Guido Olimpio, Corriere della Sera 31/10/2010, 31 ottobre 2010
«SPARA AL BASTARDO» DA REAGAN A OBAMA LA SCELTA DEI PRESIDENTI
«Just shoot the bastard», spara al bastardo. Questo l’ ordine impartito, sotto Bush, a intelligence e forze speciali impegnate nella caccia ai terroristi, a cominciare dal fantasma Bin Laden. Arrivato Barack Obama - rivelano gli 007 - l’ ordine non è cambiato. Anzi, gli omicidi mirati sono aumentati, dalla Somalia al Pakistan. «Facciamo meno prigionieri», ammettono i funzionari. E nella lista dei bersagli c’ è finito il piccolo Osama, l’ imam Anwar Al Awlaki, mentore spirituale dei qaedisti yemeniti. Da aprile, Cia e Pentagono hanno avuto l’ autorizzazione a farlo fuori. Lo cercano i velivoli senza pilota, provano a localizzarlo i satelliti spia, sono in attesa, pronti al lancio sulle navi in Mar Rosso, i missili da crociera. La Casa Bianca, quando promette di distruggere la Al Qaeda yemenita, pensa anche all’ imam. Perché è ritenuto l’ ispiratore dell’ attentatore di Natale, dello sparatore di Fort Hood e di molti convertiti occidentali pronti a colpire gli Stati Uniti. L’ antiterrorismo ritiene che abbia avuto un ruolo nel piano dei pacchi-bomba insieme all’ artificiere del gruppo, Ibrahim Al Asiri. Trasformare Al Awlaki in un target non è stato e non è semplice. Primo perché il terrorista è scaltro. Dispone di molti rifugi nello Yemen, appare ben protetto e, quando può, si tiene informato su quello che dicono di lui. In una recente intervista ha sostenuto di essere sfuggito ad un raid Usa (dicembre 2009) dopo aver letto sul Washington Post (16 novembre 2009) che gli americani spiavano le sue comunicazioni: «È così che mi sono salvato». Forse è solo una provocazione ma che dimostra come Al Awlaki giochi con i mass media. Poi c’ è una questione legale che, da sempre, crea dilemmi a presidenti su come trattare i nemici. Stretti tra l’ esigenza di sicurezza e il rispetto delle regole democratiche. Di origini yemenite, Anwar è nato a Las Cruces, New Mexico, ed ha vissuto per molti anni negli Usa. Dunque sarebbe protetto dal Quinto emendamento che tutela ogni cittadino degli States. Ma, come hanno precisato i capi dei servizi, l’ immunità cade quando il cittadino rappresenta «una minaccia» per i suoi connazionali. E Al Awlaki lo è. Basta ascoltare i suoi appelli sul web a uccidere a Washington o Detroit. Non la pensa così il padre, Nasser, che ha lanciato un’ azione legale contro il direttore Cia, Leon Panetta, e il segretario alla Difesa, Robert Gates. Un’ iniziativa per sapere quale è stato il meccanismo che ha portato il figlio nella lista nera. L’ intelligence ha risposto opponendo il segreto di Stato. Anche se è abbastanza chiaro come sia avvenuto. L’ elenco dei morti che camminano è redatto dagli 007 con l’ approvazione del consigliere per la sicurezza nazionale. Si esamina il dossier, si valutano «le possibilità di successo e i rischi di danni collaterali», infine arriva la luce verde. E l’ imam, coinvolto in così tanti complotti contro l’ America, è trattato alla stregua di un «nemico combattente». Nessun diritto, nessuna tutela. Lo hanno paragonato a un collaboratore dei nazisti. Per alcuni è una linea coerente con quanto approvato dopo l’ 11 settembre. Ma il dilemma c’ è e non è nuovo. Ronald Reagan ha cercato di far fuori Gheddafi e poi è toccato a Saddam Hussein. Nel mezzo terroristi meno conosciuti, narcos e prede ambite come Al Zarqawi e Bin Laden. In marzo, il segretario alla Giustizia Eric Holder si è lasciato scappare che Osama «non comparirà mai in un’ aula di tribunale». Affermazione che voleva dire: se possiamo, lo uccidiamo. Poi ha rettificato, tradendo preoccupazioni legali e morali. Il politicamente corretto - dei democratici - prevede un processo anche per il Califfo del terrore e la rinuncia a sistemi extragiudiziari (tortura, prigioni segrete). «Non possiamo venire meno ai nostri principi», disse Obama il giorno dell’ investitura. Passata la festa, il presidente ha autorizzato un aumento dei raid dei droni - veri cecchini volanti - che hanno incenerito molti capi di Al Qaeda in territorio somalo, in Yemen e nell’ area tribale pachistana. Un’ azione che la Cia ritiene efficace ma che - avvertono esperti di questioni legali - in futuro potrebbe costare a piloti e addetti ai missili un processo per crimini di guerra. La Casa Bianca ne è consapevole, però davanti a un nemico sfuggente pensa che la risposta sia una sola. «Spara al bastardo».
Guido Olimpio