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 2010  novembre 02 Martedì calendario

IN TEMPI SERRATI LA SCELTA DECISIVA TRA AFFIDO E COMUNITÀ

Poche regole, ma chiare e certe, molta prassi consolidata, qualche spazio alla libera iniziativa però sempre e solo nell’interesse vero del minore.

Le procedure per l’identificazione e l’affidamento dei minorenni in condizioni di abbandono morale (o materiale) – come nel caso di «Ruby» – scorrono su binari normativi semplici e su procedure scarne e veloci. Di solito, almeno. E quasi sempre le questioni più delicate si pongono quando il ragazzino/a, nonostante tutto, non l’abbia combinata così grossa da finire dritto in carcere, soluzione dolorosa ma che ha almeno il pregio di evitare la rincorsa alla struttura disponibile all’accoglienza. Nella grafica qui accanto, vengono messi a confronto gli eventi accertati nel caso del fermo di «Ruby» con norme e prassi di riferimento.

Il primo problema, quando una pattuglia si imbatte in una situazione borderline, è il trasferimento del minorenne in questura/caserma per l’identificazione. Se non ha documenti, al minore viene chiesto se abbia genitori, tutori o qualcuno che lo rappresenti da avvisare. «Nel caso non ci sia nessuno cui fare riferimento – dice Anna Cau, sostituto procuratore al Tribunale dei minori di Cagliari – scatta il dovere di protezione a carico dell’autorità, tenuta a trovare una famiglia o una comunità cui affidare, proprio in termini civilistici, il minorenne. Se è straniero? Non cambia nulla, la procedura è identica». Una procedura che corre sul filo del tempo, visto che di solito si preferisce evitare i pernottamenti in caserma, e che nella prassi magistrati e poliziotti concordano le soluzioni al telefono, in attesa della trasmissione degli atti di pg non appena ultimati e sottoscritti dagli ufficiali di polizia.

L’aspetto più lento e critico del procedimento è l’identificazione dei minorenni stranieri senza documenti. Avvisato il magistrato (ma alcuni tribunali invitano con circolari a procedere in autonomia) le forze dell’ordine prendono le impronte e le foto del fermato, e attendono le risposte dell’Afis (sistema automatizzato di identificazione delle impronte): in un paio d’ore le impronte vengono associate a un nome, che può essere stato solo «dichiarato» dal minore in un precedente controllo di polizia, oppure essere stato certificato dal suo consolato (procedura Cui, Codice univoco di identificazione).

Nel caso resti il dubbio sull’effettiva età del fermato, visto che i minorenni tra l’altro non possono mai essere espulsi (e spesso quindi i grandicelli cercano di approfittarne) la polizia procede a far radiografare il polso, standard medico ritenuto affidabile – comunque, fa testo – per determinare l’età e le conseguenze.

Sull’affidamento materiale del minorenne è rarissimo che sorgano problemi: o c’è una famiglia di origine adeguata, o situazioni familiari vicine e compatibili, oppure si va subito a cercare nelle comunità convenzionate, che esistono praticamente in tutti i comuni. L’affidamento alla comunità comunque non è un obbligo: la legge parla di un «luogo sicuro» e, siccome la finalità è «proteggere» il minore, il luogo può tranquillamente essere la casa di una persona fidata, amica, conosciuta, adeguata, in una parola responsabile.

Perché, appunto, l’affidatario diventerà a tutti gli effetti l’«esercente della potestà genitoriale» fino a nuovo ordine. Formula che ha molti significati: protezione, certo, ma anche sorveglianza, guida morale, presenza, prevenzione, proprio come un genitore; con la conseguenza, quindi, che se disattende le consegne, l’affidatario rischia il processo per abbandono di minore, con pene da 6 mesi a 5 anni, innalzate se chi è in difetto è, tra gli altri, un "tutore" incaricato. «Le regole sono chiare – aggiunge il sostituto procuratore Cau – non ci sono divieti nella scelta del luogo, perché tutto è fondato sulla responsabilità dell’affidatario, almeno fino al provvedimento definitivo del tribunale per i minori. In caso di inottemperanza la persona che ha ricevuto in custodia il minore risponde sia a titolo di responsabilità civile sia penale, esattamente come nella potestà genitoriale».

Chiara anche la prassi applicativa, almeno fino a oggi: la scelta del luogo di solito viene proposta dalla polizia giudiziaria – che ha il controllo in tempo reale sugli accertamenti svolti – e quasi mai rettificata dal giudice, perché fondata sul buonsenso e ragionevolmente orientata alla protezione del minorenne.