testa di Bersani è suonato un campanello d’allarme. Non è che qualcuno sta seriamente pensando a una mini-scissione per organizzare un altro partito, nel caso in cui non vi siano elezioni? Del resto, molti ex popolari sono in sofferenza: Fioroni ha confidato ai colleghi di partito che «è sempre più difficile tenere tutti dentro: io faccio da freno, ma man mano che ci spostiamo a sinistra, faccio sempre maggior fatica a convincerli a non andarsene». E alcuni moderati, effettivamente, se ne sono già andati: diciotto parlamentari sono usciti dal Pd da quando Bersani è segretario, nonostante la passione e l’impegno con cui il leader sta assolvendo al suo ruolo. Ma non basta, evidentemente.
Maria Teresa Meli