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 2010  ottobre 31 Domenica calendario

L’antisemitismo fascista? Era nelle coscienze degli italiani - Nel suo nuovo saggio­Il fascismo e la razza

L’antisemitismo fascista? Era nelle coscienze degli italiani - Nel suo nuovo saggio­Il fascismo e la razza. La scienza italiana a le politiche razziali del regime (il Muli­no, pagg. 444, euro 29) – Giorgio Israel dà la mazzata finale alle re­sidue speranze che gli italiani, nel 1938 e negli anni successivi, non siano stati razzisti. A lungo, e tuttora, si è tentato di spiegare quel razzismo «come una manife­stazione dell’odio di classe (...) un “fenomeno secondario” che aveva poco a che vedere con quel­lo nazista, perché il fascismo di­scriminava, non perseguitava». Prova ne sia, prosegue Israel, che dopo la guerra molti degli «autori dei misfatti razziali e quanti si era­no compromessi furono assolti con grande generosità. Furono lo­ro restituite le posizioni di potere di cui avevano goduto negli anni del fascismo».E non solo dal pote­re democristiano. È vero, non abbiamo avuto Au­­schtwitz, ma «essere cacciati dal posto di lavoro per motivi di raz­za » non era un gioco di società, co­me sottolinea Israel. Il quale forni­sce una documentazione minu­ziosa e radicale di come in tutte le attività del regime e del Regno d’Italia,scienziati,burocrati e im­piegati, commercianti e militari, gerarchi e intellettuali abbiano applicato –in maggioranza e con tranquilla coscienza - leggi che oggi appaiono inaccettabili. Un esempio che mi ha colpito direttamente è quello di Giusep­pe Bottai, personaggio che studio da quarant’anni.La prima edizio­ne del mio libro, del 1976, si intito­lava Giuseppe Bottai, un fascista critico , perché in quell’epoca un fascista intelligente, fattivo e one­sto non poteva che essere «criti­co »; la seconda, del 1996, si chia­mò Giuseppe Bottai, fascista , a te­stimoniare che un simile, positi­vo personaggio, poteva anche es­sere fascista; la terza, che sta per uscire, si chiamerà semplicemen­­te Giuseppe Bottai , perché il gerar­ca e intellettuale si è ormai con­quistato un posto nella storia d’Italia ben al di là del suo essere fascista. Insisto su Bottai perché il libro di Israel lo sottopone a una disa­mina spietata, sottolineandone ogni mossa, come ministro del­l’Educazione nazionale, per epu­rare quanto di ebraico ci fosse nel­la scuola, nell’università e nella cultura italiana. L’eccellente, ineccepibile lavoro di Israel ha fi­nito per confortare la mia idea sul comportamento di Bottai e degli italiani durante le leggi razziali fa­sciste. Soprattutto sui motivi pro­fondi – quasi ancestrali - di quel comportamento. Quanto al ge­rarca­fascista sarebbe ancora faci­le dimostrare quanto l’antisemiti­smo fosse culturalmente lontano dalla concezione di vita di Bottai: e che la sua visione del mondo non si sposava affatto con le azio­ni intraprese per quella battaglia. Sarebbe anche facile evidenziare quanto la sua rivista Critica fasci­sta ospitasse le più canzonatorie ironie verso chi auspicava già dal­la metà degli anni Trenta l’istitu­zione di un razzismo italiano. Ma ciò non basta, né è utile una spe­cie di inchiesta difensiva. Può essere un attenuante il fat­to che lo zelo dimostrato contro gli ebrei dal ministero fosse para­dossalmente motivato, anzitut­to, dall’efficientismo di Bottai? Varate in estate, le leggi razziali dovevano essere applicate subi­to per avviare un anno scolastico in regola con le nuove norme. Di certo, la stragrande maggioranza degli intellettuali italiani si alli­neò alla politica razziale con una solerzia che sfiorò la più ottusa e adulatoria abnegazione; che fu proprio la classe culturale la più pronta a aderirvi con un’acquie­s­cenza che si valeva di appigli ide­ologici, ancorché variegati e fu­mosi. Lo stesso Israel dimostra che gran parte del mondo scientifico – dall’eugenetica all’antropolo­gia alla demografia – contribuì in modo attivo alla politica razziale, con impegno di studi, teorie e ini­ziative. Il problema,insomma,in­veste tutta l’intellettualità e la sto­ria italiana. Inoltre, l’antisemiti­smo in salsa italiana finiva per contagiare proprio quegli am­bienti, ammalati di antiborghesi­smo a tutti i costi, che attribuiva­no all’ebreo- più che tare biologi­che - le tendenze più spregevoli del conservatorismo sociale e del­­l’egoistica, parassitaria difesa di ricchezze e privilegi atavici. È comunque attribuibile a Bot­tai la responsabilità di provvedi­menti, alcune volte accettati pe­dissequamente dall’alto altre sol­lecitati in prima persona. Basti pensare al censimento da lui di­sposto nel secondo semestre del 1938, per accertare la razza dei membri che popolavano accade­mie e istituti di cultura. Iniziativa, tanto per cambiare, accolta per lo più con zelante spirito di collabo­razione, se è vero che a dissociar­se­ne pubblicamente fu il solo Be­nedetto Croce. Di questo e di al­tro, Bottai –a cose fatte –ebbe pie­na percezione. Lo dice la sua stes­sa esperienza biografica: quella di un uomo che sentì il bisogno di emendarsi delle sue responsabili­tà, non mistificandole ma affron­tando il doloroso confronto con la sua coscienza. Gli anni della Le­gione Straniera, dal ’44 al ’48, si spiegano proprio con questo one­sto desiderio di un duro lavacro di se stesso. Quanto a una storia più genera­­le, è sbagliato credere, come acca­de spesso, che il regime fascista abbia emanato le leggi razziali per un passivo scimmiottamen­to della Germania. Certo,l’esem­pio tedesco servi da stimolo, ma Mussolini aveva – fin dalla nasci­ta del regime – obiettivi precisi, ben prima che anche Hitler con­quistasse il potere. Il principale era la trasformazione degli italia­ni: ovvero farne un popolo guer­riero, con un alto senso dello Sta­­to e della collettività, orgoglioso e fiero di sé e del proprio Paese. In questo quadro si inserisce anche la lotta alla borghesia che –se ave­va portato il duce al potere – non si dimostrava abbastanza sensibi­le verso la figura di quell’ «italiano nuovo», duro, combattente, che si voleva formare. Proprio nel 1938, lo stesso anno delle leggi razziali, Mussolini comunicò al Consiglio Nazionale del partito di avere «individuato un nemico del nostro regime. Questo nemi­co ha nome borghesia ». In segui­to avrebbe dato questa definizio­ne: «Il borghese è quella persona che sta bene ed è vile».Le leggi raz­ziali, più a che perseguitare l’esi­gua minoranza ebraica, mirava­no a f­ormare negli italiani uno spi­rito da razza guerriera, dominan­te e inflessibile. I giovani furono affascinati soprattutto dalla visio­ne di u­na nuova cultura in funzio­ne antiborghese che sarebbe na­ta dal concetto di razza: solo dei “puri”e dei “forti”,infatti poteva­no permettersi di sentirsi razzial­mente superiori. Non furono po­chi gli italiani a esercitarsi nel­l­’ignobile arte della de­nuncia di ebrei; né è consolatorio che lo fa­cessero più per motivi di invidia sociale o di concorrenza commer­ci­ale che per vero razzi­smo. Va da sé che tutto ciò non allevia, casomai rende più grave,l’appli­cazione delle leggi. Né consola che la Chiesa di allora, a differenza di quella di oggi, conti­nua­sse a ritenere l’inte­ro popolo ebraico «dei­cida ». Un elemento che contribuì alla passi­vità della legislazione razziale fu l’atteggia­mento del Vaticano. A partire dal ’38 molte te­state razziste ripropo­sero inte­gralmente vec­chi e recenti articoli an­tisemiti della Civiltà Cattolica , la rivista dei gesuiti, e Roberto Fari­nacci poté dire, in un di­scorso: «Se, come catto­lici, siamo divenuti an­­tisemiti, lo dobbiamo agli insegnamenti che ci furono dati dalla Chiesa durante venti secoli (...) Noi non pos­siamo nel giro di poche settimane rinunciare a quella coscienza anti­semita che la Chiesa ci ha formato lungo i mil­lenni ». Erano stati i papi, se­coli prima a costringere le comu­nità ebraiche nei ghetti, e obbli­garle a portare segni infamanti, a limitare la loro possibilità di gua­dagno a lavori che avrebbero su­scitato disprezzo verso di loro, co­me il prestito a usura o la raccolta di stracci. Per secoli i papi aveva­no mantenuto un rito consisten­te nel dare un pubblico calcio ( ne­anche tanto simbolico) a un rap­presentante della comunità ebraica. E solo molti anni dopo le leggi razziali, e il fascismo, è stata eliminata dal messale l’espressio­ne «perfidi giudei». La Chiesa si oppose alla politi­ca antiebraica esclusivamente quando ledeva il suo ambito di azione, ovvero quando impedì il matrimonio – cristiano – fra un cattolico e un ebreo. Difese, cioè, i proprio diritti,non quelli dell’es­sere umano, e tanto meno quelli degli ebrei. Conclusione: un razzismo di fondo era sedimentato nella co­scienza del popolo italiano.