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 2010  novembre 01 Lunedì calendario

MEDICINALI, ENERGIA, MATERIALI. TUTTE LE NUOVE RISORSE DEL MARE


Medicinali contro il cancro. Energia. Carburanti. Nutrienti alimentari addizionali. E persino biolenti, cioè lenti da vista biologiche. Il mare non è solo una risorsa alimentare, peraltro stressata dall’eccesso di pesca industriale. La ricerca già da un decennio ha varcato la soglia dei laboratori marini per diventare un’attività industriale in grado di produrre crescenti volumi economici e grandi aspettative che stanno suscitando l’interesse di investitori di tutto il mondo.
La frontiera più interessante e affascinante è quella della farmacoterapia: PharmaMar, startup iberica fondata nel 1986 e oggi controllata dal gruppo Zeltia quotato a Madrid, è profittevole dal 1998 grazie al successo conseguito da Yondelis, il primo ritrovato farmaceutico sviluppato dai ricercatori a partire da invertebrati marini selezionati e studiati con un approccio biofarmacologico. Yondelis è un farmaco che ha ottenuto il via libera alla commercializzazione dall’Unione Europea nel 2007 per la cura del sarcoma dei tessuti molli in stadio avanzato dell’adulto. A conferma della sua efficacia nel novembre del 2009 Yondelis ha ottenuto dalla Commissione Europea la seconda autorizzazione alla vendita, per il trattamento del carcinoma ovarico recidivante platinosensibile, mentre si trova in Fase II degli studi per la cura del cancro al seno, alla prostata, al polmone e dei tumori pediatrici. Altri quattro composti sono in fase di sviluppo clinico con la prospettiva di essere autorizzati entro 18 mesi per diversi campi di cura, dal trattamento del mieloma multiplo alla mielofibrosi, dal cancro al polmone al linfoma a cellule T.
Ovviamente PharmaMar è uno dei principali sostenitori della Convenzione di Rio de Janeiro per la Biodiversità: per esplorare i fondali viene utilizzato un piccolo robot guidato dalla superficie che consente di individuare le aree dove è effettivamente indispensabile l’intervento umano per prelevare i campioni. «Ad oggi nei nostri laboratori sono conservati 95000 campioni di origine diversa», spiega Luis Mora, managing director. «Conduciamo progetti di ricerca con i più importanti istituti farmacologici in tutto il mondo e in Italia abbiamo una forte collaborazione col Mario Negri di Milano e con diversi centri di cura». Lo scorso anno PharmaMar ha realizzato vendite per 80 milioni di euro e prevede un forte incremento del fatturato grazie all’approvazione di nuovi ritrovati molto promettenti.
Se la biomedicina sta facendo passi da gigante è ancora in fase di ricerca il Laboratorio di biomineralizzazione dell’Università di Stanford guidato da Joanna Aizenberg, pioniere dell’utilizzo dei sistemi biologici, marini e non, per la sintesi di nuovi materiali. I risultati più interessanti di questa ricerca sono la produzione di biolenti che utilizzano nanomateriali ricostruiti studiando le modalità di visione dei vertebrati delle profondità marine. E si stanno anche sviluppando nuove proteine. Le temperature di 0,8° presenti nel Mare Artico dovrebbero essere sufficienti a congelare il pesce: il punto di congelamento dei pesci è, infatti, di 0,9°. Il fatto che le specie antartiche siano in grado di continuare a muoversi a queste temperature interessa i ricercatori da molto tempo. Già cinquant’anni fa, particolari proteine antigelo – chiamate AFP, Anti Freeze Proteins – sono state trovate in questi pesci: si tratta di proteine che funzionano meglio di qualunque antigelo sintetizzato dall’uomo. Ma sino a poco tempo fa non era chiaro come funzionassero: i ricercatori dell’Università della RuhrBochum hanno usato una tecnica particolare, la spettroscopia terahertz, per sviscerare il meccanismo di fondo. Con l’aiuto di radiazioni, il movimento collettivo di molecole di acqua e delle proteine può essere registrato. Così, il gruppo di lavoro è stato in grado di dimostrare che le molecole d’acqua allo stato liquido, che di solito sono costantemente in movimento, sono costrette in presenza di queste proteine a muoversi in modo più ordinato. L’oggetto delle indagini in corso è la glicoproteina antigelo del Merluzzo nero Antartico. I ricercatori hanno riscontrato che la proteina ha un particolare effetto a lungo raggio sulle molecole d’acqua circostanti. Quest’effetto, che impedisce la cristallizzazione di ghiaccio, è ancora più pronunciato a bassa temperatura che a temperatura ambiente.
Poi c’è il capitolo dell’energia. Sono trent’anni che si investe nella ricerca di soluzioni efficaci per produrre elettricità dal moto ondoso e dalle maree e ci sono applicazioni importanti come quella di Saint Malo in Bretagna che copre il 3% del fabbisogno energetico della regione. Sono ancora pochi però i progetti sulla wave energy che sono riusciti ad entrare in fase industriale. Il problema più rilevante è la caducità delle installazioni: la forza del mare, sino ad oggi, ha battuto qualsiasi turbina marina. Ora ci prova un matematico italiano, Michele Grassi, laureato alla Normale di Pisa e PhD all’Università della California, che vive e lavora a Londra da molto tempo e dove ha fondato la 40thSouthEnergy. L’idea è effettivamente rivoluzionaria: invece di una pala eolica sottomarina, come si presentano, banalizzando, i progetti di wave Energy, si tratta di un sofisticato sistema di galleggianti collegato a motori elettromagnetici in grado di produrre energia sopravvivendo alla devastante forza del mare. «Abbiamo raggiunto la scala produttiva con l’installazione, al largo delle coste italiane, del primo impianto da 100 kW – spiega Grassi – che rappresenta un modulo dei cinque che si possono collegare a raggiera comandandolo in remoto e governandolo a seconda dell’andamento del moto ondoso». L’impianto progettato dagli ingegneri, tutti pisani, che lavorano alla 40 SouthEnergy non necessita di aree marine protette perché proprio grazie al meccanismo dei galleggianti il sistema è in grado di abbassarsi qualora vi sia il passaggio di eventuali navi o il moto ondoso di superficie possa assumere una forza devastante.
Altro grande filone, in parte già industrializzato e in parte ancora concentrato nei laboratori, è quello delle alghe per la produzione di biocarburanti, idrogeno, enzimi, biomasse o addirittura per catturare la CO2. Da Brindisi a Porto Marghera sono molti gli impianti pilota che stanno già lavorando per l’utilizzo di alghe mentre le grandi multinazionali del settore dell’energia hanno destinato, secondo le stime di alcuni ricercatori, oltre 500 milioni di dollari nello sviluppo di decine di progetti sperimentali.