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 2010  ottobre 31 Domenica calendario

UNA CAREZZA CONTRO IL DOLORE

Uno studio che fa luce anche su paradossi come quello dell’arto fantasma
Ecco perché toccandosi una zona che fa male si avverte conforto
Perché quando abbiamo mal di pancia tendiamo istintivamente ad accarezzarla o se abbiamo mal di denti ci portiamo la mano alla guancia? Perché chi ha un attacco di mal di testa si stropiccia la fronte e i capelli?
La risposta arriva da uno studio pubblicato su Current Biology da Patrick Haggard dell’Università di Londra: autocarezzarsi allevia le sensazioni dolorose. Potete verificarlo da voi ripetendo l’esperimento dei ricercatori londinesi. Prendete una tazza d’acqua gelata e una d’acqua calda. Immergete indice e anulare di una mano nell’acqua calda e dito medio in quella fredda: si formerà un cortocircuito di impulsi con una sensazione paradossale di calore insopportabile al dito medio, come se fosse immerso nell’acqua bollente.
Il termine s ci entif i co di questa prova è Tgi, sigla di Thermal grill illusion, cioè «illusione del cancello termico», ed è comunemente usata in laboratorio per studiare la percezione dolorifica senza procurare alcun danno reale.
Questa volta è servita a capire come la percezione dolorosa possa essere ridotta dalla percezione tattile: se alcuni dei partecipanti si accarezzavano con l’altra mano il dito falsamente bruciato, il dolore si riduceva del 64%. Ma se lo accarezzava un’infermiera il dolore non calava. Provate anche voi: se vi accarezzate da soli, il dolore sembrerà ridursi, ma se lo fate fare a qualcun altro non cambierà. D’altronde anche quando capita di bruciarsi un dito istintivamente lo accudiamo con l’altra mano, ma siamo restii a farlo toccare da altri.
Il cervello deve rendersi conto di come stanno le cose, perché nell’esperienza del dolore la rappresentazione cerebrale del corpo è fondamentale. L’accarezzamento è efficace non già perché induce una maggior vascolarizzazione sanguigna, come potrebbe sembrare pensando al benefico effetto dei massaggi.
Il processo è più complesso: accarezzare la zona dolente consente al cervello una sorta di verifica tattile della situazione. Una lesione dolorante fa perdere i contatti fra l’area corporea colpita e il cervello, che ha bisogno di ripristinarli sostituendo le informazioni propriocettive interrotte con quelle tattili delle carezze. Ogni dolore, acuto o cronico, è un segnale di allarme, ma l’accarezzamento trasmette al cervello un’informazione sensitiva di cessato allarme e il dolore diminuisce.
Si era sempre pensato che la sensazione dolorosa dipendesse dai segnali in arrivo al cervello dalla lesione periferica che, come dice la teoria del cancello formulata quasi cinquant’anni fa, possono essere più o meno modulati in periferia da determinate fibre nervose. La cosiddetta indifferenza congenita al dolore dei fachiri è l’estrema dimostrazione di come chi sappia chiudere quel cancello riesca a non sentire dolore.
Ma questo studio indica che il dolore dipende non solo da quanti impulsi dolorifici riescono ad attraversare quel cancello, ma anche da come il cervello integra quegli impulsi all’interno di una rappresentazione coerente della periferia corporea che recupera grazie agli impulsi tattili delle carezze.
Un esempio paradossale è la sindrome dell’arto fantasma, nella quale una persona a cui è stata amputata una mano può sentire dolore a un dito che in realtà non c’è più, ma che il cervello non ha ancora cancellato dal suo archivio corporeo interno.
E anche la cosiddetta allodinia di alcune persone che soffrono spesso di mal di testa, cioè il dolore scatenato dal minimo sfioramento (come nel pettinarsi e nel radersi), dimostra che, se il filtro cerebrale delle sensazioni è alterato dalla cefalea, una carezza può sembrare un pugno.
Cesare Peccarisi