Massimo Sideri, Corriere della Sera 02/11/2010, 2 novembre 2010
LA SPOON RIVER DEI MESSAGGI NELLE SEGRETERIE TELEFONICHE
Appuntamenti persi, colloqui rimandati, il saluto di un vecchio amico che avrebbe fatto piacere ricevere; volendo fare un po’ i drammatici anche rapporti che potevano forse essere salvati con scuse che non arriveranno mai a destinazione. O pure — perché no? — qualche noia dribblata fortuitamente. Si potrebbe nascondere una nuova «Spoon River» dietro ai terabyte di messaggi che in molti non utilizzano più: quelli della segreteria telefonica. Chi li ascolta oggi? I più onesti banalmente lo confessano direttamente nella registrazione che ci attende al varco dopo pochi squilli: «Non lasciate un messaggio che non li ascolto». Insomma, richiamate! È un banale problema di concorrenza. Sms, Mms, email su smartphone e blackberry, messaggini istantanei, tweed («cinguettii») da 140 battute su Twitter, scambi continui su Facebook, vera catena di montaggio di mini-dialoghi 24 ore su 24. Diciamolo: oramai lasciare messaggi in segreteria sembra quasi fuori tempo massimo, demodé. Nel 2010 non c’è tempo per ascoltarli anche se c’è chi resiste: nell’era del tutto in «tempo reale» la segreteria telefonica che fondamentalmente non fa altro che «rinviare» la comunicazione non funziona più. Nell’era del digitale, il servizio analogico è come un vecchio vinile: migliore ma scomodo.
Talvolta è anche machiavellicamente «utile»: come nei casi in cui sono stati utilizzati degli sms per licenziare (disumano) o per mollare qualcuno (no comment). Certo, a contribuire al declino c’è da annoverare anche qualche problema tecnico: quante volte arrivano in ritardo? Magari il giorno dopo? O mai? E poi per ascoltarli si paga. Per lasciarli anche. Mentre il traffico dati è spesso a forfait. Insomma, è un gesto che sembra avviarsi verso il declino, forse anche perché la mania e anche l’ansia dell’always on (tradotto liberamente: sempre rintracciabili da amici, datori di lavoro, parenti, etc.) di certo ha decretato la fine delle segreterie da appartamento. Ma ha anche dato un serio benservito a quelle sui cellulari. Finita l’era vittoriana dell’organizzazione del lavoro, sempre più spesso capita di trovarsi di fronte all’email o ai social network negli orari più disparati.
Hollywood se n’è accorta da tempo: nei thriller la scena del protagonista che torna a casa e ascolta in una scena agghiacciante la voce dell’assassino di turno nella segreteria è stata rimpiazzata da tempo da un «bip» che arriva sullo smartphone. E così il servizio sembra destinato ad arricchire quel museo di oggetti, gestualità e servizi che non ci sono più. Come le cabine telefoniche che stanno scomparendo anche a Londra (belle); i fax (forse l’oggetto più brutto che abbia occupato un angolo di uffici e appartamenti) che in parte sopravvive perché, come sanno soprattutto i malintenzionati, è difficile da intercettare. Chi si ricorda poi del Teledrin, il cercapersone da ospedale da anni Ottanta? Tutti in soffitta.
Per la segreteria telefonica il destino sembra segnato: quando non sarà più conveniente offrirle gli operatori ne decreteranno ufficialmente la fine. Nel frattempo, qualcuno lascerà messaggi preferendo sempre la voce umana allo scorrere di linguaggi binari che si nascondono dietro le comunicazioni digitali a cui ci stiamo abituando. Nel museo ricordiamo almeno una cosa: come si scopre su Wikipedia, fu un italiano, Arnaldo Piovesan, a brevettarla per «ottimizzare gli ordini di una industria farmaceutica di Milano». Intuizione che fu poi venduta alla AT&T.
Massimo Sideri