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 2010  ottobre 31 Domenica calendario

FIAT, LA COSTITUZIONE E LA LOTTA DI CLASSE

Al di là degli aneddoti, il caso Fiat rivela quanto sia poco lungimirante impostare la vita aziendale sulla base dei meri rapporti di forza tra capitale e lavoro. I terribili anni 70 furono figli legittimi della piena occupazione raggiunta dopo 25 anni di compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori. L’attuale debolezza del sindacato occidentale dipende dalla concorrenza che viene dall’abbondanza di lavoratori a buon mercato nei Paesi emergenti. Ma la Grande crisi dimostra che la crescita dei Paesi avanzati alimentata dai consumi di una classe media che s’indebita genera squilibri fatali; il credito al consumo e i mutui senza copertura non compensano nel tempo l’insufficienza dei salari. Un’economia più sana esige più equità nella ripartizione del reddito, e dunque nuovi equilibri tra capitale e lavoro, meno schiavi dei rapporti di forza del momento e più fondati su pensieri lunghi.
Come arrivarci? Per quanto risalga agli anni 40, la Costituzione italiana indica tre terreni d’incontro con gli articoli 39, 40 e 46, rimasti lettera morta per le opposte chiusure corporative. L’articolo 39 sancisce la libertà di associazione sindacale, purché le organizzazioni abbiano statuti democratici. Ma le burocrazie si sono opposte all’attuazione di questo articolo per non avere un arbitro che certifichi gli iscritti, fonte del loro potere, e al quale si possa appellare chi ritenga lesi gli statuti. Al tempo stesso, il referendum tra le maestranze per l’approvazione degli accordi validi erga omnes è invocata dalla Cgil e subìta malvolentieri da Cisl e Uil. La Cgil e specialmente la Fiom si pongono all’avanguardia della democrazia (diretta), salvo relegarla in retroguardia laddove più degli altri osteggiano l’attuazione dell’articolo 40 che prevede una legge per regolare l’esercizio del diritto di sciopero. Nessuno contesta allo sciopero l’alto rango di diritto individuale, ma il suo esercizio dovrebbe aver senso solo se in forma collettiva, dunque normabile secondo democrazia: se gli accordi vanno validati da un referendum, perché non anche gli scioperi?
Democrazia e responsabilità possono generare potere. Tra i sindacalisti riformisti di ceppo cattolico e socialista e gli imprenditori per così dire olivettiani sta fiorendo la voglia di riprendere in mano l’articolo 46, che sancisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’impresa. Diritto, non dovere. Così impostata, la collaborazione implica una certa condivisione del potere, ovviamente in una cornice normativa tanto più solida quanto più recepisce accordi tra le parti. La più compiuta realizzazione dell’articolo 46 è il regime della codecisione: i rappresentanti dei soci e dei dipendenti decidono gli indirizzi e nominano i gerenti che poi governano in autonomia. Peccato che la codecisione sia legge in Germania, figlia della cultura democristian-socialista degli anni 50. In Italia, il sindacalismo di ceppo comunista, gli ex socialisti più anticomunisti e la Confindustria liberista non ci stanno: il primo nel nome della lotta di classe, gli altri nel nome di una collaborazione intesa come dovere, visto che implica il sì ai piani di Marchionne prima ancora di leggerli.
Massimo Mucchetti