Valerio Maccari, Affari&Finanza 1/11/2010, 1 novembre 2010
WIKILEAKS, TUTTI I MISTERI DI UN SITO CORSARO
Fa letteralmente tremare i governi, pubblicando documenti top secret e video che smentiscono le versioni ufficiali dei fatti. I suoi redattori vivono seminascosti, sostenendo di essere perseguitati dai governi di mezzo mondo a causa delle verità scomode che rivelano. E’ Wikileaks, una "not for profit media organization" – come si descrivono loro stessi – fondata nel 2007 da un gruppo di volontari per pubblicare informazioni di pubblico interesse celate da governi e multinazionali, fornite da dissidenti di tutto il mondo. Ne riassume perfettamente la filosofia il nome un gioco di parole tra Wiki, il formato di pubblicazione di Wikipedia, e Leaks, letteralmente "fuoriuscite, fughe di notizie". Figlio della cultura del nomadismo digitale americano e dei partiti pirati europei, di indymedia e del web 2.0, Wikileaks è un sito di informazione a metà tra il giornalismo tradizionale e lo user generated content.
Attraverso una casella elettronica (drop box), raccoglie via rete segnalazioni e materiali, garantendo l’anonimato della fonte. La redazione in seguito, con l’aiuto e la partecipazione della comunità digitale, verifica la veridicità del materiale, e lo pubblica. Il suo ultimo scoop è costituito dagli Iraq War Logs, più di 400mila verbali secretati dell’esercito americano sulla guerra irachena. Documenti che hanno scosso anche l’Italia, fornendo rivelazioni chiave sulla morte di Nicola Calipari e di Salvatore Marracino, e dando informazioni mai emerse su un’azione militare italiana che ha portato all’esplosione di un’ambulanza sul ponte orientale di Nassirya.
Ma il prezzo delle verità di Wikileaks è la segretezza. Il server è affidato a una compagnia svedese la cui policy è "non fare domande". E per ragioni di sicurezza si sa poco o niente sull’identità e la posizione dei componenti della redazione, che dovrebbe essere costituita da cinque membri fissi e circa 800 collaboratori sparsi per tutto il globo. L’unico volto noto dell’organizzazione è Julian Assange, portavoce ed editor in chief. Giornalista, programmatore e attivista Internet, prima di Wikileaks l’australiano Assange faceva parte di un gruppo di hacker e ha collezionato 24 condanne per pirateria informatica. Attualmente è indagato in Svezia per lo stupro di una ragazza avvenuto ad agosto di quest’anno. Come sia approdato a WikiLeaks non è informazione pubblica, così come la nascita dell’organizzazione. Le dichiarazioni al riguardo di Assange sono un sostanziale no comment: "nel gruppo dei fondatori sono presenti rifugiati, dalla Cina e da altri Paesi. E hanno famiglie da proteggere". Non si possono ricavare molte informazioni nemmeno sulla casa editrice, la Sun Shine Press, altra organizzazione non profit per cui Wikileaks è l’unica pubblicazione.
Tanto mistero su struttura e fonti ha portato in molti a dubitare della natura stessa di Wikileaks, e si è fatta strada la voce che l’organizzazione sia in realtà al soldo di qualche intelligence. La voce deve essere molto diffusa, visto che sul sito è presente – nella sezione "Le persone dietro Wikileaks" – una giustificazione preventiva sui supposti collegamenti di Wikileaks con lo spionaggio internazionale. Dove si sostiene la totale indipendenza dei redattori. "Per provare la veridicità delle nostre affermazioni", c’è scritto, "guardate l’evidenza. Per definizione, le agenzie di intelligence nascondono le informazioni. Noi vi abbiamo dimostrato di voler fare l’opposto".
Per i detrattori, però, le rivelazioni potrebbero essere guidate. In dubbio anche lo status "corsaro" della redazione, e soprattutto la caccia all’uomo di cui i componenti – Assange in primis sostengono di essere oggetto. "Sembra trattarsi più di una strategia pubblicitaria che di fatti realmente accaduti", sottolinea Gawker.com, una delle voci più critiche nei confronti di Wikileaks.
Lascia spazio a teorie cospiratorie anche l’assenza di informazioni sulla LeakOnomy, il modello di sostentamento del servizio. Insomma, chi la finanzia? Secondo le dichiarazioni di Assange, il sito ha bisogno, per essere pienamente operativa, di 600mila dollari l’anno. Il denaro non arriva attraverso contratti pubblicitari, anche perché il sito è sorprendentemente poco visitato, al 2367esimo posto secondo il ranking di Alexa. I finanziamenti arrivano per lo più dalle donazioni provenienti da giornalisti, avvocati e tecnologi coinvolti a vario titolo nell’organizzazione. Solo il 10% delle entrate arriva dalle donazioni online dal sito.
Anche Ap, Los Angeles Times e The National Newspaper Association sostengono il sito, offrendo legali in caso di difficoltà.
Nel futuro, però, Wikileaks ricaverà sostegno principalmente dai contributi di giornali e case editrici, spiega Assange. "Il costo del giornalismo investigativo è molto alto, e noi lo rendiamo più economico, permettendo ai giornali di massimizzare i profitti ed evitare responsabilità legali". Incerte, però, le modalità. In Venezuela, Wikileaks ha messo all’asta un suo scoop su Freddy Balzan, exspeech writer di Hugo Chavez e ambasciatore in Argentina. Asta cancellata, "perché un vero incubo logistico". Più gestibili sembrano essere i contratti di esclusività – di cui non si sa il valore – stretti con Stern e Heise in Germania. Il modello è stato adottato anche in altri paesi, ma non è noto, ad oggi, se esiste un accordo del genere anche con qualche editore nostrano. I soldi comunque sembrano ancora non essere sufficienti per finanziare l’attività di Wikileaks. "I redattori fissi ed io viviamo delle nostre finanze private", avverte Assange. "Abbiamo quasi tutti fatto un po’ di soldi su Internet, ma non potremo andare avanti così per sempre".
A conferma della gravità della situazione, a dicembre scorso Wikileaks è stato chiuso per breve tempo. La grande mobilitazione mediatica seguita alla chiusura ha però permesso agli uomini di Assange di raccogliere circa 80mila euro da donazioni private.
Ma questi fondi, in parte, Wikileaks li deve ancora ricevere. Per ragioni di sicurezza, infatti, il sito invitava i visitatori a donare non direttamente a lui, ma alla fondazione Wau Holland, in Germania, dove la legge permette di non rendere pubbliche le identità dei donatori. Alla fondazione, in seguito, Wikileaks ha inviato le fatture da pagare, facendole passare attraverso una serie di associazioni onlus, e nascondendo in questo modo le identità dei destinatari delle transazioni.
Un sistema di scatole cinesi, messo in atto allo scopo preciso di ridurre al minimo la trasparenza finanziaria. Perfetto per mantenere l’anonimato sia delle aziende che lavorano con WikiLeaks sia dei donatori. Ma che ha giocato, alla fine, a sfavore del sito. I troppi passaggi di mano delle donazioni hanno infatti insospettito PayPal e MoneyBookers, partners bancari della Wau Holland. Che, temendo che in realtà si tratti di riclaggio, ha bloccato tutti i trasferimenti che gestiva per conto della fondazione.