Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 3/11/2010, 3 novembre 2010
CASSA(NA)TA AMARA
Padri e figli? Datori di lavoro e dipendenti? La sottile linea – a luci rosse – è tutta lì. In ciò che si pretende dall’altro, nella dialettica che rispetta i punti di vista in opposizione o nella discussione strozzata all’origine. Nel libero arbitrio che poi, a osservarlo da vicino, tanto libero non è. Così Riccardo Garrone e Antonio Cassano, presidente e giocatore della Sampdoria, finiscono per rappresentare due polarità inconciliabili, due mondi agli antipodi, due rette che non si incontreranno mai. Uno, il petroliere della Erg, precipitato dagli scandali petroliferi degli anni ’70 al ruolo di erede di Paolo Mantovani, pretendeva ubbidienza. L’altro, come sempre, desiderava assecondare esclusivamente i propri desideri. Il motivo del contendere, il premio ‘Rete d’argento’ in un albergo di Sestri Levante dal nome profetico, Vis à vis, della vicenda è attore non protagonista. Ai soci del club ‘Gianni De Paoli’ di Lavagna (30 anni di attività in bilico tra l’organizzazione di Miss Blucerchiata e quella di un omonimo carnevale da cui ottenere ‘palanche’ da girare alla Croce Rossa) Garrone aveva promesso per il 26 ottobre la presenza di Gastaldello e Cassano. Per il difensore, nessun problema. Per ottenere l’assenso di Antonio, con il quale Garrone insisteva da 40 giorni, era stato necessario un viaggio senza ritorno negli spogliatoi di Bogliasco.
INIZIO paternalistico: “Te lo chiedo come favore personale” e davanti al rifiuto di Cassano: “Ti ho già detto che queste cose non le faccio, voglio cenare con mia moglie, ho appena rinunciato a 140.000 euro per andare a Paperissima”, raccontano, un accenno di minaccia: “Mi dici no dopo tutto quello che ho fatto per te? Sei un ingrato. Guarda che se non vieni non giochi più, qui comando io”. Solo allora, Cassano avrebbe lasciato la stanza, sbattendo la porta e la buona educazione, ad alta voce, come altre mille volte in passato. “Vecchio di merda”, figlio di qua, figlio di là, madri, mestieri antichissimi, parolacce in dialetto e non, a uso e consumo di un pubblico indigeno ma non ingenuo, comunque relativamente turbato. Una decina di minuti in tutto, qualche calcio alle borse, un paio di vaffanculo. La quotidianità sgradevole, di mezzo secolo di zoo pallonaro che, da Maradona in giù ha visto di peggio. Zigoni, a Verona, prendeva per il collo il padrone Garonzi che a sua volta grugniva: “Disgraziato, bastardo, lo firmi o no ‘sto contratto, figlio di un mona”. Poi facevano pace. Perché tra padri e figli, puoi urlare, ma passata la tempesta, torna il sole. Cassano ci credeva. E si sbagliava. Il repertorio era stato già esplorato e amnistiato un’infinità di volte. Per il protetto di un tempo, impegnato a litigare con l’universo intero, da Bari a Madrid, Capello coniò un felice neologismo ‘Cassanata’. Con Gentile, in Romania, Totò sfiorò il contatto fisico. A Trigoria venne messo fuori rosa, in Spagna ingrassò a forza di pomeriggi a base di dolci e sessioni intensive di tv italiana, illanguidendo con la tribù: “Ti rendi conto mammà? Quello prende gli applausi e io sto sul divano”. Per poi rinascere, quando tutti lo davano per morto, senza mai cambiare definitivamente. Piccoli, impercettibili miglioramenti che inteneriscono il tempo di una stagione. Cambia clima e per Cassano, si utilizzano le categorie già abusate in passato. La sociologia d’accatto: famiglia, adolescenza difficile, vicoli di Bari vecchia, vespe scarburate. Nessuno che si chieda, nell’ipocrisia dei pesi e delle misure più varie, se più in là del pessimo gusto di aggredire verbalmente un signore anziano che ti paga lo stipendio, Cassano avesse il diritto di negarsi: “No, al tuo circo del consenso non mi presto”. Ai figli di Garrone, decisivi nell’orientare il genitore, questo fiore di provincia selvatico non è mai piaciuto. Scuole diverse, qualche gelosia dovuta alle indulgenti attenzioni (Cassano esagerò anche a Genova) che il patriarca adottò verso il reprobo nei momenti bui, gli stessi che per qualche fischio piovuto dagli adoranti spalti del Ferraris adombrarono il principe e gli fecero intonare la solita canzone: “Se non servo, me ne vado”. Oggi accade qualcosa di inatteso. Cassano chiede scusa a Garrone in ogni modo, promette fedeltà eterna alla Samp, disegna scenari da qui al 2020 ma il perdono, come in un recente ieri, non arriva. Al telefono, il giorno successivo al trivio, tra i due sembrava fosse tutto a posto. Il procuratore di Antonio, Beppe Bozzo che, visto l’andazzo , vive con la valigia sotto il letto, era persino ritornato a casa. Meno di 24 ore e dal feudo di Garrone piovono rinnovate condizioni per la tregua. Fogli da firmare, pubblica ammenda, parole che un giorno, pensano nell’entourage del calciatore, potrebbero ritorcersi contro Cassano, divenire materia da contratto, condizione a prescindere, ipotetico capestro. Garrone si incazza.
DOCUMENTO o meno, il presidente ratifica la fine. È orgoglio, lezione, calcolo. E di ora in ora, la distanza si allarga, la durezza si stratifica. Con la memoria presentata per la rescissione, la Sampdoria difficilmente otterrà soddisfazione. Così le strade si separeranno a Gennaio, con pallidi vantaggi (lo stipendio risparmiato, le brame emulative dei compagni azzittite) per una società che nel momento più buio, con notevole lungimiranza, aveva riportato alla luce il più giovane tra i talenti smarriti. A Genova sperano di non dover pagare il Real Madrid (rate per 5 milioni di euro), ma in ogni caso, dei 15 milioni preventivabili in caso di cessione vedrà meno delle briciole. Alla Samp il clima è quel che è. Cassano e il tecnico Di Carlo (è una notizia) vanno d’accordo. I suoi amici (Accardi e Pozzi) sono ornamentali. Dietro c’è altro. Sfumata la Champions pulsa un progetto al ribasso. In città fino a due giorni fa non si trovava un solo tifoso disposto a dar ragione a Cassano. L’aria è mutata, i sondaggi del Secolo XIX anche. Suicidarsi, per una gita a Sestri dove 36 anni fa Vecchioni aveva già ubicato “i figli persi in Teatro e quelli lasciati agli altri”, è peggio di una sconfitta. Una retrocessione.