Erich Salerno, Il Messaggero 30/102010, 2 novembre 2010
LA REGGIA ROMANA DI NWANZE, “ZAR” ANTI-POVERTÀ DELL’ONU
Si costruisce verso l’alto. Il territorio è piccolo, la popolazione aumenta. Nascono come funghi piccoli grattacieli con appartamenti. Si costruisce nel lusso e i prezzi delle case sono alle stelle perché l’economia di guerra, qui nel centro finanziario dell’Autonomia palestinese, tira come a Tel Aviv dove l’incertezza sventolata dalla propaganda ufficiale israeliana sembra favorire e non scoraggiare l’arricchimento. All’interno di questa economia, ammette un funzionario europeo, fiorisce l’ “industria del processo di pace” finanziata con donazioni americane, prestiti e ampi contributi offerti dall’Ue spesso per mascherare l’incapacità del vecchio continente di spingere la regione verso la convivenza. «In queste circostanze – dice – viene il dubbio che per molte persone, da una parte come dall’altra, la pace potrebbe essere un cattivo investimento. E viene il dubbio, anche, che alla fine siamo noi a finanziare l’occupazione».
Ramallah dista da Gerusalemme poche decine di chilometri. Dagli ultimi piani delle nuove costruzioni si scorgono quelle della città santa. Se mai ci saranno due stati, per andare da uno all’altro sarà sufficiente attraversare la strada. Nonostante il Muro, l’economia dei due contendenti è strettamente collegata: l’interscambio tra le due entità supera i 4 miliardi di dollari. La Palestina importa ed esporta soltanto con il beneplacito israeliano e questa imposizione riguarda anche gli europei. «Un esempio per tutto», dice un esperto italiano: «Noi doniamo ai palestinesi medicinali che acquistiamo dall’importatore palestinese. Ma lui è costretto a comprarli dall’importatore israeliano». Il premier Fayyad sta tentando di tagliare il nodo imposto dall’occupazione e il presidente Abbas ha chiesto alla popolazione di boicottare i prodotti israeliani e di non lavorare negli insediamenti. Ma così come gli operai palestinesi continuano a costruire le colonie ebraiche, nei supermercati di Ramallah la maggior parte di ciò che si vede è arrivato passando da Israele. I diplomatici parlano ma non vogliono essere nominati. «L’Ue è il maggiore azionista di un processo politico a cui non partecipa. Washington guida e noi seguiamo, oggi come ieri, senza sapere dove la Casa Bianca vuole approdare. Direi di più: con i nostri aiuti economici stiamo favorendo l’arricchimento di una piccola parte della popolazione». D’altra parte, in questa economia di guerra, o di industria del processo di pace, sguazzano tutti. I dirigenti del lussuoso centro per la pace voluto da Shimon Peres a Tel Aviv, denuncia Yossi Melman su Haaretz, più che di diplomazia si occupano di industria e commercio.
L’altro giorno a Gerusalemme, seduto nel patio del famoso American Colony Hotel, mangiava l’ex presidente americano Jimmy Carter anche lui impegnato a dire la sua sul conflitto. E’ lo stesso albergo dove l’Ue ha preso in affitto un piano intero: 2 milioni di euro all’anno per ospitare Tony Blair con il suo seguito. Gli fanno compagnia altri manager dell’industria della non pace a partire da quelli dell’Onu. L’Italia non ha più tanto da investire da queste parti ma conti alla mano una percentuale “non indifferente”, dei 100 milioni di euro stanziati negli ultimi tre anni “torna o resta in Italia” per le spese di gestione della cooperazione; per lavori eseguiti in Italia come il progetto di fattibilità per un magnifico parco industriale a Jenin – “soltanto 200 mila euro” - messo in un cassetto per quando la Palestina sarà indipendente.