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 2010  novembre 01 Lunedì calendario

HI-TECH. L’ULTIMA BOLLA? I MATERIALI STRATEGICI


Prezzi alle stelle, bolla speculativa in Borsa, paura di vendette protezioniste. La disputa sulle «Terre rare» fra la Cina, che ne detiene il quasi monopolio, e il resto del mondo ha scatenato una nuova tempesta sui mercati, aggiungendo un ulteriore elemento di incertezza al quadro della debole ripresa economica.
L’Unione europea, gli Stati Uniti, il Giappone stanno valutando come rispondere alla decisione di Pechino di tagliare le esportazioni di questi minerali diventati preziosissimi per il crescente utilizzo che ne fa l’industria dell’alta tecnologia (vedere tabella). Il ministro dell’economia tedesco Rainer Brüderle ha chiesto all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) di intervenire, e il Parlamento americano sta valutando il varo di incentivi e assistenza per la ricerca e sviluppo di fonti alternative domestiche.

Crisi orientale
La crisi delle terre rare si è aggravata a settembre, quando ha assunto anche una valenza politica fra Cina e Giappone in rapporto a una disputa sulle rispettive acque territoriali. Le autorità di Tokio avevano arrestato il capitano di un peschereccio cinese che aveva speronato la barca di una guardia costiera giapponese vicino a un’isola contesa fra i due Paesi. L’incidente diplomatico (non ancora risolto) ha preso una piega economica con lo stop delle esportazioni di terre rare dalla Cina al Giappone. Pechino nega di aver deciso l’embargo, ma gli operatori del settore confermano che la consegna delle materie prime si è fermata.


Prima di questo, la Cina aveva comunque scelto di ridurre l’esportazione di questi minerali spiegandolo con «motivi ambientali» e scatenando una ridda di interpretazioni sui veri motivi.

La ragione più benigna — secondo il

— è mostrare i muscoli per rintuzzare le tentazioni protezioniste dei partner commerciali e soprattutto degli Stati Uniti, dove in vista delle elezioni politiche di domani, martedì 2 novembre, molti candidati hanno alzato i toni polemici contro la Cina accusandola di concorrenza sleale e promettendo contromisure.

Alta tecnologia

Un’altra lettura invece parte dalla constatazione che dietro il made in China dei prodotti più sofisticati — proprio quelli che usano le terre rare come i o gli iPod — c’è una catena produttiva dove i segmenti a più alto valore aggiunto non sono controllati dai cinesi, ma da chi crea e sviluppa quei prodotti in altri Paesi. La scommessa di Pechino può allora far leva sui preziosi ingredienti per costringere le multinazionali a muovere in Cina anche il resto del processo produttivo: una strategia pericolosa per le altre nazioni, anche dal punto di vista della sicurezza, visto che le terre rare sono utilizzate fra l’altro per la produzione di componenti di armi «intelligenti».

Geopolitica e affari

«Le materie prime sono diventate un problema geopolitico, ne abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo», ha confermato il presidente della Confindustria tedesca Hans-Peter Keitel. Ma il direttore generale del Wto Pascal Lamy ha già fatto sapere che sulla materia la sua organizzazione ha le mani legate: il Wto può intervenire sulle restrizioni alle importazioni, ma il controllo delle esportazioni di risorse naturali attiene alla sovranità nazionale.

Intanto dall’estate scorsa i prezzi delle Terre rare sono triplicati o addirittura decuplicati, a seconda dell’elemento in questione. E parallelamente sono decollate in Borsa le quotazioni delle compagnie minerarie che vantano il possesso di giacimenti in Usa, Canada e Australia. Anche questi Paesi infatti hanno queste risorse e le avevano sfruttate fino agli anni Novanta, quando l’estrazione si era fermata perché troppo costosa in confronto all’offerta proveniente dalla Cina.

Via alle riaperture

Ora riavviare quelle miniere e aprirne altre può essere di nuovo redditizio. La società australiana Lynas (+ 120% il prezzo delle sue azioni negli ultimi tre mesi) sostiene di essere pronta a iniziare la produzione di terre rare nel 2011; anche l’americana Molycorp (+150%) dice di poter riaprire l’anno prossimo una miniera che era stata chiusa nel 2002 per motivi ambientali e perché i prezzi allora erano troppo bassi; mentre l’avvio dei lavori di estrazione sembra lontano per le canadesi

(+50%) e (+300%), che vantano giacimenti rispettivamente in Alaska e in Wyoming.

Alcuni analisti mettono in guardia sui rischi di questo

delle quotazioni: in alcuni casi i rialzi sono motivati da promesse d’affari per ora solo sulla carta.

Per esempio secondo il rapporto di uno short seller (speculatore al ribasso) citato da

, il giacimento in Wyoming di

era stato esplorato da altre tre compagnie minerarie, abbandonato da tutte e tre, e non presenta alcun segno di attività (vi lavorano due dipendenti e l’azienda vi ha investito meno di 7 mila dollari negli ultimi tre anni).