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 2010  novembre 03 Mercoledì calendario

I NUOVI MARTIRI CRISTIANI

Lunedì, le pareti della chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso erano ancora imbrattate di sangue. Tra le panche della chiesa, brandelli di carne. Quello che è avvenuto qui è stato il più grave massacro di cristiani iracheni da quando qui cominciò la guerra, nel 2003. Ma per i sopravvissuti, la tragedia è stata più profonda del tributo di vittime pagato: una raffica di granate, proiettili e giubbotti esplosivi ha sconvolto un altro filo di quello che una volta era l´eclettico tessuto del paese.
«Abbiamo perso una parte della nostra anima», dice Rudy Khalid, cristiano sedicenne che abita di fronte alla chiesa. «Nessuno sa dire quale sarà il nostro destino». Il massacro, nel quale 58 persone sono state uccise da un gruppo affiliato ad Al Qaeda, impallidisce di fronte ai peggiori spettacoli di violenza in Iraq. Dall´invasione americana, qui ci sono state decine di migliaia di morti - musulmani sunniti e sciiti - ma pochi di questi morti hanno provocato lo sdegno espresso lunedì.
Una volta, l´Iraq era una singolare mescolanza di fedi, costumi e tradizioni; con le vittime di domenica si è tracciato un altro confine in una nazione definita soprattutto dalla guerra, dall´occupazione e dalla deprivazione. Le identità sono diventate più rigide; la diversità è svanita. Quasi tutti gli ebrei se ne sono andati da tempo. I cristiani sono diminuiti; se una volta ce n´erano tra 800.000 e 1,4 milioni, dicono i loro leader, almeno la metà si ritiene che sia emigrata dopo il 2003. «Sono venuti per uccidere l´Iraq, non gli iracheni», ha detto Bassam Sami, che si è nascosto in una stanza per 4 ore prima che le forze di sicurezza riuscissero a liberarlo. Poco lontano c´è Khalid, sconvolto e ansioso: «Nessuno sa darci una risposta», dice.
La mattina dopo l´irruzione delle forze di sicurezza nella chiesa siro-cattolica, che ha liberato gli ostaggi ma si è lasciata dietro morti e feriti, non c´erano risposte. Non nelle dichiarazioni di sdegno dei leader iracheni. Non dal papa Benedetto XVI, che ha condannato l´«assurda e feroce violenza». Non dai responsabili dei servizi di sicurezza, le cui versioni si sono contraddette l´una con l´altra. E, soprattutto, non ce n´erano da parte dei sopravvissuti, uno dei quali ha detto che i terroristi che hanno attaccato la chiesa, domenica sera, avevano solo un compito in mente: uccidere.
Gruppi di sopravvissuti, con i loro amici e parenti, rimangono in strada tra bossoli e confezioni di bende. Alcuni piangono. Tra di loro, padre Meyassr al-Qasboutros. Suo cugino, Wassim Sabih, era uno dei due preti uccisi. Padre Sabih è stato spinto a terra mentre si aggrappava al crocifisso e pregava di risparmiare i fedeli. «Dobbiamo morire qui», dice padre Qasboutros. «Non possiamo lasciare questo paese». Alcuni sopravvissuti fanno eco ai suoi sentimenti. «Se non amassimo questo Paese, non saremmo rimasti qui», dice Radi Climis, un diciottenne con la fronte bendata, ferito da una scheggia. Molti altri, però, ci guardano scettici: «Tutti vogliamo andarcene», dice Stephen Karomi.
Lunedì regnava ancora una grande confusione su che cosa fosse successo precisamente durante l´attacco, del quale una filiale di Al Qaeda in Mesopotamia, un gruppo locale guidato da iracheni, si è assunto la responsabilità. Un funzionario americano, che ci chiede di non fare il suo nome, dice che le forze di sicurezza hanno preso la decisione di fare irruzione nella chiesa dopo essersi convinte che gli assalitori avessero cominciato a uccidere gli ostaggi. Ma funzionari del Ministero degli Interni e sopravvissuti danno altre versioni dei fatti. Un funzionario dice che 23 ostaggi erano già morti quando due dei terroristi hanno fatto esplodere i loro giubbotti suicidi, mentre le forze di sicurezza facevano irruzione nella chiesa.
Diversi sopravvissuti sostengono che molte delle vittime sono state colpite quando i terroristi sono entrati e hanno cominciato a sparare. Descrivono una particolare ferocia da parte dei terroristi: «Sembravano pazzi», dice Ban Abdullah, un sopravvissuto di 50 anni. Sua figlia, Marie Freij, è stata ferita alla gamba destra. È rimasta in una pozza di sangue per oltre tre ore. «Pensavo di farcela, ma anche se non ce l´avessi fatta ero in chiesa e non ero preoccupata», dice dal suo letto nell´ospedale di Ibn al-Nafis. Prima che i terroristi entrassero, padre Rafael Qutaimi era riuscito a portare molti degli altri sopravvissuti in una stanza sul retro, dove si erano barricati dietro a due scaffali.«La pace sia con te, Maria», pregava qualcuno. «Dio del cielo, aiutaci», mormoravano altri. Più tardi, i terroristi hanno capito che erano lì. Non riuscendo ad entrare, hanno lanciato 4 granate da una finestra, uccidendo 4 persone e ferendone molte altre. Sami è stato fortunato. E´ scappato dalla stanza sul retro senza nessuna ferita visibile, ma lunedì ha dovuto fare la lista dei suoi amici morti il giorno prima. Raghda, John, Rita, padre Wassim, Fadi, George, Nabil e Abu Saba. «Una lunga lista», dice semplicemente. Scuote la testa e si arrabbia. «Perché hanno ucciso padre Wassim? Non lo so. Perché hanno ucciso Nabil? Non lo so». Tace e i suoi occhi si riempiono di lacrime.
© The New York Times
La Repubblica
Traduzione di Luis E. Moriones