ARTURO ZAMPAGLIONE, la Repubblica 3/11/2010, 3 novembre 2010
LA HUFFINGTON: "L´AMERICA NON È CAMBIATA SU QUESTO VOTO PESA LA BUFERA DELLA CRISI" - NEW YORK
«Attenti a non dare una interpretazione troppo estensiva dei risultati elettorali», avverte Arianna Huffington, una delle cento persone più influenti mondo secondo la classifica della rivista Time. «L´attesa vittoria della destra - ci spiega il direttore del Huffington Post - non significa che gli Stati Uniti abbiano ripudiato i democratici e abbracciato i repubblicani. Semmai nasconde la delusione degli americani per la strada imboccata da Barack Obama e la sfiducia per un sistema politico che non ha funzionato».
Nata ad Atene sessanta anni fa, studi a Cambridge, una passione innata per la politica e per i media, la Huffington è considerata una della voci più autorevoli tra i commentatori liberal degli States. Non è sempre stato così: quando era ancora sposata con il petroliere repubblicano Michael Huffington si era battuta nel 1994 per farlo eleggere a senatore della California e in quegli anni sosteneva la «rivoluzione» di Newt Gingrich. Ma da tempo Arianna si è spostata a sinistra. E alla vigilia di questo voto di midterm ha persino partecipato alla manifestazione promossa a Washington da Jon Stewart e altri esponenti liberals.
Dal punto di vista europeo è difficile capire il rapido spostamento dell´elettorato americano: perché in soli due anni si è sfaldata la maggioranza che aveva eletto Obama? Perché un giudizio così severo se il presidente è riuscito ad avviare a soluzione la crisi economica e a introdurre riforme importanti?
«La vera ragione è che gli americani hanno sofferto molto negli ultimi due anni a causa della recessione, diventando disoccupati, perdendo la casa e riducendo i consumi. In questa fase non hanno trovato risposte nelle istituzioni: di qui il voto di protesta. E Obama non è stato in grado di capire l´asprezza di questi stati d´animo».
Eppure il presidente ha concentrato i suoi sforzi proprio sull´economia.
«Non lo nego, ma invece di dare priorità a misure anti-disoccupazione la Casa Bianca ha preferito salvare Wall Street, battersi per la riforma sanitaria e continuare la guerra in Afghanistan, che non servirà a niente se non a drenare le casse dello Stato».
Pensa che Obama abbia perso più voti a sinistra, tra giovani e delusi, o tra i ceti tradizionalmente più a destra?
«La vecchia distinzione sinistra-destra non si addice troppo a queste elezioni. Quel che conta è come si muove la middle class, cioè la grande fascia di lavoratori americani che è stata la più colpita».
Al di là dei risvolti elettorali, ritiene che la richiesta di una maggiore unità politica lanciata da John Stewart nella manifestazione di sabato scorso a Washington possa avere un effetto di più lunga durata?
«Spero proprio di sì. Ed è stata importante la critica rivolta da Stewart ai media, che troppo spesso accentuano ad arte i conflitti politici invece di valorizzare il consenso che si costruisce ogni giorno nel paese reale. In questo senso il suo auspicio che i media diventino il sistema unificante della democrazia assume connotati jeffersoniani: era quella, infatti, la speranza dei padri fondatori della patria».