GIAMPAOLO VISETTI , la Repubblica 5/11/2010, 5 novembre 2010
IL RE DEL MONDO
Il 2010 sarà ricordato dai cinesi come un anno formidabile. Pechino ha frantumato tutti i record possibili ed è tornata ad essere l´epicentro del pianeta. L´anno della Tigre si era aperto con il sorpasso sul Giappone, che ha proiettato la Cina al secondo posto tra le potenze economiche globali. Si è chiuso idealmente ieri, con l´incoronazione del presidente Hu Jintao quale uomo più potente del mondo. È la prima volta nella storia che un leader cinese raggiunge il vertice della potenza politica, lasciando alle sue spalle i decisori dell´Occidente. Il fatto che a prendere atto di tale cambio di peso sia la rivista americana Forbes, bibbia del costume capitalista, è essenziale. La bussola degli Usa non sancisce solo la somma degli eventi che hanno segnato gli ultimi mesi. Stabilisce un passaggio di consegne. Personale, tra Hu Jintao e Barack Obama, scivolato al secondo posto. Ma soprattutto nazionale e globale, con la Cina motore dell´Oriente che rileva lo scettro detenuto per sessant´anni dagli Stati Uniti anima dell´Occidente.
Leggere una resa nella classifica di Forbes sarebbe però un errore. Che la locomotiva del pianeta, unica grande potenza ad essere uscita rafforzata dalla crisi del 2008, non possa essere condotta da un pilota di secondo piano, è una consapevolezza tardiva. Ma Forbes muove un passo più in là. Per la prima volta segnala che «il potere può essere usato per il bene, ma pure per il male». Evita di inserire Hu Jintao dalla parte dei cattivi, ma spiega i «criteri nuovi» che lo hanno spinto al primo posto tra i 68 individui che rappresentano i 6,8 miliardi che compongono l´umanità. Per i capi di Stato, gli analisti americani hanno considerato le dimensioni della popolazione controllata e la tendenza del Pil nazionale. Su questo piano, con 1,4 miliardi di abitanti e una crescita annua del 10%, la Cina e Hu non hanno rivali.
Forbes quest´anno ha cercato così di capire chi è «il leader che, in vari modi, piega il mondo alla sua volontà». Il segretario generale del partito comunista cinese è stato scelto perché «è il leader politico fondamentale più di chiunque altro per il maggior numero di persone, in quanto esercita un controllo pressoché dittatoriale su un quinto della popolazione mondiale». È un attacco che a Pechino, ancora scossa dal Nobel per la pace al dissidente Liu Xiaobo, non è passato inosservato. La rivista Usa ha aggiunto infatti che, «a differenza dei suoi colleghi occidentali, Hu è anche alla guida del più grande esercito del mondo ed è in grado di deviare fiumi, costruire e spostare metropoli, mettere in carcere dissidenti e censurare Internet, senza ingerenze di fastidiosi burocrati, o di tribunali»
Per la Cina, che a tarda sera ha affidato all´agenzia di Stato l´unico commento ufficiale, è l´ennesima prova che «all´imperialismo occidentale non restano che premi simbolici per tentare di fermare la crescita dell´Oriente». La lettura cinese è che «la rivista del lusso in disarmo dell´America», abbia proiettato Hu Jintao sul tetto del mondo per «lanciare l´allarme sul pericolo che il pianeta si stia consegnando nelle mani di regimi autoritari». È una conclusione estrema ma Forbes, riferendosi agli «esseri umani comandati oggi da una sola persona», non ha rinunciato ad una sottolineatura inquietante. «La Cina - scrive la rivista - rifiuta di piegarsi alle pressioni per cambiare tasso di cambio della sua moneta e gestisce la più grande riserva mondiale di valute estere, pari a 2650 miliardi di dollari». Il leader cinese avrebbe cioè conquistato il primato del potere 2010 grazie alla volontà finanziaria di tenere in pugno il destino degli individui della terra attraverso il ricatto della svalutazione competitiva e dell´investimento nei debiti pubblici di Usa, Europa e Giappone.
Proposto sotto tale luce, lo scoop di Forbes è che il capo del regime post-comunista cinese regna già concretamente sul destino non solo dei cinesi, ma su quello di una comunità internazionale che non vuole rendersene conto.
Non sarebbe una buona notizia, per il mondo che cerca faticosamente di smarcarsi dall´unilateralismo americano. Ma è vera? E chi è realmente l´uomo più potente del pianeta, cos´è oggi la Cina che egli impone quale protagonista assoluto del secolo? I cinesi, che non confondono la figura del leader con le dimensioni della loro nazione, sanno che Hu Jintao non può comandare il mondo.
Le ragioni sono quattro. La Cina è ormai il Paese che fa meno figli della terra e, a differenza dell´India, entro trent´anni sarà una nazione di vecchi privi di assistenza. A Pechino non comanda il presidente, ma il «Partito», autentica e unica onnipotenza. Hu cesserà il suo mandato tra poco più di un anno e assieme a lui sarà sostituito anche il potere dei suoi protetti. Il prossimo leader cinese, Xi Jinping, non appartiene alla sua squadra di «tecnocrati riformisti», ma a quella avversaria, formata dai «principi rossi conservatori». Al posto dei «giovani nati poveri» che volevano «modernizzare la nazione», allievi di Deng Xiaoping, andranno i «figli dei rivoluzionari maoisti» decisi a «ristrutturare la patria», secondo le indicazioni di Jiang Zemin. Il fatto che il capo della Cina non venga eletto dal popolo, e che Hu a metà ottobre sia stato rottamato dalla maggioranza del «Partito», che ha voltato le spalle anche al premier Wen Jiabao, significa che Forbes propone all´attenzione globale un leader già sul viale del tramonto e ormai sotto tutela. Una classifica più analitica, decisa a portare il fenomeno-Cina all´attenzione internazionale, avrebbe ignorato la funzione e privilegiato la sostanza, assegnando il primato dell´influenza mondiale al «Partito comunista cinese», o a Xi Jinping, l´uomo oggi realmente più temuto dai cinesi, nonché quello che determinerà la nostra sorte fino al 2022. È chiaro però che nel 2010 l´attenzione non si è rivolta a un individuo, alle soglie dei settant´anni, ma all´universo che egli simboleggia. Hu Jintao è il più grigio burocrate a cui la Cina si sia affidata dopo la morte di Mao Zedong. Non un colpo d´ala, in quasi dieci anni di potere, non una scelta decisiva. I cinesi lo considerano un «reggente di transizione partorito dai veti incrociati dei nuovi lobbisti del business». Il resto del mondo lo ricorda invece per le repressioni in Tibet e nello Xinijang, per la censura e la violenza con cui ha stroncato ogni forma di dissenso. «Ha tenuto il posto - confidano i suoi stessi funzionari - deciso a lasciare ogni problema in eredità al successore».
Lo scenario cambia se si considera invece la Cina, destinatario effettivo della menzione di Forbes. La crescita della sua potenza, nel 2010, è stata impressionante. Tallona ormai gli Usa nell´economia, cresce del 10% da un decennio, è diventato il primo mercato dell´auto, dei treni ad alta velocità e del traffico aereo, il primo esportatore e il primo importatore di beni del mondo. Entro il 2025 sarà la nazione-guida del pianeta e in pochi mesi ha sottratto agli Stati Uniti lo scettro dell´energia verde, quello delle missioni nello spazio, del numero di miliardari e di appartenenti alla classe media. «Made in China» è per la prima volta il computer più veloce, la massa più grande di laureati, il record dei brevetti e la velocità della crescita di banche e mercati finanziari. La Cina si è riaffacciata militarmente nel Pacifico, rivendicando isole e tratti di mare che nel dopo-guerra erano finiti nell´orbita del Giappone, degli Usa, o di altre nazioni del Sudest asiatico.
È diventata il riferimento politico, l´esempio economico e lo sponsor militare delle nazioni emergenti, dall´Africa, all´America Latina, all´Asia.
Questa «Cina-Hu Jintao», dallo sfruttamento della mano d´opera a basso costo, si è spostata infine sull´alta tecnologia e sulla produzione delle nuove materie prime, indispensabili per l´industria del futuro.
Sotto questo aspetto, l´uomo che ufficialmente governa oggi la Cina domina sostanzialmente il presente di tutti. Il mondo però, come segnala Forbes indicando il potere di Bin Laden, o del dittatore nordcoreano Kim Jong-il e di suo figlio, o di un paio di criminali internazionali, non finisce con i tassi di crescita e le riserve delle banche centrali. Il 2010 sarà ricordato soprattutto come l´anno del Nobel a Liu Xiaobo, il dissidente cinese che dal carcere sta svelando l´impotenza reale di Hu Jintao. La reazione di Pechino al premio di Olso ha confermato la fragilità di un sistema, e di una classe dirigente, incapaci di tenere il passo della crescita e della società. L´uomo più potente del mondo ha paura di uno scrittore condannato a 11 anni per aver proposto «riforme politiche e rispetto dei diritti umani» ed è costretto oggi a tenere un premio Nobel in prigione e un altro, il Dalai Lama, in esilio. Ad arrestare e torturare chi esprime le proprie idee e professa la propria fede, a censurare Internet, a rinchiudere nei «campi di rieducazione» milioni di persone e a paralizzare le altre con la propaganda. Il leader che nel 2010 ha governato il pianeta, in patria è un vecchio funzionario prossimo alla pensione, ostaggio di un Partito-Stato sotto choc. Forbes segnala che questo mix di esplosione economica e implosione politica, privo di proposte e di culture nuove, inizia però a decidere per tutti. La Cina di Hu Jintao adesso è in testa: meglio saperlo, piuttosto che continuare a fingere di essere importanti.