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 2010  novembre 03 Mercoledì calendario

LA MAZZATA DI GIULIO AGLI EVASORI PENTITI

La sorpresa l’hanno avuta centinaia e centinaia di imprese in questi ultimi mesi. Alla loro porta ha bussato l’esattore delle tasse, spesso con l’abito del funzionario della Agenzia delle Entrate, in altri casi con la divisa della Guardia di Finanza. La domanda a tutti è stata sempre la stessa: «Lei ha fatto il condono tombale di Tremonti del 2002? Quindi aveva evaso l’Iva in quegli anni. L’abbiamo calcolata. Ci deve questi milioni, comprensivi di multe e soprattassa. Troppi cento milioni? Beh, diciamo che se non vuole trascinare la vicenda per anni, può fare l’accertamento con adesione, pagarne 20 e chiudiamo tutto qui». Anche in questo modo Giulio Tremonti ha ottenuto 6,7 miliardi in cassa dalla caccia all’evasore 2010 nei primi otto mesi dell’anno. Ne mancano ancora 3,3 per raggiungere l’obiettivo del 31 dicembre. E l’anno prossimo la somma in budget è addirittura raddoppiata: 20 miliardi. C’è da tremare per i contribuenti, qualsiasi comportamento fiscale abbiano tenuto. Perché con quelle cifre da conquistare il fisco non ha tempo da perdere a inseguire i fantasmi (e cioè i veri evasori, di cui si sa poco o nulla). Bussa alla porta di chi già paga, ed è noto alla Agenzia delle Entrate.
MULTE E SANZIONI
E sfodera una legge o una leggina utile per l’occasione per spiegare al malcapitato di avere fatto male i conti: da pagare c’era molto di più. E naturalmente tutto è lievitato con multe e sanzioni. Quando arriva la notizia dell’accertamento in corso, per tutti c’erano due possibilità: resistere e percorrere la lunga strada del processo fiscale: primo grado, secondo grado, Cassazione. Oppure sottoscrivere l’accertamento con adesione, ottenere uno sconto e pagare subito la cifra concordata. Il processo è incerto, e spesso si perde. Le commissioni tributarie provinciali che devono decidere sono composte sì da professionisti, ma questo non è il loro primo lavoro. A sentenza sono pagati 26 euro a testa, ed è immaginabile che non si buttino ad esaminare minuziosamente norme assai complesse e centinaia di pagine di documentazione che sono alla base dei principali processi tributari. Se non hanno tempo di leggere, scelgono il male minore, e danno ragione all’amministrazione finanziaria. Da un anno circa, anche
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con nuove norme introdotte nel decreto del giugno scorso, questo è il metodo di cassa del fisco italiano. E inizia a preoccupare non poco sia i contribuenti che le associazioni di categoria.
Il caso condono 2002 è davvero esemplare. Quell’adesione fu non solo decisa dallo stesso governo e dallo stesso ministro dell’Economia attuale,
Tremonti. Ma addirittura promossa e pubblicizzata dopo il varo della legge 289/02. Solo che poi limitatamente ai versamenti Iva quel condono è stato bocciato dalla Corte Ue e dalla Cassazione italiana. E’ avvenuto molti anni dopo, per cui i contribuenti si sentivano blindati: loro hanno aderito a un patto che aveva proposto e pubblicizzato lo Stato. E la procedura fiscale fissa in un massimo di 4 anni il tempo per eventuali contestazioni o impugnazioni dell’atto. Se ciò non era avvenuto nel 2006, si potevano dormire sonni tranquilli. Ma si facevano i conti senza l’oste.
Il governo di Romano Prodi, nel famigerato decreto legge delle cento tasse firmato da Vincenzo Visco e da Pierluigi Bersani, stabilirono all’articolo 37 che quella prescrizione entro 4 anni raddoppiava nel caso di irregolarità fiscali punibili anche dal codice penale.
LA PRESCRIZIONE
E l’omesso versamento Iva diventa reato penale quando supera i 50 mila euro per anno di imposta: è punibile con la reclusione da sei mesi a due anni. Tenendo conto della Visco-Bersani quindi quei 4 anni sarebbero diventati 8. Chi ha aderito al condono Iva del 2002 quindi è punibile fino alla fine del 2010. Certo, era difficile immaginare che un governo Berlusconi con Tremonti ministro potesse decidere di pugnalare alle spalle i contribuenti che avevano aderito nel 2002 al condono fiscale firmato Berlusconi-Tremonti, e che questo avvenisse sfruttando una
norma inserita da quei Visco e Bersani contro cui Berlusconi e Tremonti avevano invitato alla ribellione fiscale portando in piazza due milioni di persone. Era difficile immaginarlo. Proprio impensabile. Ma è avvenuto e sta avvenendo in queste ore. Ha commentato sconsolato il presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, Claudio Siciliotti: «La vicenda dei condoni Iva che si trasformano in autodenunce è una perfetta esemplificazione dello stato confusionale che caratterizza il nostro sistema fiscale». Ma la considerazione è fin troppo tenera. Ci saranno innegabili esigenze di cassa per le finanze dello Stato, ma questo comportamento è l’esatto contrario di quel che per lustri ha definito il programma fiscale del centrodestra. E al di là della matrice culturale dei governi, se lo Stato fa un patto con il cittadino non dovrebbe mai tradirlo nemmeno se le maggioranze cambiano. È del tutto incomprensibile che questo avvenga quando al governo ci sono gli stessi soggetti sottoscrittori del patto. Se avviene così su un condono, rischiano di dormire sonni agitati anche tutti quelli che hanno dato adesione allo scudo fiscale.
Franco Bechis