R. Pol, Il Messaggero 2/11/2010, 2 novembre 2010
«IRRINUNCIABILE L’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA»
«Carriere separate sì, ma mai assoggettamento dei pubblici ministeri all’esecutivo». Gianfranco Fini torna ad attaccare sul tema della giustizia. E da Bari, dove interviene ad un convegno sul ruolo del Csm, mette in guardia sul rischio di affidare ai non togati «un eccessivo peso», rinunciando così, a suo dire, all’indipendenza della magistratura. Ma è naturalmente la vicenda Ruby ad agitare anche i finiani. Carmelo Briguglio chiede l’intervento del Copasir: «C’è una questione di sicurezza intorno al premier». «Non ci interessano le frequentazioni pseudo veritiere o meno del premier con minorenni», sottolinea Nino Lo Presti, «ma è chiaro che un uomo politico deve essere sempre da esempio ai suoi elettori». L’imbarazzo è tanto, insomma, fra gli alleati. E’ sul piano dei contenuti, però, che Fini preferisce dichiarare guerra al Cavaliere.
«Sarebbe un grave errore - dice il presidente della Camera, ribadendo i paletti di Futuro e Libertà sulla riforma - ritornare come ai tempi del regime fascista». La terza carica dello Stato, che rilancia anche sulla necessità di cambiare la legge elettorale per consentire ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti, si schiera dalla parte dei magistrati. Che fanno «un mestiere difficile» e sono «più esposti che in passato a giudizi e critiche». E, talvolta, anche «ad attacchi del tutto privi di fondamento», a cui Fini invita a rispondere «con il lavoro, la devozione alle istituzioni repubblicane e il comportamento lontano da manie di protagonismo». Lo scontro con i berlusconiani, insomma, resta aperto: «Se le ragioni delle modifiche proposte sono giustificate col clima di tensione che vede contrapposti, da un lato, la magistratura o parti di essa e, dall’altro, frange pur rilevanti del potere politico, simili soluzioni appaiono ancora più rischiose».
A maggior ragione «in un clima già oggi così poco disteso», osserva ancora Fini, in cui «le interferenze fra potere politico e funzione giurisdizionale sarebbero destinate a intensificarsi». Tutto questo porterebbe «a una spirale di intrecci e cortocircuiti fra politica e giustizia sempre più forti e pericolosi, in particolare per la credibilità delle nostre istituzioni». Ecco perchè la riforma della separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, che «non sarebbe motivo di scandalo», e la conseguente creazione di due sezioni specializzate del Csm, deve essere fatta secondo Fini «senza rinunciare all’indipendenza della magistratura». Che viene garantita dallo stesso organo di autogoverno dei magistrati, la cui composizione attuale è ritenuta dal presidente della Camera «adeguatamente bilanciata».
Al presidente della Camera, insomma, non piace l’idea del governo di riformare il Csm. «Un eccessivo peso ai non togati - dice al riguardo - esporrebbe l’organo ad una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l’imparzialità dei giudici». E con una pericolosa «alterazione dell’equilibrio fra i poteri dello Stato». Stesso motivo per cui boccia anche le ipotesi di attribuire maggiori poteri al ministro della Giustizia, perchè sarebbe «un’altra intromissione dell’esecutivo nel governo della magistratura», e respinge la proposta di rafforzare l’autonomia della polizia giudiziaria dai pm, che intaccherebbe la «rilevanza della figura del magistrato nel nostro sistema». La stella polare della riforma della giustizia deve essere, piuttosto, «quella di restituire efficienza al sistema».
R.Pol.