Armando Torno, Corriere della Sera 01/11/2010, 1 novembre 2010
FRAMMENTI DI STORIE E VITE LONTANE. IL RITO (CHE SI RINNOVA) NEI CIMITERI
Here lies One Whose Name was writ in Water Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua È l’epitaffio che il poeta inglese John Keats, nato nel 1795 e morto nel 1821, volle scritto sulla propria tomba a Roma
Quando si muore? Alla domanda rispondiamo con certezze sempre più fioche. La scienza continua a spostare e a discutere i confini della vita e, pur non essendo il caso di parlare di immortalità, c’è da credere che il futuro desideri aumentare ancora le nostre ambasce sull’estremo momento. Marcel Proust scrisse che noi, per semplificare, diciamo «la morte», ma ce ne sono infinite, quasi quante le persone. Per questo i cimiteri sono diversi, forse perché sono gli unici luoghi dove si riesce a mostrare, nei limiti del possibile, l’ultimo e definitivo messaggio.
Oggi — tempo nel quale Halloween con risa, lazzi e travestimenti ha sostituito nell’immaginario collettivo i giorni dedicati a santi e defunti — morire è anche un costoso impiccio burocratico, pur restando il passo a cui soltanto rarissimi esseri sono preparati. E questo va evidenziato mentre i cimiteri tradizionali stanno per essere affiancati da spazi, soprattutto negli Usa, in cui le tombe propongono video e discorsi del morto. I visitatori possono «rivederlo» sfiorando un pulsante; anzi ne riascoltano, selezionandolo, un discorso: c’è quello per gli amici o i colleghi, uno si rivolge ai familiari, non si dimenticano eventuali amori superstiti. Qualcosa del genere si progettò anche a Milano, ma per ora non c’è, forse a causa della crisi. In molti, al contrario, preferiscono meditare in un cimitero con panorama, magari con il lago accanto come quello di Montagnola, vicino a Lugano, dove c’è la tomba di Hermann Hesse. Anche in tal caso la tecnologia non dà requie: un’efficiente organizzazione svizzera invita a scegliere tra due passeggiate che, attraverso i luoghi cari allo scrittore, portano alla sua lapide. Per la bisogna si noleggiano a 5 franchi delle autoguide e, se optate per quella in italiano, potrete ascoltare senza supplementi anche alcune parti dello sceneggiato radiofonico «Il signor Hesse». Ci sono dei cimiteri che si visitano a pagamento, come il vecchio ebraico di Praga: attivo dal 1439, l’ultima tomba è di Moses Beck e reca la data 29 maggio 1787, cinque mesi prima del giorno in cui Wolfgang Amadeus Mozart diede in questa città, al Teatro Nazionale, il suo Don Giovanni. Sette strati di sepolture ricordano, meglio di
ogni accademia, il significato della vanità urlata all’inizio del libro biblico di Qohelet. Persone note e meno note si sono contese un palmo di terra e persino rabbi David Gans, collega di Kepler nell’osservatorio astronomico diretto da Tycho Brahe, dal 1613 riposa tra queste ristrettezze dopo aver vagolato per decenni con l’occhio nei cieli.
La terra si è riempita di cimiteri. La Valle dei Re in Egitto, dove i faraoni cercarono la via per l’eternità e nella quale le missioni archeologiche continuano a scavare, altro non fu che luogo di sepolture. La Piazza Rossa di Mosca è diventata il cuore simbolico del comunismo grazie al cadavere imbalsamato di Lenin (ad esso, per poco tempo, fu affiancato anche quello di Stalin), custodito in un mausoleo posto in mezzo ad essa. E Santa Croce a Firenze? In questa chiesa riposano, tra gli altri, Galileo, Machiavelli e Michelangelo, oltre naturalmente a Foscolo che immortalò le loro tombe con la poesia. Al Monumentale di Milano si può rendere omaggio tra i molti ad Alessandro Manzoni e Arturo Toscanini, ma meglio che altrove qui si comprende cosa sia l’opulenza funebre. Carlo Emilio Gadda avrebbe detto che c’è, in talune esagerazioni, anche l’ultima espressione delle facce da «manichini ossibuchivori». La stessa cosa qualcuno potrebbe suggerirla per Staglieno a Genova, dove gli omaggi cambiano: qui, oltre Nanda Pivano e Fabrizio De André, riposa Giuseppe Mazzini. I cimiteri di guerra sparsi in Europa ricordano ai visitatori il costo umano della storia; in quello di San Pietroburgo, con centinaia di migliaia di morti dell’ultimo conflitto mondiale, aleggia qualcosa di inquietante. Forse a causa della mesta musica diffusa o forse per quella fiamma perpetua che violenta le interminabili notti russe.
Soltanto Giobbe osò chiamare il sepolcro, nel pieno del suo dolore, «Padre mio!». In taluni casi esso racchiude delusioni e speranze tradite, come quello del matematico Niels Henrik Abel, a Finnøy in Norvegia, al quale fu recapitata due giorni dopo la sepoltura la lettera con la nomina di professore a Berlino. Altre volte si arriva all’ultima residenza in modo stravagante, come insegna Hector Berlioz: il corteo, giunto dinanzi al cimitero di Montmartre a Parigi al suono della sua Marcia funebre, non tenne conto della suscettibilità dei cavalli. Imbizzarriti, strapparono le corde, presero l’abbrivo e la cassa del musicista varcò da sola la porta del camposanto, nel quale giacevano già le sue due mogli. Capita, come a Bertolt Brecht, di entrare in confidenza con le tombe. La sua casa al 125 di Chausseestrasse (quartiere Mitte, ex Berlino Est) aveva un piccolo cortile dal quale si osservava uno dei quarantotto cimiteri della città tedesca. Lì erano sepolti Fichte ed Hegel; e lui si fece tumulare di fronte a quest’ultimo filosofo, non lontano dalla magione dove portava le amanti tra l’indifferenza e il consenso della moglie Helene Weigel, che riposa accanto a lui. E ancora a Parigi, a Père Lachaise, ecco le tombe di personaggi trasformati in miti. Non a caso qui, insieme ad Abelardo ed Eloisa o al cantante dei Doors Jim Morrison, vi è il monumento di Jacob Epstein raffigurante una sfinge: protegge i resti di Oscar Wilde. Su di esso non mancano mai tracce di rossetto.
Cesare Capone, autore di Uomini in cenere (Editori Riuniti), sottolinea come oggi al cimitero di Lambrate, dove si svolge le cremazione dei milanesi, si sia arrivati a seguire tale pratica per il 60% dei defunti. Insomma, 45-50 al giorno, con attese che si fanno sempre più lunghe. Molti, addirittura, non la chiesero, ma si è costretti a destinarli ad essa anni dopo la sepoltura. Anche se Hans-Peter Hasenfratz nel suo saggio La morte e l’aldilà (Salerno Editrice) distingue tra la fine biologica e quella sociale, quest’ultima più infelice della prima, è difficile prevedere come, quando e dove si chiuderà la partita con il mondo. Lord Byron, finito dalla malaria a Missolungi in Grecia, si vide rifiutato il posto a Westminster, nonostante l’opinione pubblica. Il decano non volle il corpo — esposto a Londra, con tale affluenza da richiedere l’intervento della polizia — perché condusse una «scandalosa esistenza». Gli toccò, dopo essere passato dalla tomba di famiglia a Newstead, la chiesa di Hucknall Torkard.
Armando Torno