G. O., Corriere della Sera 01/11/2010, 1 novembre 2010
L’ARTIGIANO DEL TERRORE CHE MANDO’ A MORIRE PERFINO SUO FRATELLO — C’è
un episodio che spiega molto bene chi sia Ibrahim Al Asiri, ritenuto l’artificiere della Al Qaeda yemenita. Il 27 agosto 2009 ha affidato a suo fratello Abdullah, 23 anni, un piccolo ordigno. Lo ha costruito in modo che si potesse nascondere nelle parti intime o, come sostengono i sauditi, nell’ano. Con quella microbomba, Abdullah è riuscito a superare i controlli che proteggevano il principe Nayef, responsabile della sicurezza saudita. Poi, una volta vicino all’obiettivo, il kamikaze si è fatto saltare. Quello che è rimasto di lui lo documenta la foto di un rapporto Europol: un tronco maciullato. Immagini impubblicabili di un «martire» e cavia di Al Qaeda.
L’attacco è fallito, però ha svelato l’ingegno terroristico di Ibrahim Al Asiri. E non solo quello. Per organizzare la trappola contro Nayef, l’artificiere si è servito di una donna, una delle molte che militano nelle file di Al Qaeda nella Penisola Arabica. L’ormai famosa Wafa, moglie e sorella di tanti terroristi, che ha portato con sé nella clandestinità tre figli piccoli.
La storia sembra ripetersi con i pacchi bomba. Gli americani ritengono che ci sia la mano di Al Asiri e la mente dell’imam Al Awlaki. Come nell’attentato del 2009, i terroristi avrebbero aver usato una ragazza, incaricata di fare le spedizioni. Ancora. Gli ordigni, in entrambi i casi, erano piccoli e ben camuffati. Così come lo era quello nascosto nelle mutande usato da Faruk Abdulmutallab alla vigilia di Natale sul jet Northwest.
Tutti «prodotti», insistono gli investigatori, usciti dall’officina di Al Asiri. Se poi — per fortuna — non funzionano, aggiungono, non vuol dire che il terrorista vada sottovalutato. Tanto è vero che i servizi sauditi lo hanno inserito, da oltre un anno, in una lista di 85 ricercati specificando, nella scheda, le sua capacità nel maneggiare esplosivi. Nato 28 anni fa nel distretto Jazira di Riad, Ibrahim appartiene a una famiglia molto religiosa. Il padre, un ex soldato, ha raccontato che i suoi figli sono stati plagiati dagli estremisti che li hanno spinti sulla via della lotta armata. La madre, affermano i conoscenti, non ha più lacrime da versare tanto è disperata per quello che è accaduto ai suoi ragazzi.
Ibrahim, il kamikaze Abdullah e altri sauditi sono scappati dal loro Paese unendosi agli yemeniti con i quali hanno creato Al Qaeda nella penisola arabica. E sotto la direzione di alcuni veterani di Guantanamo hanno aperto un fronte temibile. Colpiscono nello Yemen e sfidano la sicurezza aerea mondiale. Al Asiri non è certo sofisticato come i maghi delle bombe degli Anni 80 — su tutti il palestinese Abu Ibrahim — però ha dimostrato inventiva su come nascondere gli ordigni. I ripetuti fallimenti non lo hanno scoraggiato. Anzi, l’intelligence è convinta che sia studiando attentamente gli errori fatti: «E’ testardo, si applica, legge le analisi che escono sulla rete. Prima o poi potrebbe riuscire nel suo intento». I complici di Al Asiri, in un messaggio diffuso all’inizio dell’anno, hanno promesso sorprese. Rispetto ad altre formazioni — e questo è merito di Al Awlaki e dei militanti venuti dall’Occidente — gli «yemeniti« dedicano molto più tempo alla fase teorica. Se le bombe devono essere «invisibili» — sacrificando magari la potenza — anche i corrieri devono apparire insospettabili. Ecco la designazione del nigeriano Faruk Abdulmutallab o il reclutamento di un buon numero di occidentali. Ci sono americani, australiani, inglesi e francesi. Comprese alcune donne. Arrivano nello Yemen con la scusa di frequentare corsi e poi entrano nell’organizzazione.
Un flusso tenuto d’occhio dall’ intelligence saudita, determinante nel segnalare a tedeschi, inglesi e americani il piano dei pacchi bomba sugli aerei cargo. Con gli 007 del principe Nayef impegnati a seguire le tracce di Al Asiri, l’uomo che stava per beffarli nell’estate del 2009. Non è solo una difficile indagine antiterrorismo ma una sfida personale dove cacciatore e preda si scambiano i ruoli.
G. O.