Marco Onado, Il Sole 24 Ore 3/11/2010, 3 novembre 2010
IL MERCATO E LA LEZIONE IRLANDESE
Sono brutte giornata per i titoli dei paesi europei considerati più a rischio, come Grecia, Irlanda e Portogallo. I rendimenti sono saliti e sono tornate a circolare voci di una possibile ristrutturazione del debito. Fra le varie cause indicate, la più importante sembra la notizia che l’Anglo Irish Bank proporrà uno scambio "lacrime e sangue" ai possessori di proprie obbligazioni. Una decisione drastica, ma forse anche una tappa importante nel difficile processo di ristrutturazione delle banche più colpite dalla crisi. La banca irlandese ha infatti proposto ai titolari di 2 miliardi di euro di obbligazioni valide come capitale di secondo livello uno scambio con titoli pubblici a un anno, al 20% del valore nominale, cioè con una perdita dell’80 per cento.
Va ricordato che i titoli in questione erano quotati prima dell’annuncio intorno a 25: dunque, la valutazione del mercato era molto vicina ai termini dell’offerta. Per indurre i creditori ad accettare, si userà non la carota, ma il bastone: coloro che rifiutano lo scambio riceveranno, in caso di votazione favorevole da parte della maggioranza dei creditori, una cifra in contanti modestissima. Non accettare comporta quindi il rischio di un autentico bagno di sangue.
Com’era facile immaginare, si è levata una reazione furiosa; alcuni hanno gridato alla procedura "nordcoreana" (ma il mercato che quotava 25 non era né asiatico né comunista) e gli unici certi di guadagnare sono gli studi legali immediatamente mobilitati da tutte le parti in causa. Alla fine, la proposta dovrebbe andare in porto (e infatti il mercato adesso quota intorno a 20) soprattutto perché il governo irlandese ha più volte dichiarato che non è possibile continuare a proteggere tutti i creditori della banca che solo un mese fa ha dovuto chiedere altri 6,4 miliardi di capitale, portando il totale dall’inizio della crisi a 30 miliardi, per non parlare degli altri 20 ottenuti dalle altre banche dell’allegro paese. I vecchi azionisti hanno perso tutto (e ci mancherebbe): ma perché proteggere ancora i possessori di obbligazioni che si pretendeva far parte del patrimonio?
È forse l’inizio di una fase di maggior severità nei confronti dei possessori di titoli più o meno privilegiati, tanto che un editoriale del Financial Times ha subito chiesto di estendere simili operazioni anche ai titoli caratterizzati da maggiori privilegi. Il governo ha finora rifiutato operazioni così drastiche, ma farisaicamente ha detto di non opporsi ad accordi liberamente sottoscritti fra le parti: visti i termini delle proposte, il richiamo a libere scelte appare un po’ troppo, anche per lo humour inglese.
In ogni caso, allineare i valori dei crediti a quelli espressi dal mercato è la condizione principale per riportare le banche esistenti al rispetto dei valori economici fondamentali. Le banche che non si adeguano, sono le famigerate "zombie banks" che - lo ha ricordato il Governatore Draghi - sono una pietra al collo della ripresa economica, come ci ha insegnato il Giappone vent’anni fa.
Lo stesso Draghi ha ribadito all’assemblea dell’Acri la necessità di emettere in futuro strumenti di debito che possano assorbire una parte delle perdite. Sul punto, le opinioni non sono concordi tanto che, quasi contemporaneamente, Trichet in occasione dell’approvazione del piano europeo aveva avvertito che certi strumenti finanziari possono rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché possono lanciare segnali d’allarme sulla situazione finanziaria di una banca e aumentarne in misura eccessiva i costi di provvista. Cosa puntualmente avvenuta lunedì, ma è anche vero che se ristrutturazioni del debito sono necessarie, il mercato reagirà prima o poi: l’unica differenza è se lo farà in modo tramautico o graduale.
È giusto ricordare che nell’immediato le banche hanno problemi di raccolta rilevanti, ma nel medio periodo occorre anche riportarle a comportamenti meno spericolati e a bilanci più equilibrati. Anche qui il mercato ha già espresso una valutazione, tanto che per la prima volta nella storia gli spread sui titoli bancari sono superiori a quelli delle imprese. È la dimostrazione del fatto che c’è un eccesso di debiti bancari e la via maestra per smaltirli è cominciare ad allineare valori di mercato e valori nominali nei margini consentiti dai contratti in essere.
Detto in altri termini, non ci potrà mai essere spazio per strumenti che facciano pagare una parte del costo delle crisi bancarie ai creditori, se si rinuncia ora ad utilizzare tutti gli spazi che i titoli già emessi offrono o se si continua a illudere i cittadini che tutte le banche potranno rimborsare tutti i loro crediti al valore nominale. È un problema che riguarda un numero limitato di paesi (e certo non l’Italia) ma è bene che venga affrontato con realismo e che dunque l’operazione irlandese non rimanga un caso isolato.
Nel caso irlandese, come in tanti altri possibili, c’è un’indicazione chiara e forte che viene dal mercato. Rinunciare ad ascoltarla solo perché i rendimenti richiesti sono aumentati di qualche punto base (probabilmente anticipando una variazione che sarebbe comunque avvenuta) può pregiudicare tutte le buone intenzioni di riportare le banche verso condotte più responsabili e utili nell’interesse generale.