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 2010  novembre 03 Mercoledì calendario

Dalla Bardot alle cene con Flaiano la vita da film dei fratelli Vanzina - Mai dare del tu ai camerie­ri, mai ordinare le polpette, mai bere il vino della casa, mai lasciare mance esagerate, mai entrare troppo in confidenza col proprietario

Dalla Bardot alle cene con Flaiano la vita da film dei fratelli Vanzina - Mai dare del tu ai camerie­ri, mai ordinare le polpette, mai bere il vino della casa, mai lasciare mance esagerate, mai entrare troppo in confidenza col proprietario. Non parlò co­sì Monsignor Della Casa, bensì Enrico Vanzina, evidente uo­mo di mondo, oltre che popola­re uomo di spettacolo. La ricet­ta, forse un po’ sorpassata, per vivere bene in trattoria, «un idil­lio che può durare tutta la vita », si estende, volendo, agli alber­ghi, alle amicizie e ai rapporti di lavoro. In sessant’anni, anzi sessantuno, di vita e quaranta di attività, Vanzina secondo (il primo è il celebre e amatissimo papà Steno, il terzo è il non me­no amato e o­rmai altrettanto fa­moso fratello minore Carlo) ha imparato l’arte sottile della di­plomazia e del quieto vivere, che sono poi la stessa cosa. Qualità (?) che emergono in pieno nel divertente, scorrevo­le e qua e là amaragnolo Una famiglia italiana , vanziniano romanzo-diario (Mondadori, 158 pgg, 18 euro), che parla di cinema e di affetti, di amori e di amici, di attori e di tv, con spre­co di superlativi ( intelligentissi­mo, simpaticissimo, elegantis­simo) e scrupoloso dosaggio delle frecciate. Mai cattive in ve­rità. La prefazione è del già cita­to, inseparabile, almeno artisti­camente, fratello Carlo, che con ammirevole sintesi, parla di sè in due paginette e mezzo, citando tre favolosi pezzi d’anti­quariato cinematografico, Bil­ly Wilder, Brigitte Bardot e Pe­ter Sellers, che, accanto al cen­travanti della Roma di mezzo secolo fa Manfredini, sì pro­prio lui il leggendario oriundo Piedone, e al risotto allo zaffera­no, fanno un menu da leccarsi i baffi. Completato dal budino alla crema con le banane taglia­te confezionato ogni domeni­ca da mamma Maria Teresa. Buona lettura, conclude Carlo, avvertendo che il libro di Enri­co è «un viaggio in una famiglia nata alla fine degli anni Qua­ranta, che attraversa metà del ventesimo secolo e oltre. Un viaggio pieno di personaggi e di luoghi fantastici». Tutto ve­ro. Ecco le cene a casa Vanzina, anfitrione ovviamente papà Steno, con Ennio Flaiano e Er­cole Patti. I due formavano una coppia «sensazionale», l’uno «apprezzava di Patti lo spesso­re letterario», l’altro riteneva Flaiano «troppo intelligente e anticonformista per vivere nel­l’-Italietta cattomunista degli anni ’50. Era la vera spina nel fianco degli intelligenti cretini. Insomma, della cultura ufficia­le. Con loro, Papà rideva fino al­le lacrime». A mettere insieme le amicizie famose di Steno ci vuole un archivio. Angelo Riz­zoli, Carlo Ponti, Fellini, Suso Cecchi D’Amico,Mario Came­rini, Panelli, Rascel, Aldo Fabri­zi, Walter Chiari, Vianello, Ma­rio Mattoli, Blasetti, Dino De Laurentiis, Totò, De Sica. In­somma, si fa prima a dire chi, nel gotha cinematograficosi ita­liano, non frequentasse assi­duamente i Vanzina. Compre­si dunque i piccoli Enrico e Car­lo, cresciuti a pane e spettaco­lo. Aneddoti? Ce n’è da metter su un negozio. Come Faye Du­na­way che lasciò Marcello Ma­troianni «più interessato alla pasta e fagioli che a lei». O Die­go Abatantuono, talmente ap­passionato di calcio in tv, che «sta sveglio fino alle quattro di notte a guardare anche il cam­pionato greco». E che dire del conte-attore emigrante per ca­so Galeazzo Bentivoglio, in ar­te Benti, su imposizione del fu­ribondo nonno? «Arrivava a ca­s­a nostra e ci raccontava del Ve­nezuela. Incredibile, spiegava, lì mi prendono sul serio». For­se pochi sanno che «l’unicoat­t­ore che mise in soggezione Pa­pà Steno fu Orson Welles. Rac­contava Papà che il primo gior­no di riprese di « L’uomo, la be­stia e la virtù tratto da Pirandel­lo, non trovava la forza di dire “motore”,avendo il più grande regista del mondo proprio lì, a fare l’attore per lui.Disse a Wel­­les: “Vuole darlo lei il moto­re?”. Welles rise e e rispose: “No, dottor Steno, faccia lei”». Compare perfino Montanelli nell’inedita veste di critico cine­matografico, pronto a bocciare un non meglio precisato film di Steno. Qualche anno dopo a una cena, «Indro vedendo Ste­no arrossì e andò a scusarsi con lui. Disse: “Sai Steno, io quel tuo film che ho stroncato non lo avevo nemmeno visto. Mi serviva per parlare male del ci­nema italiano”». Non nascon­de Enrico Vanzina di essere un grande appassionato di don­ne. Belle, si presume, anche se per rispetto alla devota, e pa­ziente, moglie Federica, si limi­ta all’essenziale del suo albo d’oro di conquistatore. Tipo questa lapidaria rivelazione: «La mia prima “fidanzata” fu Barbara Mastroianni. La figlia di Marcello. Quando ci ripenso mi accorgo, sul serio, che il ci­nema ha davvero incasinato la mia vita». Buffo, ma anche que­sto vero, sapete chi fu uno dei primi complici di scorribande amorose del giovane Enrico? Nientepopodimenoche l’inso­spettabile Luca Cordero di Montezemolo, complice di un viaggio a Cortina, con sosta pre­vista di tre giorni ed effettiva di trenta. Grazie a tale Jane per l’improvvisato pianista di pia­no bar Vanzina e di una inno­minata, e probabilmente inno­minabile, signora del Nord Est per il nobile partner. Tra ses­santadue foto, manco a dirlo di famiglia, spunta qualche afori­sma sparso a interrompere ri­cordi, pensieri, pillole di filoso­fia, raffronti nostalgici con un ir­ripetibile passato ( «Perché do­vrei interessarmi ai posteri? Co­sa hanno fatto i posteri per me?» Groucho Marx). Merce contagiosa, tanto da spingere Enrico Vanzina a piazzarci, con un pizzico di vanità, i suoi. Almeno uno sublime: «La poli­tica consiste nel convincere qualcuno a votare per te sulla base di un programma. Spes­so, televisivo».