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 2010  novembre 01 Lunedì calendario

Siamo il Paese che butta il cibo - Lo spreco alimentare ha molte facce e genera una filiera, parallela a quella produttiva ma in senso contrario

Siamo il Paese che butta il cibo - Lo spreco alimentare ha molte facce e genera una filiera, parallela a quella produttiva ma in senso contrario. Si spreca nei campi agricoli, nelle cooperative, nelle industrie di trasformazione, nelle imprese di distribuzione, nelle case dei consumatori. E così rinunciamo al 26% del pesce, al 36 dei cereali, al 41 della frutta e della carne, al 48 delle verdure. Buttiamo ogni anno 3,7 miliardi di euro, il valore di una media manovra economica, lo 0,3 per cento del Prodotto interno lordo. Non siamo i soli: secondo la Fao, la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire 12 miliardi di persone. Ma questa è una magra consolazione. L’analisi delle cause Il Libro nero sullo spreco agroalimentare in Italia oltre a denunciare il volume degli sprechi, gli esperti ne analizzano le cause, individuano gli anelli della catena in cui avviene la «dispersione», provano a proporre soluzioni. Teoricamente, ogni italiano dispone ogni giorno di 3.700 chilocalorie di cibo: una volta e mezza il suo fabbisogno energetico. In realtà, «l’eccesso di calorie a disposizione degli italiani non sempre, anzi quasi mai, viene consumato» (se così fosse, l’intera popolazione soffrirebbe di obesità, mentre «solo» il 67% degli uomini, il 55 delle donne e il 33 dei bambini è in sovrappeso). In gran parte, dunque, l’eccesso di calorie a disposizione «viene perso lungo tutta la filiera. Ogni giorno, una certa quantità di cibo, pur essendo perfettamente consumabile, viene gestita come rifiuto». Un paradosso con conseguenze pesanti sotto diversi punti di vista: alimentare, ambientale, sociale, economico. Il primo anello della catena è lo spreco nei campi. L’anno scorso, secondo i dati Istat, 17,7 milioni di tonnellate della produzione agricola è rimasta sui campi. Si tratta del 3,3 per cento. I picchi riguardano gli ortaggi (12,5), legumi e patate (5,2). I motivi? «Si va da ragioni meramente estetiche a quelle commerciali (prodotti fuori pezzatura) o di mercato (costi di raccolta superiori al prezzo di mercato)». «La quantità di ortofrutta sprecata nel 2009 avrebbe potuto soddisfare le esigenze di una seconda Italia, o di una Spagna». Il secondo anello è lo spreco nelle cooperative o organizzazioni di produttori. In un anno 73 mila tonnellate di prodotti vengono ritirati dal mercato per evitare il crollo del prezzo (tra le destinazioni, il compostaggio e la distillazione). Di questi, solo il 4 per cento non viene sprecato. Con un ulteriore paradosso. L’Ue finanzia l’acquisto e la distruzione di questi prodotti. «Un controsenso, uno spreco nello spreco. Contemporaneamente si finanziano gli agricoltori per rimanere in campagna per produrre e la distruzione di parte di quei prodotti». «Anche l’industria alimentare non è scevra dagli sprechi». Un’indagine a campione stima la dispersione in 2 milioni di tonnellate di prodotti, il 2,2 per cento. In gran parte, diventano rifiuti (un costo aggiuntivo). Quanto ai mercati all’ingrosso e alla distribuzione organizzata, la quota di spreco è stimata intorno all’1 per cento. Anche in questo caso, per «motivi di mercato». «La situazione è ancora peggiore passando all’ultimo anello»: noi consumatori. Nelle mense scolastiche lo spreco raggiunge il 13-16 per cento, nelle famiglie il 17 sull’ortofrutta e il 39 su latte, uova, carne, formaggi. Le cause sono le stesse: «eccessi di acquisti e danneggiamento/deterioramento del prodotto per eccesso di giacenza in dispensa». L’impatto sociale Gli esperti hanno misurato l’impatto sociale, economico e ambientale dello spreco. E infine provano a rispondere alla domanda: che fare? Due le proposte: favorire la conoscenza del problema a ogni livello, per far crescere la consapevolezza soprattutto nei consumatori, e promuovere politiche fiscali che incentivino i comportamenti virtuosi. L’esempio è la tariffa sui rifiuti: dove funziona bene (l’esempio citato è Verona) è possibile ottenere uno sconto su quanto viene donato e non gestito come rifiuto. L’effetto è duplice: chi non spreca risparmia 100 euro per ogni tonnellata di frutta o verdura e consente di nutrire mille persone al giorno. Dipendiamo dal settore pubblico e siamo abituati a litigare con la calcolatrice. Quando andiamo al supermercato stiamo attenti: pasta, riso e conserve non mancano mai; ma certo non possiamo permetterci dolciumi o altri generi alimentari di prima scelta». Roberto Onofri, presidente della cooperativa sociale Arché, gestisce una comunità residenziale per minori in difficoltà a Cesena: una casa, otto adolescenti, otto cartelle e via moltiplicando. Sono questi ragazzi i primi beneficiari della filosofia «last minute market» adottata da «Alce nero & Mielizia», la società leader nella produzione e distribuzione di prodotti biologici, che ha lanciato la catena di ristocaffè «Alce Nero cibo cucina caffè Bio». Il primo punto vendita ha aperto nella città romagnola, in via Cervese 364, a due passi dalla comunità. «Quattro volte alla settimana un operatore si reca in negozio prima di cena accompagnato da un ragazzo – racconta Onofri - . Di solito tornano con due buste piene di pizzette, brioches e altre prelibatezze gastronomiche. Per noi è un piccolo lusso. Qualcosa viene mangiato subito, il resto a colazione». Sembra tutto semplice. Eppure dietro questa semplicità ci sono anni di fatica e tante piccole attenzioni quotidiane. «Il punto vendita ha una superficie di 220 metri quadrati; da una parte il negozio, dall’altra la ristorazione – spiega Giuseppe Brai, il responsabile -. L’obiettivo è avere un esercizio commerciale che non spreca niente, dall’inizio alla fine: se nel reparto ortofrutta avanza qualcosa lo cuciniamo, idem per i prodotti in scadenza. Due “guardiani” controllano che ci sia sufficiente merce esposta, ma allo stesso tempo verificano che non ne venga prodotta in eccesso. A fine giornata abbiamo fra i tre e i cinque chili di prodotti da donare alla comunità. Inoltre differenziamo i rifiuti e gli scarti biologici vengono trasformati in compostaggio». Ma non è finita: la plastica è bandita, l’acqua è gratuita, il consumo di energia è ridotto al minimo e l’edificio è costruito con materiali naturali. Entro dicembre il modello verrà replicato nel centro di Bologna. «E’ tutto pronto – conferma Lucio Cavazzoni, presidente di “Alce nero & Mielizia, 1200 soci, 400 prodotti, e 40 milioni di fatturato -. Il problema è che dobbiamo convincere il Comune a organizzare una raccolta differenziata seria che comprenda l’organico e gli oli esausti. È impegnativo, ma abbiamo scelto di diffondere lo spreco zero in tutta la filiera».