Maximilian Cellino, Il Sole 24 Ore 5/11/2010, 5 novembre 2010
BERNANKE DÀ UNO SCOSSONE AI LISTINI
Successo e critiche per il piano di stimolo da 600 miliardi di dollari varato mercoledì sera dalla Federal Reserve. Con un giorno di ritardo i mercati sembrano infatti aver finalmente preso le misure al secondo round di «quantitative easing», l’operazione di riacquisto di titoli di stato Usa annunciata da Ben Bernanke. Se mercoledì sera gli investitori avevano accolto con la dovuta cautela il tanto atteso responso, con i movimenti di ieri pare proprio che tutte le tessere del mosaico siano finite al punto giusto, cioè là dove la Banca centrale Usa le vuole indirizzare.
Questa volta sono cresciuti, e con decisione, tutti i mercati azionari, dal Giappone (+2,17% il Nikkei) all’Europa (+1,98% Londra, +1,77% Francoforte, +1,92% Parigi, +1,36% Milano), fino a Wall Street (+1,93% S&P 500 e +1,46% Nasdaq). Alcuni di questi listini, e più in generale l’indice Msci World che sintetizza le performance delle Borse mondiali, si sono così riportati sui livelli antecedenti al crack-Lehman.
Anche per le materie prime è stata un’altra giornata da primato: il prezzi di cotone e zucchero hanno toccato record storici e il petrolio ha segnato nuovi massimi da sei mesi (oltre 86 dollari al barile). Fra i metalli preziosi l’argento è balzato del 4% per raggiungere i livelli di 30 anni fa a quasi 26 dollari l’oncia, ma il movimento più vistoso è stato quello dell’oro: sorprendentemente al palo il giorno precedente, il metallo giallo si è ieri ripreso con gli interessi quanto perduto e si è spinto fino al nuovo massimo assoluto oltre quota 1.392 dollari l’oncia.
Nel caso delle commodity, però, i movimenti sono da collegare direttamente all’indebolimento del dollaro, che invece non è proprio una novità: il biglietto verde aveva accusato il colpo dopo la riunione Fed già mercoledì sera e ieri ha concesso il bis. L’euro ne ha approfittato per spingersi oltre quota 1,42 (massimi da fine gennaio), anche perché dalla riunione della Banca centrale europea non sono arrivate indicazioni in grado di frenare l’avanzata della valuta comune. Il presidente, Jean-Claude Trichet, ha anzi lasciato intendere che la politica monetaria di Francoforte seguirà la propria direzione, se necessario anche contraria a quella accomodante di Washington.
La situazione si è in qualche modo normalizzata anche sui titoli di Stato americani. Se mercoledì aveva destato forti perplessità il calo dei Treasury oggetto dei riacquisti (e il conseguente rialzo dei rendimenti che la Fed intende invece calmierare), ieri sul mercato si è vista la tendenza inversa: il rendimento del decennale è di nuovo sceso al 2,48% (dal 2,58%) e quello del 5 anni ha raggiunto i minimi storici all’1,02 per cento. Per molti analisti, questo segnale rappresenta la vera misura del successo di Bernanke.
L’unica nota contrastante, sotto questo aspetto, resta il comportamento del Treasury trentennale, che ieri ha finito per perdere di nuovo terreno (i rendimenti sono saliti di un centesimo al 4,06%) dopo il recupero iniziale. I titoli a più lunga scadenza (ai quali, fra l’altro, è indicizzata gran parte dei mutui delle famiglie Usa) sono rimasti ai margini del piano Fed (solo il 4% dei riacquisti) e il mercato teme effetti distorsivi a vantaggio della parte 5-10 anni della curva su cui si riverserà invece la metà dei riacquisti.
Dalle perplessità degli operatori di mercato a quelle di banchieri e politici il passo è breve, e se Trichet ha preferito glissare sull’argomento trincerandosi dietro la frase «noi ci occupiamo delle nostre responsabilita, siamo fedeli al nostro mandato», il ministro dell’Economia tedesco, Rainer Bruederle, si è detto «preoccupato» per l’iniezione di liquidità della Fed. Ma le lamentele più importanti sono arrivate dai paesi emergenti, che temono di finire spiazzati dalla politica ultraespansiva di Washington. «Tutti vogliamo che l’economia Usa si riprenda, ma non credo che sia giusto gettare denaro dall’elicottero», ha detto il ministro brasiliano dell’Economia, Guido Mantega, alludendo all’operazione di Bernanke e rimandando il confronto al G20 di Seul. La «guerra delle valute» è pronta a deflagrare di nuovo. • DOMANDE
&
RISPOSTE
Che cosa è il «quantitative easing»?
Una volta ridotto il costo del denaro a zero, una Banca centrale può attuare ulteriori mosse espansive di politica monetaria attraverso l’acquisto di titoli di Stato, abbassandone così in modo artificioso i rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve ha annunciato l’acquisizione di Treasury per 600 miliardi di euro nell’arco dei prossimi 8 mesi. Si tratta del secondo «round» di quantitative easing, visto che la Banca centrale Usa aveva già operato acquisti su titoli di Stato e su altri asset legati ai mutui per complessivi 1.700 miliardi di dollari fra la fine del 2008 e il 2009.
Quali sono i titoli acquistati dalla Federal Reserve?
Con l’annuncio di ieri, la banca centrale Usa ha chiarito che oggetto dei propri riacquisti saranno soprattutto i titoli di Stato con scadenza compresa fra 5 e 10 anni, mentre i bond trentennali rimarranno quasi ai margini dell’operazione (solo il 4% dell’intero ammontare). Molti operatori temono che questa decisione possa portare effetti distorsivi sui mercati obbligazionari: forti acquisti sui titoli interessati dal quantitative easing e vendite sulle scadenze più lunghe, che quindi potrebbero subire un indesiderato rialzo dei rendimenti.
Quali sono gli obiettivi della Banca centrale Usa?
Acquistando titoli dalle banche, la Fed stampa moneta fornisce liquidità che gli istituti di credito possono utilizzare per concedere prestiti a privati e imprese. Abbassando i tassi di interesse a lungo termine, la Banca centrale vuole incoraggiare i risparmiatori a prendere a prestito denaro per mutui e nuovi acquisti in modo da risollevare la domanda privata e quindi anche l’economia. Allo stesso tempo, la mossa di Washington finisce per indebolire il dollaro e rendere quindi le aziende statunitensi più competitive sui mercati internazionali.
Quali sono le altre conseguenze sui mercati?
I rendimenti sempre più bassi rendono meno attraenti le attività relativamente più sicure come i titoli di Stato e la liquidità e spingono gli investitori a prendere posizioni sugli asset più rischiosi come le Borse (in particolare quelle dei paesi emergenti), ma anche materie prime e metalli preziosi. Quest’ultime traggono vantaggio anche dalla caduta del dollaro, valuta nella quale sono denominate. Molti analisti temono però la formazione di pericolose bolle speculative.