Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 01/11/2010, 1 novembre 2010
PARLAMENTARE E AVVOCATO CONTRADDIZIONE ITALIANA
Per l’ordinamento attuale, tra professione forense e mandato parlamentare non sussiste alcuna incompatibilità, come del resto provano i numerosi avvocati che siedono in Parlamento, nel solco di una tradizione non solo italiana. Qualche problema, tuttavia, sorge quando l’esercizio del mandato professionale si prolunga, per così dire, dalle aule di giustizia a quelle parlamentari nel tentativo di ottenere con lo strumento della legge i risultati che non è stato possibile conseguire nei tribunali. Entrano infatti in conflitto due lealtà: quella verso gli elettori, nei confronti dei quali ogni deputato si presume tenuto ad ispirare la propria condotta agli interessi generali della nazione, senza vincolo di mandato (articolo 67 della Costituzione) e quella verso il proprio cliente, al quale l’avvocato è tenuto ad assicurare il miglior patrocinio di interessi che, per definizione, sono individuali e particolari. Sinora la questione è passata in secondo piano rispetto alla polemica politica sul merito delle diverse iniziative legislative gravate dal sospetto di essere concepite per assicurare un vantaggio ad personam, ma forse meriterebbe maggiore attenzione sia da parte del Parlamento, sia della classe forense e dell’opinione pubblica, nella prospettiva di un costume pubblico più aderente di quanto non sia oggi ai principi di correttezza, trasparenza e separazione tra interessi per loro natura confliggenti.
avv. Carlo Giulio Lorenzetti
cglorenzetti@vodafone.it
Caro Lorenzetti, abbiamo da qualche settimana uno studio sulla classe dirigente italiana pubblicato da Egea, la casa editrice della Università Bocconi. Gli autori sono Antonio Merlo, professore di economia alla University of Pennsylvania, Andrea Prat, professore di economia alla London School of Economics, e Tito Boeri professore di economia all’Università Bocconi e direttore scientifico della Fondazione Rodolfo Debenedetti che ha reso questa ricerca possibile. Si divide in due parti, dedicate rispettivamente ai parlamentari e dirigenti d’impresa, e fornisce per ciascuna di queste due categorie dati statistici molto interessanti sulla formazione culturale, le esperienze professionali, la durata della carriera, il reddito. Da una tavola statistica il lettore apprende che i parlamentari provenienti da professioni legali (avvocati, magistrati, notai) rappresentavano il 33,90% delle Camere nel 1948, vale a dire la percentuale più alta fra quelle delle diverse carriere professionali rappresentate nel Parlamento italiano. Da allora la percentuale si è progressivamente ridotta sino al 15,02% del 2001 e al 10,6% del 2006. Ma i parlamentari con un’esperienza giuridica sono pur sempre un centinaio.
Non ne sono sorpreso. In tutte le democrazie occidentali l’avvocatura (e da qualche tempo la magistratura) sono, i mestieri che, grazie alla loro affinità con l’attività legislativa del Parlamento, maggiormente accendono le ambizioni politiche di coloro che li praticano. Non sorprende neppure che per molto tempo le democrazie parlamentari dell’Occidente permettessero all’avvocato-parlamentare di continuare a esercitare la sua professione. Se si ritiene opportuno che la vita pubblica venga continuamente irrobustita da iniezioni di talenti provenienti dalla società civile, è meglio permettere che il parlamentare continui a fare il suo mestiere e che non tutti divengano necessariamente professionisti della politica.
I termini della questione sono cambiati per due motivi. In primo luogo la funzione parlamentare è diventata redditizia. Gli autori dello studio pubblicato da Egea segnalano che il reddito dei neo-eletti aumenta mediamente del 77,8% con un picco, nel 1996, del 109,2%. In secondo luogo alcuni parlamentari-avvocati hanno dedicato una buona parte della loro attività parlamentare alla soluzione dei problemi giudiziari che affliggono il presidente del Consiglio. Sono deputati della nazione, ma sono anche, nelle Camere come nelle aule di giustizia, gli avvocati difensori di uno stesso cliente. È arrivato il momento di modificare la legge che regola le incompatibilità professionali dei parlamentari (numero 60 del 13 febbraio 1953) e dire esplicitamente, come negli Stati Uniti, che non è possibile essere contemporaneamente rappresentante di tutti e avvocato di qualcuno.
Sergio Romano