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 2010  novembre 01 Lunedì calendario

L”INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA BORSA


«La verità – spiega il broker un po’ triste – è che non ci sono in questo momento grandi affari in vista». «Si farà qualcosa, certo, perché se ti danno i soldi a gratis e se i bond appena appena sicuri rendono zero, alla fine devi andare a comprare qualcosa in Borsa. Ma che cosa? In questi mesi abbiamo già fatto tutto: gli emergenti, l’America Latina, la Malesia, ecc. Ormai siamo alla fine. Siamo qui, con alle spalle montagne di denaro a tasso zero e pochissimi affari davanti. Gli utili delle aziende vanno bene, ma non c’è niente di eccezionale».

«Tutti noi guardiamo i nostri schermi alla mattina alla ricerca del drive giusto, della tendenza che cambierà il mercato, ma è come interrogare un foglio bianco. Tutto ci appare uniforme, ugualmente piatto».
«Con una possibilità – continua il broker – e cioè che le grandi banche, che pure devono movimentare qualcosa, alla fine sbattano giù il mercato (dovevano già averlo fatto l’estate scorsa, ma poi hanno rinunciato), giusto per far vendere un po’ di clienti e poi farli rientrare». «Se vuole la mia previsione personale, a parte l’eventuale scivolone ai primi di novembre, si finirà l’anno grosso modo dove siamo adesso. Con il 5 per cento in più o in meno. E alla fine tireremo un sospiro di sollievo. Nessuno di noi pensava che sarebbe finita così bene. Siamo tutti stanchi e stressati».
Per rendersene conto, basta voltarsi indietro e vedere da dove arrivano i mercati. Nel grafico degli ultimi dieci anni di Standard & Poor’s è contenuta tutta la storia recente (e anche un po’ il futuro) delle Borse. La sua lettura, per una volta, è di una semplicità disarmante.
Che cosa dice, allora, il grafico? Se guardate bene, vedrete che fino all’autunno del 2002 le quotazioni scendono, e anche abbastanza in fretta. In sostanza, si stavano esaurendo tutti gli impulsi precedenti (e c’era anche l’effetto dell’assalto alle Twin Towers). Poi, un po’ prima della fine del 2002, la musica cambia e l’indice comincia a salire. E non si tratta di una salita di una settimana o due. Siamo di fronte a una vera crescita che va avanti per ben cinque anni, cioè per 60 mesi. E non si tratta nemmeno di cosa da poco. Un grandissimo periodo di boom. Chi vi ha creduto ha fatto i soldi per davvero. Anche se magari li ha persi subito dopo.
Quando l’impennata comincia, l’indice SP 500 si trova a quota 800 (veniva giù da quasi quota 1600) e nel suo volo verso l’alto raggiunge, a fine 2007, il livello di 1561,80. Di fatto, cioè, torna a dove si trovata prima della grande discesa, raddoppia. È in quei cinque anni, come si vede chiaramente dal grafico, che matura la bolla che poi esploderà, che rischierà di portare l’intero mondo in recessione e di cui non ci siamo ancora liberati oggi.
Come ognuno può cercare di ricordare, non c’era alcuna ragione per alimentare un rialzo così forte. Non c’erano innovazioni tecnologiche forti, non c’erano nuovi territori o nuove scoperte. C’era solo, se vogliamo, il fatto, che le Twin Tower erano cadute, ma il mondo no. Anzi, a voler essere precisi, c’erano ragioni contrarie: due guerre in più, ad esempio. Afganistan e Iraq, più moltissima tensione internazionale dovuta all’assalto alle Twin Towers e alla comparsa sulla scena di Al Qaeda. Niente, o quasi, giustifica quel rialzo di 60 mesi e il raddoppio delle quotazioni. Se non il fatto che, una volta innescata la corsa al rialzo nessuno ha più ritenuto di fermarla, a un certo punto. Anzi, in fondo una Borsa allegra e ottimista serviva un po’ anche in versione antiAl Qaeda.
Alla fine del 2007 scoppia tutto, almeno in Borsa, anche se poi la consapevolezza mondiale di quello che sta accadendo si avrà solo un anno dopo (chiusura della banca Lehman), e si vede benissimo che nell’autunno del 2008 il grafico comincia a precipitare davvero. È in quel momento che il mondo cambia segno (dal più al meno), ma il grosso pubblico, probabilmente, è ancora convinto che si tratti solo di qualcosa di temporaneo.
Invece, da questo momento in avanti è un crollo continuo. E si tratta di un crollo fra i più clamorosi di tutti i tempi, un vero naufragio in grande stile.
L’indice SP 500 fra il 10 dicembre 2007 e il 3 giugno 2009 scende da quota 1561,80 a quota 683,38. In pratica, si dimezza e oltre. E questo è il prezzo che le Borse mondiali, di cui lo SP 500 è rappresentativo, pagano alla Grande Crisi. Si tratta di due anni nei quali un po’ tutti avevano disperato di venirsene fuori. Sembrava che le cose potessero solo andare sempre peggio e che per la finanza mondiale fosse suonata l’ora della fine. Il pessimismo, dentro questo crollo, è al massimo. Molti si domandano se le Borse avranno ancora un senso. E se varrà la pena di perdere tempo (e soldi) con i titoli azionari.
Ma, proprio nel giugno del 2009, c’è la grande svolta. La paura comincia a passare e i mercati cominciano a riprendersi. Da allora, sia pure fra alti e bassi, è tutto un salire alla riconquista delle posizioni perdute. Il mondo (e i mercati finanziari) si sono rivoltati un’altra volta. Dietro questa inversione di rotta non ci sono cambiamenti di umore, ma un fatto preciso. La Federal Reserve americana e il governo della Casa Bianca fanno capire di essere pronti a fare qualsiasi cosa per impedire che tutto crolli. Abbiamo preso una grandissima legnata, ma non ci arrendiamo: ecco i soldi per andare avanti. Si ricorda che il capo della Fed , Ben Bernanke, è sopranominato "Elicopter Ben": «Sono pronto a gettare dollari dall’elicottero sulla città americane, pur di evitare una recessione». Insomma, Fed e Casa Bianca sconfiggono la paura.
Oggi, a fine ottobre, mentre questo giornale va in stampa, l’indice SP 500 è poco sotto quota 1200. E qui si entra nella parte che riguarda il futuro. Secondo alcuni ottimisti la prossima tappa è quota 1300, e poi via ancora più in alto. Secondo altri, invece, lo SP 500 si muoverà quasi indefinitamente fra quota 1100 e quota 1200, in attesa di tempi migliori.
I sostenitori di questa tesi prudente e un po’ attendista sostengono che i conti delle aziende stanno migliorando (ma non l’occupazione), però il quadro complessivo non è ancora sicuro e allora è meglio accontentarsi di un indice che è quasi raddoppiato rispetto al momento più buio, quando stava a quota 683.
In questo ottovolante delle Borse c’è una storia che riguarda piazza Affari. Molto semplice, e la si ricava dall’indice di Mediobanca. Milano va meglio quando le cose vanno meglio, sta più in alto dello SP 500, ma va peggio quando le cose vanno peggio. Qualcuno dice che le cose sono così perché nella Borsa italiana contano molto di più le banche (che sono state al centro della Grande Crisi). Ma non è proprio così. La verità è che c’è una debolezza organica della Borsa italiana, facile agli entusiasmi come alle successive fasi depressive. È più speculativa, poco flottante e molte mani forti. Ci vuole poco a far volare (o a far precipitare) i titoli di piazza Affari. Il futuro, comunque, sarà circa come quello immaginato per l’SP 500: grosso modo stabile per molti mesi, con variazioni non decisive verso l’alto o verso il basso. Salvo due varianti.
La prima è che il 2 novembre ci sono le elezioni di midterm in America e questo, si dice, porterà sù i listini (dovrebbe essere una vittoria repubblicana, e questo piace ai mercati). Ma, si aggiunge, soprattutto dovrebbe impedire alla Casa Bianca di spendere altri soldi e di varare altre riforme costose. La Federal Reserve, inoltre, ha deciso di fare un altro tentativo per rilanciare l’economia americana, stampando una quantità impressionante di dollari. E queste due cose potrebbero dare ragione a quelli che vedono lo SP 500 a quota 1300, e poi ancora più in alto.
La Federal Reserve farà la sua prima riunione, dedicata a questo argomento, il 3 novembre, cioè il giorno dopo le elezioni di midterm. E c’è grande attesa. C’è chi sostiene che la Fed si appresta a stampare una quantità mostruosa di dollari. E chi invece dice che proseguirà poco alla volta, ma implacabilmente, fino a quando i mercati non si saranno ripresi. Fra l’altro, a forza di stampare dollari, il biglietto verde dovrebbe indebolirsi e questo dovrebbe avvantaggiare le esportazioni delle imprese americane ai danni di quelle europee. La Fed, dicono alcuni osservatori, andrà avanti come un treno. Anche perché l’America non ha più altre armi per sostenere la sua congiuntura. E evitare di andare di nuovo in recessione.