varie, 31 ottobre 2010
SALVATORE GIULIANO PER IL FOGLIO DEI FOGLI
«Di sicuro c’è solo che è morto» era il mitico incipit di un pezzo scritto dall’inviato dell’Europeo Tommaso Besozzi di fronte al cadavere di Salvatore Giuliano, ritrovato il 5 luglio 1950 in un cortile di Castelvetrano (Trapani). Adesso anche quell’unica certezza è in discussione. A maggio lo storico Giuseppe Casarrubea (figlio di uno dei tanti sindacalisti assassinati dalla banda Giuliano) e il ricercatore Mario J. Cereghino hanno presentato un esposto alla Procura di Palermo per accertare la vera identità del cadavere: secondo loro apparteneva a un sosia. [1]
Nato a Montelepre (Palermo) il 16 novembre del 1922, Giuliano fu nell’immaginario popolare un Robin Hood mediterraneo che «rubava ai ricchi per dare ai poveri». Attilio Bolzoni: «In realtà, autoproclamatosi colonnello dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia, era un avventuriero nelle mani dei mafiosi e al soldo dei fascisti della Decima Mas riparati nell’isola». [2] Nicola Tranfaglia: «Prima del 2 settembre 1943, data in cui uccise durante un controllo di legge il carabiniere Antonio Mancino, era stato soltanto uno dei piccoli contrabbandieri dell’isola non in regola con la legge che, negli anni di guerra, si arrangiava con piccoli traffici per sopravvivere». [3]
Tra il 1945 e il 1947 si svolse in Sicilia uno scontro accanito tra un’anima democratica e un’anima arcaica e reazionaria che era ostile a ogni riforma agraria e si alleava con la mafia per difendere lo status quo. Tranfaglia: «Giuliano si rese conto del grande gioco politico che si svolgeva nell’isola e, venendo da una formazione maturata nel regime fascista, si legò ai separatisti di Finocchiaro Aprile e al sogno di unire la Sicilia agli Stati Uniti come 49mo stato di quella grande democrazia». [3]
La parabola di Giuliano culminò il primo maggio 1947 con la strage di Portella della Ginestra, dove morirono dodici dei duemila contadini che manifestavano contro il latifondo all’indomani della vittoria di comunisti e socialisti (e la clamorosa débacle della Dc) alle elezioni dell’Assemblea regionale. Laura Anello: «Fu solo la banda a sparare? C’erano anche uomini della Decima Mas? C’era dietro la Cia? Su questo gli storici si dividono. Concordi invece nel ritenere, sintetizza lo storico Salvatore Lupo, “che quella fu una pagina di strategia della tensione, il tentativo di innescare una guerra civile e di ristabilire l’ordine”. Giuliano crede di avere acquisito un salvacondotto per uscire dalla latitanza, sogna una grande carriera politica. E invece diventa scomodo, ingestibile per i presunti committenti della strage». [4]
Nel rapporto numero 213/24 del “Gruppo Squadriglie Centro” il colonnello dei carabinieri Ugo Luca raccontò che un confidente aveva portato lui e il suo reparto a Castelvetrano, e che i militari avevano avvistato «alla luce delle lampade stradali il bandito che si girò con audacia malgrado il fuoco frontale del capitano Perenze, del brigadiere Catalano e del carabiniere Giuffrida…». Attilio Bolzoni: «Il rapporto del colonnello Luca riferiva ogni fase del conflitto a fuoco con Turiddu, una così minuziosa ricostruzione degli spari – dei “colpi singoli” e delle “raffiche” – che però non coincideva con le ferite ritrovate sul corpo del bandito esposto immobile alla vista del mondo intero. Una messinscena per coprire il tradimento di Pisciotta (il luogotenenente Gaspare, morto avvelenato in carcere nel 1954, ndr) e, soprattutto, una vera e propria esecuzione del bandito in un altro luogo». [2]
La Procura di Palermo ha disposto per giovedì la riesumazione del cadavere. Sciacca: «Da quel che resta del cadavere verrà estratto il Dna da raffrontare con quello di alcuni discendenti, primo fra tutti il nipote Pino Sciortino». [1] Cosa si può recuperare di un cadavere dopo 60 anni? Alberto Bellocco, docente di medicina legale alla Cattolica: «Dopo tutto questo tempo possiamo trovare ossa, forse qualche capello, i denti. Sotto la dentina c’è la camera pulpare e lì dentro c’è un tessuto innervato dal quale si può prelevare il Dna». [5]
L’accertamento è una grande apertura di credito alle tesi di Casarrubea e Cereghino. [1] Il fascicolo è stato aperto ufficialmente il 5 luglio, nel 60° anniversario del delitto. Bolzoni: «La richiesta dei due studiosi è partita dopo dieci anni di ricerche, soprattutto su un paio di filmati e una dozzina di fotografie». [6] Già undici anni fa Bellocco si accorse che nelle foto del cadavere qualcosa non quadrava: «Davanti avevo due cadaveri diversi. In una fotografia il taglio delle basette correva lungo l’arcata mascellare, in un’altra fotografia la basetta era più corta e tagliata ad angolo acuto». [5]
Casarrubea ipotizza una trattativa tra Giuliano, la mafia e settori dello Stato: «Pasquale Sciortino, cognato del fuorilegge, rivela in un libro del 1985, scritto con Sandro Attanasio, che un giovane di Altofonte, sosia di Giuliano, veniva pagato per farsi vedere in giro e confondere le acque, ma poi scomparve misteriosamente poco prima del 5 luglio 1950. Non c’è dubbio che un negoziato ci fu. E si può pensare che Giuliano abbia ottenuto l’impunità a patto di scomparire e mantenere il silenzio sui mandanti politici della strage di Portella della Ginestra. Un sosia potrebbe essere stato ucciso al suo posto, per far credere all’opinione pubblica che il capo dei banditi siciliani era stato eliminato». [7]
Morto il sosia, che fine avrebbe fatto Giuliano? Bolzoni: «Qualcuno dice che l’hanno portato sull’isola greca di Samos. Qualcun altro ricorda che l’hanno visto imbarcarsi a Selinunte, quattro giorni prima del 5 luglio 1950, su un peschereccio che faceva rotta per la Tunisia. Dall’Africa sarebbe poi volato verso la sua amatissima America. Ma un ultimo testimone racconta – e probabilmente questa confessione è già agli atti dell’inchiesta giudiziaria – che anche Padre Pio fosse convinto che “un povero figlio di mamma” era morto al posto del bandito. E che lui, Salvatore Giuliano, in una mattina di quella lontana estate fosse arrivato a San Giovanni Rotondo travestito da frate cappuccino». [6]
Di tanti personaggi famosi si è detto che al loro posto era stato ucciso un sosia. Francesco Petrotta, autore del libro La strage e i depistaggi (Ediesse) su Portella della Ginestra: «Se il cadavere ritrovato nel cortile fosse stato diverso da quello ricomposto all’obitorio, avremmo addirittura due sosia, una complicazione inutile». [7] Secondo il giornalista Franco Cuozzo il cadavere ritrovato a Castelvetrano non era di Giuliano, ma quello fotografato all’obitorio sì: la mafia uccise un sosia per dare un primo “riscontro” alle autorità statali con cui trattava, ma subito dopo eliminò anche il bandito. [8]
Note: [1] Alfio Sciacca, Corriere della Sera 20/10; [2] Attilio Bolzoni, la Repubblica 27/6; [3] Nicola Tranfaglia, l’Unità 9/12/2009; [4] Laura Anello, La Stampa 16/3; [5] a. b., la Repubblica 15/10; [6] Attilio Bolzoni, la Repubblica 15/10; [7] Antonio Carioti, Alfio Sciacca, Corriere della Sera 1/8; [8] Corriere della Sera 9/8.