RENZO GUOLO, la Repubblica 1/11/2010, 1 novembre 2010
E ADESSO PER I CRISTIANI COMINCERÀ UN ALTRO ESODO
Ancora vittime cristiane in Iraq, a conferma della difficile situazione denunciata dal Sinodo dei vescovi sul Medio Oriente. Questa volta è toccato alla comunità caldea di Bagdad, i cui fedeli sono stati presi in ostaggio mentre prendevano parte alla messa nella chiesa di "Saiydat al Najat", frequentata, quand´era un uomo libero, anche da Tareq Aziz.
L´attacco, che aveva anche altri obiettivi, è stato rivendicato dallo "Stato islamico in Iraq", organizzazione che raccoglie quel che resta di "Al Qaeda nel Paese dei Due Fiumi", gruppo indebolito nel tempo, oltre che dalla morte del suo leader Zarkawi, dal voltafaccia delle tribù sunnite, arruolate dal generale Petraeus dopo la suicida stagione dell´epurazione totale dell´era Bremer, che ha fatto mancare ai quaedisti un decisivo apporto militare e logistico. Costringendo una parte degli jihadisti a dirigersi verso altri fronti, Afghanistan e Yemen in primo luogo. Rivendicazione che non sorprende. I cristiani in Iraq sono visti dai qaedisti, ma non solo, come una sorta di "quinta colonna dell´Occidente" e ritenuti dei kafir, degli infedeli.
Il nuovo attacco contribuirà a incrementare un esodo che sta incrinando la loro lunga presenza in Mesopotamia. Caldei, copti, melchiti, greco-ortodossi, maroniti, cattolici-romani, che secondo un censimento del 1987 erano circa un milione e mezzo in un paese popolato da più di venti milioni di musulmani sciiti e sunniti. Numeri oggi decisamente ridimensionati. Nel giro di pochi anni, quelli segnati dalla guerra iniziata nel 2003, i soli cattolici sono diminuiti di circa centomila unità.
Le situazioni più difficili sono quelle delle aree miste. Oltre Bagdad, il problema è il Nord, in particolare nelle aree contese di Morule Kirkuk dove sunniti e turcomanni non intendono rinunciare al controllo delle ricche province petrolifere in cui vivono da tempo, reclamato però dai curdi, in passato costretti a abbandonare la zona da Saddam Hussein. Alla fine del 2008 attacchi a Mosul che hanno provocato quaranta vittime, hanno indotto dodicimila cristiani a abbandonare la provincia. Otto nuove vittime si sono aggiunte all´inizio dell´anno.
Sempre a Mosul i caldei sono stati obiettivo di una cruenta campagna del terrore nel 2004 e nel 2006, frutto di una duplice pressione, simile a quella che si vede in atto anche in questi mesi. Da un lato la spinta dei qaedisti, locali e non, intenzionati a provocare la partenza dei cristiani dal paese; dall´altro l´indifferenza delle altre comunità verso una presenza che complica la strategia dei diversi gruppi etnoconfessionale, che tendono a controllare e omogeneizzare, anche religiosamente, fette di territorio in previsione di quanto accadrà dopo il ritiro degli Stati Uniti.
Quotidianamente i cristiani, ritenuti generalmente dei benestanti, sono vittime di sequestri a scopo di estorsione. Il tutto nell´indifferenza delle forze armate o di polizia irachene. Il problema dei cristiani in Iraq è, infatti, la mancanza di una forza, esterna o interna, che li protegga. Una condizione che li espone a conseguenze e timori di ogni tipo. In alcune zone le donne cattoliche, nonostante non sia previsto dalla sharia, sono costrette a indossare il velo dagli islamisti radicali.
Un senso di mancanza di protezione simboleggiato anche dalla recente condanna a morte di Tariq Aziz, un tempo l´esponente più forte della comunità cristiana al servizio di Saddam. I vescovi hanno criticato la sentenza, letta come un tentativo da parte sciita di opporsi al reintegro dei membri del partito Baath, nel quale militavano anche molti cristiani, nella vita nazionale. Intanto, come nella chiesa di Saiydat al Najat, i figli della Croce in Iraq continuano a morire.