Paola Jadeluca, Affari & Finanza 1/11/2010, 1 novembre 2010
JIHONG, LA GURU CINESE CHE INSEGNA ALL’OCCIDENTE COME FARE INNOVAZIONE
«Se avessi detto trent’anni fa che avrei insegnato come fare business in Cina, sarebbe suonato folle. La Cina era povera, pericolosa, isolata, vecchia. A sei anni, quando andavo alle elementari nessuno avrebbe detto che la Cina sarebbe diventato il motore economico del mondo e io non avrei mai immaginato che avrei sposato un americano». Jihong Sanderson, 48 anni, è una delle cinesi più influenti della comunità economica internazionale. Fondatrice e fino a pochi anni fa direttore esecutivo del Center for Research on Chinese and American Strategic Cooperation all’Università di Berkeley, uno dei più autorevoli think tank, è tra le maggiori esperte di globalizzazione, tecnologia e innovazione. Insegna alla Haas School of Business dell’Università della California Berkeley, ma è anche guest professor dell’Università di Pechino. Insignita del "2009 Innovative China Brand Woman", è stata invitata a Milano dalla Fondazione ItaliaCina per partecipare a "Fare Affari in Cina 3.0", il quarto China executive seminar (CESE) organizzato in collaborazione con Assolombarda mercoledì prossimo, e al convegno China Watcher, in collaborazione con Ispi, che si tiene giovedì.
Jihong Sanderson, un nome che non suona familiare, come può essere quello di Stephen Roach. E’ lo scotto che pagano tanti cinesi famosi in occidente. Wen Jiabao, il premier, neanche gli speaker televisivi lo sanno dire a memoria. Shi Zhengrong, il più grande produttore di pannelli solari al mondo, non viene certo in mente a molti. Cosi è per Xiu Qialong, uno dei più magistrali scrittori di gialli, autore di intrecci che raccontano la Cina di ieri e quella di oggi meglio di tanti saggi. Lo stesso è per Zhang Dalì, tra gli artisti più geniali dei nostri giorni. Suoni difficili da pronunciare, impossibili da ricordare. Impossibili, come le montagne dei dipinti cinesi: «Sembrano impossibili da guardare, e io sono cresciuta all’ombra di montagne cosi alte, nella provincia del Guizhou, dove sono nata e ho studiato», racconta, scegliendo con cura ogni parola.
Donna abituata a trattare con il duro mondo degli affari, ha un linguaggio dolce, quasi poetico, all’orientale. E non è per interesse o per vergogna che ha cambiato il cognome. Anzi. I cinesi che frequentano la comunità internazionale usano prendere un nome di battesimo occidentale, come Jerry Yang, fondatore di Yahoo!. Lei ha mantenuto il suo, Jihong. Il cognome Sanderson, invece, è quello del marito Jon, che lei ha adottato per l’anagrafe americana. Lui, uomo d’affari, ha a sua volta preso quello di lei, Wu, al quale ha aggiunto Da Sheng, la grande foresta: uno scambio, come gli anelli sull’altare, per rinsaldare l’unione. «Usiamo il nome cinese in Cina e quello americano in Usa», spiega Jihong. Uniti nella vita, come negli affari. Lui, consulente di management e finanza, sta lavorando per aiutare le imprese cinesi ad approdare in Usa. Lei, ora, è impegnata sul fronte opposto: insegna agli occidentali "come fare affari in Cina", il titolo di uno suoi libri di maggior successo, tradotto e venduto in 20 paesi.
Tra gli impegni attuali quello di "thought leader", nel gergo hitech genio dell’innovazione, in Sap, il gigante delle architetture di sistema, dove lavora al successo di personaggi come Bill McDermott e Jim Hagemann Snabe. Ha lavorato anche per Dell, Ibm e Tesco. Consigliere di top manager e personalità di governo, sia americani che cinesi, guai a estorcerle qualche aneddoto o nome. Ma qualcosa trapela. Molti, per esempio, pensano che dietro alle pirotecniche iniziative di Samuel J. Palmisano, il Ceo di Ibm, ci sia stato anche lo zampino di Jihong. Lei cinese, insegna l’innovazione agli occidentali. Emblema di quello che sta succedendo nel mondo. «Gli Usa sono ancora in termini percentuali i maggiori investitori, ma investono in ricerca di base o prima commercializzazione racconta invece la Cina sta investendo sempre più sull’immagine e sulla percezione del design del prodotto. Ormai ha professionisti preparati in ogni campo della R&D, le basi per iniziare a essere molto più orientata verso l’innovazione».
Quando Jihong torna in Cina la prima tappa è Zhuhai, a due passi da Macao, mezz’ora di battello da Hong Kong, dove risiedono ora i suoi genitori. Zhuhai, che significa mare delle perle, è nella zona economica speciale di cui parte anche Shenzen, nel Guandong, la prima area industrializzata della Cina. E’ l’area dove ha iniziato a prendere piede la riforma economica lanciata da Deng Xiao Peng, che ha portato la Cina tra i paesi più industrializzati del mondo. A Zhuhai è iniziata l’avventura nel mondo anche di Jihong. A metà degli anni Ottanta, insieme a tanti compagni di classe, per avere più libertà e guadagnare meglio si sposta nella zona franca sulla costa. Con la sua laurea in economia trova lavoro alla Icbc, Industrial and Commercial Bank of China, oggi gigante del credito mondiale. Il primo stipendio era 84 dollari americani al mese.
Nel tempo libero fa trading alla borsa di Shenzen, che aveva aperto giusto in quegli anni. Come lei, comprano e vendono azioni i suoi compagni di classe. Le scommesse sono nel Dna dei cinesi. E lo scalping, il trading frenetico, in questa terra è molto popolare. «Siamo diventati tutti milionari in poco tempo», racconta, come se ancora si stupisse di quello che tutti considerano un miracolo. Il miracolo cinese. Quando lascia l’Asia per l’Europa, nel 1990, e poi per gli Usa, al suo capo che le chiede come farà a mantenersi, mostra un sacchetto di plastica: c’era il corrispettivo di 500.000 mila dollari americani. Il totale ricavato da tutte le azioni. La dote per volare oltre frontiera.
Compagni ricchi. Altri famosi. Come Liou Zhu Qing, una delle poche donne generali del Pla, People’s Liberation Army, l’esercito cinese, ma è anche medico ed è stata la prima donna in Cina a vincere il Women’s World Outstanding Invention Award dall’Onu. «Sono la madrina di suo figlio», racconta. Donne. Donne importanti. Donne di ferro, come è stata ribattezzata Wu Yi, fino al 2008 vice primo ministro della Repubblica Popolare. La cinese che ha raggiunto la più alta carica nel mondo. Jihong ha lavorato anche con lei, per molti anni, con il team sulla proprietà intellettuale. La proprietà intellettuale è stato uno dei programmi fortemente voluti da Wu Yi, per far conoscere al mondo l’altra Cina, quella della tecnologia, delle auto e motorini elettrici, della biotecnologia. Un tema che il governo sente molto forte. Tanto che ha spedito un pool di giudici della suprema corte a formarsi proprio alla Università della California a Berkeley: l’insegnante, ovviamente, è stata Jihong.
Veste Gucci ma anche casual, e qualche volta qualche raro capo cinese. Mangia almeno una volta a settimana cucina italiana, in particolare ama gli spaghetti. La preferita però è la cucina del Sichuan, piccantissima e speziata. Un mix che riflette il suo stile di vita, diviso tra gli Usa e la Cina. «La vita è esperienza, la più ricca forma di benessere, visitare e vivere posti differenti è il più grande regalo per me». Gettare un ponte tra aziende e istituzioni dei due paesi è questo il suo lavoro. Un compito non facile, considerati i conflitti che dividono Usa e Cina. «Dal punto di vista politico ci sono grandi conflitti, ma la realtà è molto più sfumata», afferma convinta. «La Cina, per certi versi, è parte degli Usa in molti modi. Per esempio, io sono cittadina americana e partecipo attivamente alla vita sociale, ma etnicamente mi sento cinese. E il 30% della popolazione di San Francisco, dove vivo, è asiatica e si sente come me. Tra gli Usa e la Cina, inoltre, c’è un fitto scambio economico e forti partnership. Questo scambio si è evoluto, dai giocattoli alle tshirt è passato alla ricerca in outsourcing e a fondi di venture capital congiunti. Dunque Usa e Cina sono molto più legate che divise. I politici amano attaccare la Cina. Io definisco la Cina "l’oppositore che non perde" perché i politici l’attaccano e i media pure senza conseguenze affatto». E la rivalutazione dello yuan? «Io penso che "gradualmente", e gradualmente in Cina vuol dire molto più rapidamente che in Europa, lo yuan sarà basato sul mercato. E la rivalutazione dello yuan sarebbe un beneficio per la Cina, dove l’economia corre per risparmi, investimenti e consumi domestici: renderebbe ogni input per l’industria cinese meno costoso. Storicamente le aziende manifatturiere a basso profitto lasciano i paesi che raggiungono certi livelli di crescita. Io penso che la Cina sia arrivata a questo livello, e vedremo molti di questi business spostarsi, verso il Vietnam, il Bangladesh e l’Africa, non certo in Usa o Germania».
Ma l’occidente ha sempre più paura dei capitali cinesi, ha paura dell’ingerenza del governo e dei capitali pubblici negli affari economici. «Ma la Cina non è mai stata un paese coloniale. Per molte caratteristiche i cinesi sono ancora visti come nemici. Ma guardiamo ai fatti: quanti soldati cinesi stazionano all’estero? Quanti soldati americani? Quanti asset controllano i cinesi in Usa e gli Usa in Cina? Quale è l’effetto di questo controllo? A un certo livello ogni gruppo etnico è visto con diffidenza: è successo in Usa con gli irlandesi, con i cattolici, anche con gli italiani. Poi passa quando si entra in confidenza, quando un ponte personale è costruito».
Ma la diffidenza riguarda anche lo stato di polizia cinese. Il Nobel appena dato al dissidente Liu Xiabao, da anni in prigione, getta inquietanti interrogativi. «Molti cinesi hanno simpatia per i fatti di Tiananmen del 1989. Ma d’altro canto pochi cinesi butterebbero via cosa hanno guadagnato economicamente, socialmente e anche politicamente. La Cina degli anni 80 non esiste più, ci sono elezioni libere in oltre 6.000 città. La vita quotidiana in Cina è molto più libera che in California per molti versi. I cinesi non tornerebbero mai indietro, ritengono il governo un buon governo che dà cose buone al popolo. Credo che il comitato Nobel non conosca bene la Cina».