Giampiero Gramaglia, il Fatto Quotidiano 2/11/2010, 2 novembre 2010
GLI USA PRONTI A TRADIRE OBAMA E IL PRESIDENTE SI RIVOLGE AL MONDO
Un presidente più coinvolto in prima persona in politica estera, dopo il voto di Mid Term di oggi, che – dicono i sondaggi - vedrà un successo dei repubblicani e una sconfitta dei democratici. Lo prevede Johnatan Laurence, politologo ed editorialista. La lezione di metà mandato al presidente in carica è quasi scontata nei riti politici Usa. “Perdono e spesso si ri-orientano verso gli esteri, perché governare sul fronte interno diventa più difficile, senza maggiorana in Congresso: così, vedremo forse Obama più impegnato, a esempio, nei negoziati di pace in Medio Oriente”. Docente al Boston College, ricercatore associato alla Brookings Institution, Laurence (che parla anche un buon italiano) scrive anche per l’Economist e il WP. ‘Obamiano’, ammette: “Dopo il voto, si troverà in una posizione difficile. Ma lui, quando è in difficoltà, ritrova forza e coraggio. Però, se l’economia non si risolleva, dovrà lottare ancora sul fronte interno per non perdere la Casa Bianca nel 2012”.
È una possibilità concreta?
Per ora no, perché nessun candidato coagula l’opposizione. Se Sarah Palin o Newt Gingrich cercheranno la nomination, sull’onda di un successo del Tea Party, una nuova generazione di Re-pubblicani credibili emergerà solo dopo le presidenziali 2012. Gente come la Palin o Gincrich rischiano di essere ostaggi del Tea Party, invece di cavalcarlo; ed è un giocare con il fuoco, perché più Tea Party significa in realtà meno Partito repubblicano.
Perché quest’avvertimento dell’elettorato a metà mandato?
Detto che i risultati restano incerti (i democratici potrebbero conservare il controllo del Senato e perdere quello della Camera, ma non è detto), sarebbe strano non perdere terreno a metà mandato, quando si sgonfia lo spirito della vittoria. In questa condizioni economiche, poi, sarebbe miracoloso che fette dell’elettorato non esprimano un voto di protesta, che non è però detto arrivi alle presidenziali.
Una delle prime vittime del ‘nuovo corso’ potrebbe essere proprio il principale risultato conseguito da Obama in politica estera…
In effetti, la Russia potrebbe farne le spese perché il nuovo trattato sulla riduzione degli armamenti strategici deve essere ratificato tra autunno e inverno. Se Obama non avrà il sostegno di due terzi dei senatori, incasserà una sconfitta pesante. E anche sull’Afghanistan chi arriva al Congresso targato Tea Party cercherà solo di mettere il bastone fra le ruote al presidente”.
Un maggior impegno di Obama in politica estera non
comporterà di per sé cambiamenti di linea in Medio Oriente o verso la Cina. E per l’Europa?
Verso l’Europa, c’è una continuità d’atteggiamento delle Amministrazioni Usa. Ora il tema è quello della difesa anti-missile, per la quale ci sono già stati adeguamenti senza dar l’impressione di piegarsi ai voleri di Mosca. Una presa di posizione forte dei repubblicani potrebbe rimettere in discussione la decisione.
E in Afghanistan, Obama potrebbe tenere in serbo sorprese?
Non è certo il momento di mostrare un’America muscolare, ma piuttosto che sa adeguarsi alla situazione. Obama ha già fatto il suo surge, mentre ora che si parla di negoziati, sia pure condizionali, l’accento cade più sull’impiego delle forze speciali contro il terrorismo, sulle caratteristiche del contingente che resterà dopo l’inizio del ritiro, sull’addestramento delle forze locali.
E nei confronti dell’Italia?
I rapporti sono buoni: quelli bilaterali, nella Nato, nell’Isaf, nella lotta contro il terrorismo. L’Italia è considerata un alleato efficace e necessario, ma il rapporto bilaterale non è molto discusso. In Afghanistan, ci si aspetta, dopo l’inizio del ritiro, continuità di impegno, in una suddivisione dei compiti che veda l’Italia impegnata soprattutto sui fronti civile, delle infrastrutture e dell’addestramento. Cose che sapete fare meglio di noi.