Giovanni Stringa, Corriere della Srea 31/10/2010, 31 ottobre 2010
IL FLOP DELLA RIVOLUZIONE CLASS ACTION
La legge sulla class action all’ italiana ha ormai dieci mesi, ma finora nessuna causa dei consumatori si è mai spinta oltre lo stadio dell’ ammissibilità. La conferma è arrivata giovedì scorso, quando la Corte d’ Appello di Torino ha respinto il ricorso del Codacons contro l’ inammissibilità della class action verso Intesa Sanpaolo. In altre parole, è stato confermato lo stop, già deliberato dalla corte di primo grado, all’ azione promossa dall’ associazione dei consumatori contro alcune commissioni bancarie ritenute illegittime. Da quando è partita la nuova legislazione, lo scorso primo gennaio, sono sei (le rilevazioni sono della società di consulenza Nera) le class action promosse dalle associazioni dei consumatori. Senza contare quelle finora solo annunciate. E delle (almeno) sei già «in piedi», quella contro Intesa era e resta la più «in avanti». Adesso, la parola passa infatti alla Corte di Cassazione, alla quale il Codacons intende rivolgersi. Mentre per le altre cinque cause il giudizio positivo o negativo sull’ ammissibilità è ancora da venire. Tre sono state promosse sempre dal Codacons, e le altre due da altrettante associazioni, l’ Adc e l’ Unione nazionale consumatori. La class action all’ italiana, insomma, sul campo non è ancora decollata. In un momento, tra l’ altro, delicato per tutti gli aspiranti promotori di azioni collettive nel mondo, al di fuori degli Stati Uniti. Una recente sentenza della Corte suprema Usa (caso Morrison contro National Australia Bank) ha infatti sostanzialmente sancito che la Giustizia a stelle e strisce non può «ospitare» le class action promosse da investitori stranieri (quindi anche italiani) contro una società estera a proposito di azioni acquistate su una Borsa non americana. E’ una sorta di «Giustizia americana agli americani» che - così hanno commentato alcuni analisti - rappresenta un’ arma in più per gli uffici legali di molte multinazionali. Per gli italiani si fa quindi sempre più «obbligata» la scelta dell’ azione collettiva tricolore. In una legislazione dove, come hanno scritto i consulenti di Nera in un rapporto sulle cause collettive, «ci sono ancora incertezze sulla sua interpretazione», anche per il fatto che siamo ancora al primo anno di vita. Mentre negli Stati Uniti, patria per eccellenza delle class action, nei primi sei mesi del 2010 sono partite oltre 100 cause legate alla Borsa (ma in numeri sono decisamente più bassi in altri Paesi come Australia e Canada). Le richieste danni finora depositate in Italia, intanto, arrivano (singolarmente) fino a 10,5 miliardi di euro. Ma il capitolo delle cause collettive non si chiude qui. Perché nel corso del 2010 è partita anche una seconda legge sulla class action tricolore: quella contro la pubblica amministrazione. Con alcune cause, anche qui, già lanciate. Senza risarcimenti in denaro, ma con l’ obiettivo di correggere l’ inefficienza dello Stato. Niente miliardi, quindi, anche solo nelle intenzioni.
Giovanni Stringa