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 2010  novembre 02 Martedì calendario

DOSSIER ITALIA-CINA


LUSSO E CREATIVITÀ ITALIANI ACCENDONO I SOGNI CINESI -
I rapporti fra gli imprenditori italiani della moda e la realtà cinese sono intensi, vivono di nuove scommesse da parte dell’industria tricolore, che ha eletto la Cina ricca e desiderosa di sogni quale nuovo palcoscenico mondiale. E alla nona edizione del Milano fashion global summit 2010 organizzato quest’anno a Shanghai da Class editori (che partecipa al capitale di questo giornale) insieme a Bank of America Merrill Lynch e con la Cnmi-Camera nazionale della moda italiana come partner, tutti hanno le idee molto chiare.

Della Valle, made in Italy inimitabile, ma da tutelare. «Inimitabile e imbattibile, a patto però di tutelarlo». Diego Della Valle, patron del gruppo Tod’s, con i marchi Tod’s, Hogan, Fay e Roger Vivier coniuga da anni lo stile e l’originalità italiana in una dimensione globale. In Cina è presente da 15 anni e qui fra poco debutterà anche il marchio Hogan, per il quale è in costruzione il palazzo che ospiterà il primo punto vendita nel paese asiatico: «L’idea del made in Itvaly non è astratta.

Si basa invece su decine di migliaia di aziende, quasi tutte di piccole dimensioni che producono anche da qualche generazione nel miglior modo possibile», ha dichiarato Della Valle. «L’Italia è un paese che grazie al grande senso della cultura è abituato a ragionare in modo raffinato. Non si deve però pensare solo ai grandi marchi ma a tutto il sistema che il mondo intero ci invidia. Se non facciamo errori sarà difficile che i cinesi cambino idea sul loro gusto verso la produzione italiana».

Travel retail, l’asso di Ferragamo. «La nostra crescita è stata davvero rapida nel paese», dice Michele Norsa, a.d. di Ferragamo, il gruppo che in Cina sta crescendo a doppia cifra (l’anno si sta chiudendo con un +30% nelle vendite). «Dopo la fatica iniziale, siamo riusciti a trovare un nostro posizionamento, facendo leva su diversi fattori. Da un lato, indubbiamente, c’è stato il vantaggio di avere anche una collezione uomo, fondamentale in tutti i nuovi mercati dove il menswear per motivi sociologici corre più rapidamente del womenswear. In secondo luogo, siamo riusciti a valorizzare al meglio il nostro heritage, basato in primo luogo sull’artigianalità. Per conquistare il consumatore cinese, un marchio deve farsi portavoce di valori chiave: essere il simbolo di un’eleganza classica, che duri nel tempo e, tanto più in momenti di crisi, non si esaurisca in una stagione soltanto; presentare prodotti con un giusto rapporto qualità-prezzo perché i consumatori cinesi sono davvero informati su ciò che comprano; e dare un tocco di magia, associando il suo nome a quello delle star hollywoodiane».

Il futuro è all’insegna del travel retail, che si traduce nell’apertura di «store all’interno di numerosi aeroporti cinesi».

Lo stile di Armani che seduce la Cina. All’inizio è stato Hong Kong, negli anni 90. Da quella porta sulla Cina, il gruppo Giorgio Armani è passanto dal franchising al retail diretto, da una presenza limitata ad alcune linee al trasferimento dell’intero lifestyle della griffe nel paese asiatico. «Ancora oggi Hong Kong è un punto di riferimento per il consumatore cinese», ha spiegato John Hooks, vice presidente di Armani, «ma negli anni il gruppo Armani, è riuscito a consolidare la propria presenza anche nella Greater China per un totale di circa 50 città, attraverso il retail diretto e, con qualche difficoltà in più, nel segmento dei multibrand-department store, ancora poco sviluppati nell’area». Tutto ciò grazie ai marchi che compongono la segmentazione del gruppo (1,52 miliardi di ricavi consolidati), cresciuto nel 2009 del 32% solo nell’ex Celeste impero.

Sinergia, il futuro secondo Versace. «Nel maggio del 1998 era stata programmata la fusione tra Versace e Gucci, che avrebbe così dato vita al primo gruppo italiano del bello e dell’eccellenza». Santo Versace, ha raccontato delle trattative tra la griffe della Medusa e quella della doppia G avviate nella seconda metà del 1996 e interrotte dalla scomparsa del fratello Gianni per spiegare come valorizzare il made in Italy e i suoi brand. Per il presidente della maison da 268 milioni di euro nel 2009 e dell’associazione Altagamma, la strategia che gli imprenditori italiani devono seguire per crescere passa dal concetto di sinergia: «All’epoca il progetto Versace-Gucci si interruppe, ma forse andrebbe rivisto. Oggi immagino il futuro dello stile italiano come un’aggregazione di marchi diversi che, pur mantenendo la loro identità, si uniscono per fare massa critica in un’ottica di sviluppo legato a doppio filo alla cultura».

Roberto Cavalli debutta nel 2011. Per il calendario cinese sarà l’anno del coniglio. Ma è probabile che molti lo ricorderanno come l’anno di Roberto Cavalli: «Roberto ed Eva saranno presto in Cina per grandi aperture», dice infatti Gianluca Brozzetti, ceo della Roberto Cavalli. Con un partner locale, infatti, la coppia di stilisti-imprenditori stanno pianificando l’espansione della loro maison nella terra dei Dragoni con l’apertura, entro il prossimo giugno, del primo monomarca dedicato alla main lane. «Nel mondo siamo molto forti nell’abbigliamento, in più negli ultimi tempi stiamo lavorando per sviluppare il segmento degli accessori e dei profumi, ora siamo pronti a lanciare anche l’offensiva sul mercato cinese, dove lavoreremo intensamente nel prossimo futuro per costruire una forte awarness e credibilità intorno al marchio».

Costume national apripista nelle sinergie. Carlo ed Ennio Capasa, fondatori di Costume national, hanno intercettato per primi la voglia di molti investitori locali di adottare la politica del «go west» e lo scorso aprile hanno affidato al fondo giappo-cinese Sequedge una quota di minoranza del brand (il 17% con opzione del 33%). Alla base della nuova partnership c’è la voglia da parte della griffe di esplorare le enormi potenzialità legate al mercato asiatico. «Essere in Cina e avere un partner cinese per noi è un grande stimolo», ha commentato Ennio Capasa, «la Cina è un paese che sta cercando di coniugare passato e futuro in un’identità unica. Si tratta di una scelta vincente, in linea con il lavoro che abbiamo sempre cercato di portare avanti con il nostro marchio».

Biagiotti, pioniere nell’88, torna a sfidare il mercato. «Più che di una strategia di business, si trattò di un atto d’amore della maison nei confronti della Cina», dice Lavinia Biagiotti-Cigna, vice-presidente del Biagiotti group, ricordando la storica sfilata del 25 aprile del 1988. «All’epoca nessuno poteva immaginare che il paese sarebbe diventato ciò che è oggi. A quel tempo i cinesi stavano proprio uscendo dal diktat delle uniformi e negli abiti ritrovavano la propria individualità». «Questo mercato è per noi la sfida più affascinate», ha proseguito la vice-presidente, «a cominciare dal fatto che al suo interno ci sono almeno 15 zone con condizioni climatiche diversissime tra loro e che ci impongono quindi una progettazione molto calibrata. Senza dimenticare che l’eleganza innata delle donne cinesi ci è di grande ispirazione nel nostro lavoro di stile».

Pomellato studia il debutto nel segmento orologi donna. «Rispetto agli altri brand di preziosi, il nostro marchio si è sempre focalizzato sui gioielli», spiega Andrea Morante, a.d. del gruppo Pomellato, «ora stiamo pensando di ampliarci anche ad altre categorie di prodotti, in particolare gli orologi da donna che sono comunque più in linea con il nostro core business». Come requisiti fondamentali avrà l’artigianalità che contraddistingue le produzioni di gioielli del marchio e l’attenzione al mondo della moda sia nelle linee sia nella comunicazione, caratteristica di tutte le collezioni Pomellato. «Nelle nostre campagne pubblicitarie abbiamo sempre scelto di puntare alla qualità delle immagini perché devono far sognare», ha aggiunto Morante.

Loro Piana, scommessa vinta. Era il 1994 quando Loro Piana decise di stabilire degli uffici a Pechino. Oggi, per Fabio Leoncini, d.g. della divisione luxury goods e consigliere d’amministrazione del marchio biellese, la Cina rappresenta uno dei partner più importanti per l’azienda. Dalla collaborazione con gli allevatori cinesi, infatti, è nato il Baby Cashmere, una fibra ottenuta dalla prima e unica tosatura dei cuccioli di capra Hircus. Una produzione artigianale di altissima qualità che «nasce da un rapporto molto stretto con gli allevatori locali, che permette di controllare a tutti i livelli la produzione e di garantire sempre standard elevati», dice Leoncini, non solo per il mercato italiano, ma anche per quello cinese che è sempre più interessato al lusso». Un impegno che Loro Pianatraduce anche in una forte politica di espansione, dopo il primo store aperto nel 2007 a Shanghai.

Piquadro accelera. Produzione in Cina, ma con un approccio tutto italiano, «senza rinunciare a un’etica e a una sensibilità che fa delle borse e degli accessori Piquadro dei prodotti coerenti con il proprio stile», dice Marco Palmieri, presidente e a.d. della società specializzata in accessori, che dal 2003 gestisce una parte della produzione nello stabilimento di Shenzen. Il mercato cinese, secondo Palmieri, rappresenta una grande opportunità di crescita per Piquadro. «Nei prossimi due mesi sono previste cinque nuove aperture in Cina», ha sottolineato, «per il momento stiamo puntando sulla gestione diretta dei punti vendita, un modello che ci permette di comprendere meglio il mercato. Stiamo comunque sperimentando il franchising in un solo negozio e contiamo presto di continuare secondo questa politica».

Morellato trionfa in Oriente con il lusso accessibile. «Per capire un paese dalla cultura e dalle tradizioni complesse e affascinanti come la Cina» ha spiegato Massimo Carraro, a.d. del gruppo, «è molto importante avere dei partner commerciali forti. Per questo nel 2006, a un anno di distanza dall’apertura del primo store Morellato a Pechino, abbiamo stretto un’importante joint venture con un referente cinese. Oggi possiamo contare su una distribuzione in queste aree di circa 30 punti vendita, tra flagship store e shop in shop, tra cui quello aperto nel 2009 a Shanghai». Secondo Carraro, le aziende italiane non devono considerare la Cina come un competitor capace di sottrarre opportunità di crescita: «È un dato di fatto che il settore premium italiano soffra della competizione cinese, ma sarebbe sbagliato non considerare la Cina come una grandissima opportunità. È proprio il lusso accessibile uno dei settori a tenere alta la tradizione del Made in Italy nell’ex-Celeste impero».

Moschillo punta sui giovani. Il futuro del made in Italy? «Di sicuro appartiene ai giovani ed è giunta l’ora di cominciare a scommettere seriamente su di loro». Parola di Saverio Moschillo, presidente di Moschillo group (cui fanno capo i marchi John Richmond, Husky , Rodolphe Menudier e Haute) e vice-presidente della Cnmi-Camera nazionale della moda italiana. «Da privato metterò a disposizione degli esordienti uno showroom a Milano per permettere di presentare le loro collezioni ai buyer che arriveranno nella città durante le prossime fashion week». Novità che punta a rafforzare l’appuntamento milanese e l’intero sistema del made in Italy. «In un periodo di forti incertezze anche dal punto di vista economico, il fashion system italiano può fare la differenza sfruttando appieno le sinergie tra i diversi gruppi di moda, sotto la cooperazione della Cnmi, si deve puntare sulle origini e sulle nostre tradizioni, quelle del made in Italy, ma occorre dare anche ampio spazio alle nuove leve».

Ports, vincente perché fedele alle origini. Un vero e proprio love affair. Alfred Chan, fondatore, a.d e d.g. di Ports design limited, descrive così il rapporto che il marchio cino-canadese dal 1961 a oggi è riuscito a instaurare con le sue clienti in tutto il mondo. Una delle sfide «è stata quella di conquistare il mercato cinese cercando di proporre abiti e accessori che non rappresentassero solamente lo stile di tutto il mondo, ma anche quello delle donne cinesi, rispondendo alle loro particolari richieste in fatto di abbigliamento. Ogni azienda, infatti, deve sempre capire le preferenze del proprio mercato di riferimento», dice Chan. Una strategia che, a distanza di quasi 50 anni, ha portato Ports a essere definito dalle più importanti riviste di moda internazionali uno dei luxury brand meglio capaci di interpretare le tendenze del momento.


GUCCI, MISSONI E FERRETTI: UN PAESE DALLE GRANDI OPPORTUNITÀ
Un legame importante quello tra lo stile italiano e la Cina. Affidato alle parole di tre numeri uno dell’estetica made in Italy, che nel corso degli anni hanno portato la creatività tricolore in giro per il mondo. Al Milano fashion global summit 2010 sono andate in scena tre grandi protagoniste dell’italian style, ovvero Frida Giannini, direttore creativo del mondo Gucci, Angela Missoni e Alberta Ferretti, anima del gruppo Aeffe e che si occupa della creatività delle linee Alberta Ferretti e Philosophy. «La Cina è sicuramente un grande mercato, che aiuterà a uscire da una situazione di crisi.

Devo dire che noi stiamo crescendo molto bene in quest’area. È un mercato in cui ci siamo mossi in anticipo, aprendo diversi negozi negli anni passati, riuscendo così a servire questo paese nella maniera più adeguata. Un tempo nei negozi entravano solamente gli uomini, che dovevano pensare all’abbigliamento della moglie, della figlia o dell’amante», ha aggiunto la designer, «oggi è tutto cambiato: le donne vanno nei negozi, gli uomini comprano soprattutto per se stessi. I cinesi stanno diventando sempre più sofisticati come clienti. Sono rimasta sorpresa dalla voglia di lusso sfrenato che hanno, che dipende forse da tutta questa ricchezza arrivata all’improvviso». Allineata sulla stessa lunghezza d’onda anche Angela Missoni, direttore creativo del marchio di Sumirago (Varese). «Se fino a qualche anno fa questo paese era considerato quasi come un nemico, capace soltanto di portare via lavoro, oggi la Cina viene profondamente rivalutata.

Per le aziende del made in Italy rappresenta una grandissima opportunità. I cinesi, oggi più che mai, hanno fame del nostro prodotto: ne sono affascinanti profondamente e per questo lo ricercano». La moda, quindi, gioca un ruolo fondamentale in questa crescita della Cina verso la modernità. «Contrariamente a quanto si possa pensare», ha aggiunto la designer, «il popolo cinese è molto attento. Molti di loro, infatti, e non parlo solo dei cinesi che abitano in Cina ma anche di quelli che vivono in altri stati del mondo, ricercano esclusivamente prodotti che non siano made in China. I cinesi oggi vogliono sempre di più essere come gli occidentali e noi, con i nostri prodotti, rappresentiamo questo sogno».

Alberta Ferretti, invece, è da sempre legata all’estetica chinoise. In passato l’ha scelta per la linea ammiraglia e nella primavera-estate 2011 ha guardato alla nuova Cina per la collezione Philosophy portata in scena a New York lo scorso settembre. «Sono affascinata dal passato cinese, dall’eleganza e dalla poesia che questa nazione racconta attraverso certe immagini. Ogni volta che affronto questo tema il riscontro a livello di vendite è forte: credo che il segreto di questo successo sia nel fatto che queste collezioni trasmettano la leggerezza e la poesia tramandate da questo popolo. Una cultura che, è un peccato dirlo, questo paese sta rischiando di cancellare nel tentativo di emergere». La proiezione della Cina verso il futuro si manifesta anche nel grande amore che questo popolo ha per la moda. «Sono clienti innamorati del fashion. Ancora non hanno quell’eleganza che appartiene all’Europa o agli Stati Uniti, ma sono affascinati da tutto ciò che è nuovo. Con il tempo diventeranno anche sofisticati, ma per il momento sono dei clienti immediati, diretti. Per questo è importante parlare con loro un linguaggio contemporaneo», ha concluso.
Alessia Lucchese, ItaliaOggi 2/11/2010


ILLY, FRATELLI ROSSETTI E YAMAMAY: SFIDA QUALITÀ -
La sfida più difficile e stimolante per le imprese italiane è riuscire a raccontare al consumatore cinese l’intero mondo dello stile made in Italy. Un panorama formato da aziende di alta qualità, spesso a conduzione familiare, e che si affianca ai grandi nomi del mondo della moda approdati nel paese asiatico da alcuni decenni.

Ne sono un esempio il gruppo Illy, guidato da Riccardo Illy, che partendo dalla vendita del caffè ha creato un marchio dai contorni lifestyle a 360 gradi, e Fratelli Rossetti, uno dei top brand di calzature italiane. «La nostra scommessa è creare nel consumatore la consapevolezza del valore», ha dichiarato Diego Rossetti, a capo del calzaturificio di Parabiago, «per questo motivo anche in Cina non abbiamo adottato una strategia di aperture di megastore. Puntiamo invece su una lenta e costante educazione al consumatore sostenuti dalla competenza del nostro partner locale (Fairton international company, ndr)».

D’altra parte, il consumatore cinese si sta avviando verso una nuova fase di maturità nell’acquisto, il che significa che oltre alla riconoscibilità del brand guarda con attenzione anche alla qualità e alla gamma di servizi offerti. «La logistica per esempio è un aspetto di cruciale importanza e per questo stiamo rafforzando il nostro centro di Shanghai», ha aggiunto Gianluigi Cimmino, amministratore delegato di Yamamay e Carpisa, «d’altra parte non bisogna dimenticarsi che in Cina il costo del lavoro resterà competitivo ancora per una manciata di anni.

Dopodiché questo paese diventerà una base strategica per produrre e distribuire le collezioni destinate anche agli altri mercati asiatici».

Milena Bello, ItaliaOggi 2/11/2010