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 2010  novembre 03 Mercoledì calendario

IL BRASILE AL VOTO, PER VOCE ARANCIO


Il Brasile, 193 milioni di abitanti, di cui 65 milioni sotto i 18 anni e un Pil di 1.994 miliardi di dollari, il nono al mondo.

Dopo otto anni sotto la guida di Luiz Inácio Lula da Silva domenica prossima i brasiliani eleggeranno il nuovo presidente. La sfida è fra Dilma Rousseff, candidata del Partito dei Lavoratori di Lula, e il socialdemocratico José Serra. Al primo turno, il 3 ottobre, la grande favorita Rousseff ha ottenuto il 46,8% dei voti, Serra il 32,6%. La sorpresa è stata la candidata ambientalista Marina Silva, che, oltre ogni previsione, ha raccolto il 19% delle preferenze.

Lula lascia la presidenza con l’indice di gradimento più alto della storia del Brasile: l’82%.

Dilma Rousseff, 62 anni, di Belo Horizonte. È figlia di un’insegnante e di un avvocato comunista di origini bulgare. Dopo il colpo di stato militare del 1964 ha militato in un’organizzazione armata («ma non non ho mai sparato un colpo»), arrestata nel 1970, è stata in carcere per tre anni. Ha intrapreso poi la carriera politica, nel 2003 è diventata ministro dell’Energia, nel 2005 capo della Casa Civile (l’equivalente del nostro Primo ministro).

Indicata da Lula come la sua erede, per affrontare la campagna elettorale Rousseff ha trasformato il suo aspetto: è dimagrita dieci chili, ha cambiato pettinatura, al posto degli occhiali ha messo lenti a contatto, affiancata da un’équipe di comunicazione ha corretto il suo accento del Sud. Se vincesse, sarebbe il primo presidente donna del Brasile.

Il suo sfidante José Serra ha un lungo curriculum politico: è stato ministro della Salute (sui farmaci generici e l’Aids le sue politiche hanno attirato attenzione anche all’estero) ed è molto amato a San Paolo e nelle aree più ricche del paese. I suoi spot elettorali mettono in risalto le origini popolari (è figlio di fruttivendoli emigrati dalla Calabria), il suo nome di battesimo è stato ridotto da José al colloquiale Zé e la musichetta a ritmo di samba che accompagna gli spot cita addirittura il predecessore: «Quando Lula da Silva se ne andrà, è Zé Serra che voglio là».

Il 3 ottobre scorso la coalizione al governo con Lula ha comunque aumentato il numero di deputati alla Camera. Il Partito dei lavoratori è diventato il gruppo politico più votato del paese passando da 83 a 88 deputati.

Il primo fra gli eletti è stato il clown Tiririca con più di un milione di voti. Il suo slogan: «Votate il deputato vestito da pagliaccio: molto meglio di questi pagliacci vestiti da deputato». Ha ammesso di non avere mai potuto finire le scuole elementari e molti commentatori politici si chiedono se sappia leggere e scrivere.

Negli otto anni di governo di Lula 31 milioni di brasiliani sono ascesi alla cosiddetta classe media e 24 milioni sono usciti dalla povertà assoluta. Merito soprattutto dei posti di lavoro creati e del programma di aiuti “Borsa famiglia”, di cui beneficiano 12 milioni di famiglie.

«La piramide s’è rovesciata e per la prima volta dall’indipendenza, nel 1822, le tre fasce della middle-class (alta, media e bassa) sono formate da un numero di cittadini maggiore dei poveri e poverissimi. La classe media è diventata maggioranza e in questa rivoluzione si nasconde il segreto dell’assenza della crisi: è stata l’esplosione del mercato interno e l’arrivo di nuovi soggetti nell’universo dei consumi a tenere lontano il botto dell’economia mondiale» (Omero Ciai, la Repubblica).

Miliardari presenti in Brasile nel 2009: 18.

Il reddito pro capite in Brasile è di 12.007 dollari. Il 75% della ricchezza è concentrato nelle mani del 10% della popolazione.

Nel rapporto Onu sulle “Mete del Millennio”, il Brasile è al primo posto nella lotta alla fame. In meno di dieci anni ha ridotto di più della metà la percentuale dei bambini sottopeso. Il problema ora sta diventando l’opposto: il livello di obesità si avvicina a quello degli Stati Uniti.

«In Brasile le tanto denigrate soap operas hanno fatto da levatrici alla liberazione femminile. Un’economista della Bocconi, Eliana La Ferrara, sostiene che dove arrivano le telenovelas di Rede Globo crollano gli indici di natalità: le donne imitano le eroine della tivù e smettono di farsi maltrattare dai mariti» (Riccardo Chiaberge).

Il real, la moneta brasiliana, nell’ultimo anno ha guadagnato il 30% sul dollaro. «La più sopravvalutata del mondo», la definiscono gli economisti di Goldman Sachs, secondo i quali al momento il real vale il 55 per cento in più di quello che sarebbe un cambio equilibrato. La ragione principale è la fiducia degli investitori, soprattutto americani, che continuano a esportare capitali in Brasile. Questa fiducia degli stranieri include le imprese di Stato brasiliane, come l’ente energetico Petrobras che ha appena collocato, con successo, 70 miliardi di dollari di azioni.

Il Brasile è noto per l’efficienza produttiva del suo agrobusiness nazionale e multinazionale e per la concentrazione della terra in latifondi. In realtà è la piccola agricoltura contadina e familiare a sfamare il paese, producendo sul 24% della terra coltivabile l’87% dei raccolti consumati a livello nazionale.

Una delle questioni principali che il nuovo presidente dovrà affrontare è quella della riforma agraria. Lula si era impegnato fin dall’inzio del suo mandato per realizzarla. In realtà la distribuzione delle terre non è cambiata, dicono i Sem Terra, il movimento sociale più numeroso dell’America Latina, gli espropri non ci sono stati. Il ministro per lo svuluppo Agrario, Guilherme Cassel, però difende l’operato del governo: «Abbiamo sistemato 550mila famiglie e assegnato 40 milioni di ettari di terra alla riforma agraria. L’area che abbiamo distribuito è più grande della superficie di Paesi Bassi, Belgio, Svezia e Danimarca messi insieme».

Altro problema su cui intervenire a breve è il sistema scolastico, fondamentale in un paese giovane come il Brasile. Gli ultimi dati dicono che solo un brasiliano su quattro è alfabetizzato. Nella classifica del rapporto Pisa, che analizza il livello di apprendimento degli alunni di 15 anni in 57 paesi, il Brasile si è piazzato 54° in matematica, 52° in scienze e 49° in letteratura.

San Paolo, secondo i rilevamenti 2010 di Marsh & McLellan, è la città più cara del mondo, subito prima di New York.

A fine anno il Brasile supererà la Germania come quarto maggiore mercato dell’auto. L’anno scorso nel paese sudamericano sono state vendute 3,1 milioni di macchine. Per quest’anno ci si aspetta una crescita attorno al 7%.

Con 750mila veicoli il Brasile è il primo mercato della Fiat (in Italia sono state 722 mila le vetture immatricolate nel 2009). Da otto anni il Lingotto è il marchio leader del paese con il 24,5% del mercato, al secondo posto Volkswagen, al terzo General Motors.

Una Fiat Palio alimentata ad alcol di canna da zucchero: il regalo personale di Lula a Fidel Castro in visita in Brasile qualche anno fa.

La presenza di industrie italiane in Brasile è molto forte. Qui la Fiat ha 26 stabilimenti, Pirelli è presente da 80 anni e dà lavoro a quasi 10mila persone, Telecom sta per investire 2,6 miliardi per consolidare la presenza di Tim al vertice del mercato della telefonia mobile. Oltre ai grandi gruppi ci sono poi 600 imprese, con 66mila addetti e 16,6 miliardi di ricavi.

Ad attrarre imprese straniere sono anche i 150 miliardi di investimenti infrastrutturali previsti dal Plano de aceleracao do crescimento varato da Lula, e i piani per Mondiali di calcio del 2014 (altri 70 miliardi) e per le Olimpiadi del 2016 di Rio.

A Rio de Janeiro, capitale olimpica del 2016, si verificano 20 omicidi al giorno.

Il paese verde-oro ha dichiarato ufficialmente di essere entrato in recessione alla fine del primo trimestre del 2009 quando la sua economia registrò una caduta dello 0,8%. Appena quattro mesi dopo, tra agosto e settembre, ne è uscito creando 250mila nuovi posti di lavoro. La Banca Centrale del Brasile prevede per la fine del 2010 un incremento del Pil pari all’8%.

«Una spiegazione si trova nel fatto che, diversamente da tutti gli altri paesi sudamericani, in Brasile l’economia è una politica di Stato che non cambia insieme ai governi o alle congiunture stagionali. Non è un caso, ma è anche una eccezione in tutta la regione, che alla testa della Banca Centrale ci sia ancora Henrique Meirelles, un banchiere scelto da Lula ma molto più vicino al suo nemico, quel presidente Cardoso (1994-2002) che sconfisse l’inflazione promuovendo stabilità e continuità nella politica finanziaria» (Omero Ciai, la Repubblica).

Negli ultimi cinque anni il Brasile ha raggiunto l’autonomia energetica grazie alla scoperta di nuovi depositi di petrolio lungo le sue coste e alla scommessa sui biocarburanti. Da tempo il parco auto delle metropoli brasiliane è flex fuel, ossia funziona con motori che possono essere alimentanti alternativamente con etanolo (estratto dalla canna da zucchero), benzina o gas.

Il primo partner commerciale del Brasile è la Cina, che nel 2009 ha superato gli Stati Uniti. Pechino diventerà presto anche il maggior investitore: a fine 2010 si prevede che gli investimenti cinesi raggiungeranno i 10 miliardi di dollari contro i 92 milioni del 2009.

«Ho sempre pensato di non essere stato fortunato, di essere nato nel paese sbagliato. Adesso, per la prima volta, sento di essere nel posto giusto. Potremo fare grandi cose perché le barriere e la struttura della società stanno cambiando. Il Brasile sta vivendo adesso quello che l’Europa ha conosciuto negli anni ’60» (Leandro Silvera Pereira, 32 anni, responsabile dei programmi di formazione della Fondazione Getulio Vargas, principale think tank brasiliano).