Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 30 Sabato calendario

UNA CITT

n. 158 / 2008 Agosto-Settembre

Intervista a Guido Viale realizzata da Massimo Tesei

IL TMB DI VEDELAGO



Un’emergenza, quella dei rifiuti in Campania, venuta in coda a quella dei terremoti e ancor prima a quella del colera. L’assurdità di muoversi solo quando è tardi, commissariando tutto. Gli incentivi Cip6 che dovevano incentivare le energie rinnovabili e invece son finiti nelle tasche dei petrolieri. Intervista a Guido Viale.



Guido Viale si occupa da vent’anni di rifiuti. Dall’aprile di quest’anno coordina il Forum Rifiuti Campania. Sta uscendo per Bollati Boringhieri il libro Azzerare i rifiuti, una parziale riedizione di Governare i rifiuti, ampliata e aggiornata con gli ultimi eventi in Campania.



Della crisi dei rifiuti in Campania si è parlato moltissimo, ovviamente, e si sono viste immagini incredibili. Ma non abbiamo capito bene le ragioni di tanto disastro. Tu te ne stai occupando e forse ci puoi spiegare qualcosa. Intanto, tu cosa fai esattamente in Campania?

Dal mese di maggio lavoro in Campania come coordinatore di un Forum Rifiuti, cioè di un organismo che è stato istituito da Walter Ganapini, da gennaio nuovo assessore regionale all’ambiente, per promuovere un processo partecipato alla riorganizzazione del ciclo dei rifiuti -quando e se cesserà l’emergenza e le competenze ritorneranno agli organi istituzionalmente preposti. Sono un coordinatore temporaneo, perché è previsto che la mano passi poi a soggetti locali. L’assessore Ganapini non è stato scelto per motivi politici, ma perché è un esperto, probabilmente il maggior esperto italiano, di rifiuti ed è la persona che già 14 anni fa, a Milano, era stato chiamato dalla giunta leghista Formentini in occasione di una analoga emergenza rifiuti nella città. Ne nacque il modello Milano, che è stato copiato da una serie di città europee, per esempio Barcellona, che il problema dei rifiuti l’hanno risolto. A Milano invece siamo ancora senza la raccolta differenziata dell’umido che è stata abolita subito dopo la breve esperienza di Ganapini. Già allora ero stato chiamato a coordinare un Forum cittadino, con la partecipazione delle organizzazioni di volontariato e di categoria. Si tratta di esperienze rare: i processi partecipativi in Italia non sono molto numerosi e, quando ci sono, sono spesso di facciata.In Campania la situazione è talmente grave e complessa che è assolutamente impossibile, a mio avviso, uscirne senza un coinvolgimento profondo -che allo stato attuale non c’è- di quella che volgarmente si chiama società civile. C’è stata una grossa partecipazione emotiva, ma anche intellettualmente e scientificamente qualificata, di comitati, organizzazioni del volontariato e Ong, a fronte di un’assenza, con poche lodevolissime eccezioni, delle amministrazioni locali a qualsiasi livello, e un silenzio tombale o quasi, finora, da parte delle organizzazioni imprenditoriali e dei sindacati, che pure sono parte in causa. Il mio tentativo, concordato con l’assessore, è di costruire innanzitutto un organismo indipendente, anche se promosso dall’assessorato e dalla Regione, che rivendichi una piena autonomia anche di giudizio. L’obiettivo è tenere insieme tre componenti fondamentali: l’imprenditoria, cioè Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, Confagricoltura, Coltivatori Diretti, Camere di Commercio, ecc.; il mondo istituzionale, cioè i Comuni, le Province, e dove le città sono di una certa dimensione anche le municipalità, le circoscrizioni, le Asl e le altre istituzioni collegate; e infine, terza componente, le associazioni e il volontariato, dai sindacati ai comitati spontanei, alle Ong. E’ un’impresa molto difficile; è un po’ come tenere insieme il diavolo e l’acquasanta, ma è l’unica che potrebbe dare un senso a questo Forum. Allora, vediamo un po’ cosa è successo in Campania. Come tutti sanno è un’emergenza che risale a molti anni fa. Ufficialmente al 1994. Questa emergenza rifiuti è venuta in coda all’emergenza terremoti, cioè quando si è spenta ed è cessata quella mobilitazione straordinaria di risorse -e di tangenti e di malaffare- che ha caratterizzato tutta la gestione del terremoto. La quale, a sua volta, per quanto riguarda in particolare una parte della provincia di Napoli e di Caserta, è venuta in coda all’emergenza colera, che risale al 1973 e che era stata la prima sperimentazione, in Campania, di una situazione di gestione straordinaria delle risorse e del potere, che aveva permesso alle classi dominanti di avere mano libera. C’è un libro di Naomi Klein, che ha avuto un grosso successo all’estero e meno in Italia, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, che tratta per l’appunto di situazioni in cui, approfittando di disastri naturali o “inventati”, cioè creati dalla natura o prodotti dal comportamento umano, si sospendono -in linea di principio temporaneamente, per poi rendere la cosa definitiva- le regole ordinarie, costituzionali, della gestione del potere; e si mobilitano risorse pubbliche a favore di imprese private, per perpetuare una situazione che va a vantaggio di pochi e a svantaggio di molti. La storia delle emergenze campane è questa. E oggi c’è chi fa notare -purtroppo all’epoca erano, o eravamo, in meno a essercene accorti- che l’emergenza rifiuti campana è stata inventata.

Ma l’emergenza rifiuti riguarda potenzialmente anche altre regioni…

E’ così. Infatti le regioni commissariate già da qualche anno sono quattro, perché hanno un commissario anche la Calabria, la Puglia e la Sicilia. Successivamente è stata commissariata la Sardegna e poi anche il Lazio. Prossimamente, forse, sarà il caso della Liguria. Nel giro di un anno o anche sei mesi, queste regioni, in particolare la Calabria, si ritroveranno in una situazione per molti versi simile a quella della Campania. D’altra parte, i problemi non vengono affrontati per tempo, in maniera ordinaria, e prevale una totale deresponsabilizzazione dei centri di potere: giù giù fino alle amministrazioni locali, che sono le responsabili ultime della gestione dei rifiuti. Si preferisce aspettare che i rifiuti dilaghino, per poi chiedere interventi straordinari e poter agire con le mani libere. Ma c’è di più: per 30 o 40 anni la Campania, ma anche la Puglia e la Calabria, per quanto la cosa non sia ancora emersa nella sua gravità, sono state usate per sversare rifiuti di origine industriale e ospedaliera, provenienti dal Nord o dal Centro Italia. Molti rifiuti ospedalieri, compresi rifiuti molto pericolosi, come quelli radioattivi -non rivelo niente di nuovo- sono stati ritrovati in discariche abusive della Calabria e della Campania. Questi rifiuti sono stati sversati in cave di cui tutti sapevano. Il disastro che si vede in tv, cioè i rifiuti per la strada, che sono prevalentemente rifiuti urbani, sono una minima parte del disastro campano, e quella a cui sarebbe più facile provvedere, se lo si volesse fare. La vera emergenza sono i rifiuti che sono stati sversati nelle rogge, nelle cave e anche nei campi della Campania, che hanno ovviamente infiltrato le falde, per cui oggi sarebbero necessarie opere di bonifica dei terreni, dei suoli agricoli, e soprattutto delle acque superficiali e di profondità, che, semmai si comincerà il lavoro, richiederanno miliardi e miliardi di euro. Per far fronte alle prime emergenze (in realtà per distribuirli a chi vuole), il governo ha già stanziato un miliardo di euro; gli ordini di grandezza sono questi.

I rifiuti arrivati dalle altre regioni hanno seguito canali ufficiali?

No, non hanno preso canali ufficiali. Sono stati, come si sa, gestiti dalla malavita, magari attraverso una serie di passaggi di cui quello con la malavita è spesso solo l’ultimo, perché magari controlla la cava o la discarica, o addirittura semplicemente un campo, come si vede nel film Gomorra, una storia inventata, ma che rispecchia perfettamente fatti di cronaca. La camorra è l’anello finale; poi ci sono gli intermediari; ma all’altro capo della catena ci sono industrie, ospedali, amministrazioni pubbliche, eccetera. Allora, è indubbio che senza la camorra queste cose non si riescono a fare, però la camorra da sola non va da nessuna parte, ci vuole anche la controparte, cioè colui che agisce perfettamente consapevole -per il prezzo che paga e per le persone a cui si rivolge- che i rifiuti creeranno inquinamento e, in alcuni casi, malattie e morte.Si è visto nel film Biutiful Cauntri che, a distanza di anni, gli effetti nocivi di questi comportamenti si ripercuotono sulle coltivazioni, sugli animali e sulle persone. Nel cosiddetto “triangolo della morte”, Caserta-Napoli-Acerra, un’indagine dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Cnr ha dimostrato che il tasso di tumori è come minimo doppio, e in alcuni casi anche tre o quattro volte quello medio europeo. Quindi è indubbio che in queste zone anche prima dell’inceneritore (che peraltro non è ancora entrato in funzione e quindi per ora non è responsabile di niente, se non di grandi sperperi di danaro) il problema c’era e gravissimo; e fanno bene le popolazioni campane a opporsi a qualsiasi intervento che crei ulteriori rischi di inquinamento.

Dicevi che l’emergenza campana è “inventata”. Puoi spiegare?

E’ molto importante seguire quello che è successo in questi anni, perché fa capire come l’emergenza sia frutto di una speculazione di bassissimo livello, che ha creato problemi giganteschi, non solo alle popolazioni che ne sono state vittime, ma a tutto il paese. Allora: nel 1994, quando è iniziata l’emergenza campana, era al governo della Campania una giunta di destra, guidata da un politico di Alleanza Nazionale che si chiama Rastrelli, il quale ha varato un piano regionale dei rifiuti, che prevedeva la costruzione di ventitré inceneritori! Era la solita risoluzione di tutti i problemi dei rifiuti: bruciamoli. Poi qualcuno gli ha fatto notare che tutti quegli inceneritori erano troppi e allora sono stati ridotti a tredici e poi a soli tre. A questo punto al governo nazionale c’era un governo di centro-sinistra, al Ministero dell’Ambiente c’era Edo Ronchi e al Ministero dell’Interno c’era Giorgio Napolitano, attuale Presidente della Repubblica. Viene istituito il Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania. Questi Commissari straordinari ci sono ormai, come ho detto, in sei regioni, in Campania ce n’è anche uno per le acque e uno per le bonifiche. E uno per l’emergenza della frana di Sarno e diversi altri per altre situazioni di dissesto idrogeologico. Sono tutte entità che esautorano le amministrazioni locali. Insomma, la Campania è commissariata. Fin dal marzo del 1998, l’allora Ministro degli Interni Giorgio Napolitano aveva delineato i termini con cui avrebbe dovuto essere affrontata la crisi dei rifiuti nella regione. Quell’ordinanza prescriveva il raggiungimento del 35% di raccolta differenziata; l’affidamento tramite gara della gestione di tutti i rifiuti urbani prodotti in Campania a valle della raccolta differenziata per 10 anni; la realizzazione entro l’anno degli impianti di selezione e trattamento delle frazioni secca e umida del rifiuto indifferenziato e, entro il 2000, di due inceneritori predisposti per il trattamento del solo Cdr (Combustibile Derivato dai Rifiuti, in pratica la parte secca del rifiuto indifferenziato). Per evitare indebiti accumuli di Cdr, fino alla realizzazione degli inceneritori, questo avrebbe dovuto essere bruciato in altri impianti, anche fuori regione; e per non pregiudicare la raccolta differenziata, il Cdr non doveva eccedere la metà dei rifiuti complessivamente prodotti in Campania. L’elettricità prodotta dagli inceneritori avrebbe goduto, per un periodo di otto anni, degli incentivi Cip6: cioè di un prezzo di cessione dell’elettricità generata con i rifiuti circa quattro volte superiore a quello di un ordinario impianto termoelettrico. Il decreto Napolitano era in linea con le esperienze all’epoca più avanzate di gestione dei rifiuti urbani e ne riproduceva le fasi e le caratteristiche principali. Come dicevo, tra i suoi obiettivi c’era il 35% di raccolta differenziata: per raggiungerlo è indispensabile raccogliere anche la frazione organica. Mi spiego. Queste percentuali si calcolano in peso, non in volume. I rifiuti urbani infatti sono composti, per il 40% circa del peso, da imballaggi: al Nord come al Sud, non c’è molta differenza. Ma questi imballaggi, in volume, occupano (per strada o in un cassonetto) l’80-90% del volume: sono cartoni, bottiglie di plastica, flaconi di shampoo, scatole e pacchetti. Pressati in un compattatore, che sono camion con una pressa che vanno a svuotare i cassonetti, possono scendere al 50-60%. Pertanto l’obiettivo del 35% di raccolta differenziata era stato fissato per obbligare a farsi carico anche della frazione organica che è quella più difficile e più fastidiosa da raccogliere: in particolare nelle regioni del Sud, perché fa più caldo. Al Sud nel periodo estivo i rifiuti organici abbandonati per strada, ma anche all’interno di un cassonetto, marciscono e putrefanno più in fretta con tutti gli inconvenienti connessi: cattivi odori, infestazione di insetti e di ratti, o di quella fauna che ci permette di individuare immediatamente la presenza di una discarica in qualsiasi parte del mondo, cioè i gabbiani.

La raccolta differenziata fatta così avviene attraverso le campane per il vetro, per le lattine, per la carta, cioè è il cittadino che differenzia...

Non c’è nessuna legge che preveda le modalità della raccolta differenziata. Sono gli obiettivi che dovrebbero imporre le modalità. Per esempio, il Decreto legislativo 152 varato dal precedente governo Berlusconi prevede il 60% di raccolta differenziata entro il 2011: questa percentuale è impossibile da raggiungere senza il sistema cosiddetto porta a porta. E’ statisticamente provato: per superare il 40% ci vuole il porta a porta. Ma anche il porta a porta è un sistema molto elastico e variabile: non è necessario che tutte le frazioni siano raccolte porta a porta. Grosso modo quello che assolutamente va raccolto porta a porta è l’organico, perché se no finisce in un cassonetto qualsiasi. Poi va raccolta porta a porta la frazione indifferenziata, perché se lascio un cassonetto per strada, la gente continua a buttare lì il rifiuto indifferenziato. Mentre le campane del vetro, o anche quelle per la plastica continuano a essere abbastanza efficienti. Ci sono comunque altre modalità di raccolta porta a porta, per esempio quella cosiddetta “di prossimità”, quando negli edifici non c’è posto per bidoni e contenitori. Situazioni del genere, tra l’altro, sono ineliminabili in alcuni centri storici. Una delle prime considerazioni da fare è che quando scompaiono i cassonetti (il porta a porta è alternativo ai cassonetti stradali) la quantità di rifiuti si riduce drasticamente. Come si spiega? E’ semplice: nei cassonetti finiscono anche i rifiuti delle piccole aziende che sono classificati come rifiuti speciali. La legislazione opera una distinzione di fondo tra due categorie di rifiuti: rifiuti urbani, quelli che produce ciascuno di noi, cioè le famiglie; e i rifiuti speciali, che sono quelli che producono le imprese. Sono sottoposti a due regimi diversi: della gestione dei rifiuti urbani è responsabile il Comune; per i rifiuti speciali, cioè quelli prodotti dalle imprese, è invece responsabile l’impresa che li produce, la quale deve procurarsi sul mercato i servizi di altre imprese addette allo smaltimento: non lo può fare in proprio. Queste imprese devono essere autorizzate e le imprese che producono i rifiuti sono responsabili, in solido, con l’impresa a cui li hanno consegnati, del buon esito dello smaltimento; devono farsi rilasciare una documentazione che garantisca che i rifiuti, una volta prelevati, siano stati portati a destinazione, cioè a un impianto in grado di trattarli. Naturalmente questi certificati vengono spesso falsificati: in parte con sistemi elusivi, cioè mischiando rifiuti altamente tossici con rifiuti meno tossici, e abbassandone -in teoria- il grado di pericolosità; in parte con dei documenti falsi: il produttore di rifiuto si tutela, ma il rifiuto viene comunque smaltito in maniera illegale. Tra i rifiuti urbani e quelli speciali c’è una terza categoria: i cosiddetti “rifiuti assimilati”, che sono rifiuti, dice la legge, che “per quantità o per qualità, possono essere trattati negli stessi impianti dei rifiuti urbani”, ma che sono prodotti da imprese. I rifiuti dei negozi sono quasi sempre assimilati agli urbani. In molti comuni della Toscana e dell’Emilia si assimilano anche molti rifiuti prodotti da laboratori e piccole imprese. Ecco perché appena si ritirano i cassonetti dalla strada, da 600 kg all’anno per abitante si scende immediatamente a 400 o anche meno; lì non si sfugge e le ditte o buttano i rifiuti nella roggia oppure devono procurarsi un gestore. Dunque, per raggiungere il 60% di raccolta differenziata non c’è altro metodo che il porta a porta, che in più ha il vantaggio di eliminare dal ciclo questo surplus di rifiuti speciali molto spesso pericolosi e tossici.

Ma come funziona la raccolta differenziata?

La raccolta differenziata dei rifiuti urbani riguarda sostanzialmente imballaggi e organico (cioè avanzi di cucina). Per gli imballaggi il decreto Ronchi ha istituito un sistema nazionale: tutte le imprese che producono, oppure importano, imballaggi o prodotti imballati sono tenute a pagare un certo contributo a dei consorzi di filiera (cioè un consorzio per la carta, uno per la plastica, uno per il vetro, uno per l’alluminio, eccetera) e questi consorzi sono riuniti in un consorzio di secondo livello che si chiama Conai, che amministra tutti questi fondi. Come li amministra? Sostanzialmente li distribuisce con dei contributi, che si chiamano corrispettivi, ai Comuni che fanno la raccolta differenziata, in proporzione alla quantità di rifiuti che raccolgono in maniera differenziata e ovviamente con delle tariffe differenti a seconda del materiale. Il materiale più costoso da raccogliere è la plastica, perché occupa molto spazio e pesa poco, e quindi il corrispettivo per un kg di plastica è anche 30-35 centesimi, se il materiale è puro, perché varia a seconda che la raccolta sia fatta bene oppure male, se il materiale è puro o non puro. Fino a che il prezzo del petrolio non ha superato i 100 dollari costava più raccogliere e riciclare la plastica, che fabbricarla ex novo. Adesso invece non c’è più alcun dubbio: in Inghilterra stanno addirittura studiando il modo per andare a scavare dentro le discariche e recuperare la plastica per riciclarla, perché ormai ha un valore tale che vale la pena fare anche questa operazione. Naturalmente la plastica, una volta raccolta, va trasportata, e non la si può triturare prima di trasportarla, perché “plastica” è un nome collettivo per polimeri, cioè molecole, fra loro molto differenti, e ciascuna delle quali ha possibilità di recupero, se separata, ma se tutto viene mischiato il materiale che ne esce è quasi inutilizzabile, se non per gli arredi urbani: per esempio le panchine, e simili. Ora trasportare la plastica fino al centro di selezione vuol dire riempire un camion di aria, perché in una campana media da tre metri cubi per la raccolta della plastica ci stanno al massimo 40 kg di plastica, mentre in una campana del vetro, che è un metro cubo di volume, ci stanno fino a 6-700 kg di vetro, perché il vetro si frantuma e si compatta. Di questi consorzi per la gestione degli imballaggi, l’unico che accoglie anche materiale diverso dagli imballaggi è quello della carta Comieco, che peraltro esisteva già prima della legge Ronchi, e che raccoglie anche giornalame e carta da ufficio. Invece il consorzio che raccoglie la plastica, per dire, non considera suo dovere raccogliere se non imballaggi. Ma esiste un sacco di rifiuti di plastica che non sono imballaggi: i giocattoli, i gadget e quasi tutti gli oggetti usa e getta: piatti, bicchieri, posate. In un ufficio, il bicchiere del caffè non è plastica da raccolta differenziata, invece la bottiglietta dell’acqua minerale lo è. Che cosa succede? Succede che quando noi buttiamo diligentemente nel sacco della raccolta differenziata il bicchierino di plastica, questo viene considerato come impurità, e quindi abbassa la percentuale di plastica raccolta, e il corrispettivo che incassano i Comuni. Lo stesso accade con il vasetto di yogurt che contiene ancora un pochino di yogurt, cioè contiene delle impurità. Poi c’è il rifiuto organico, che per essere recuperato deve andare in impianti di compostaggio. Il compostaggio è un processo naturale, aerobico: cioè avviene in presenza di aria; anzi, più se ne insuffla, più il processo è rapido ed efficiente. Ad agire sono dei batteri che trasformano la materia organica in materiale inerte ma ricco di sostanza organica, che poi può venire usato, se la raccolta differenziata è efficiente e il materiale è puro, come ammendante dei terreni; cioè non è un fertilizzante, perché la sostanza nutriente è molto scarsa, ma migliora la porosità dei suoli, la loro capacità di trattenere l’acqua e altri parametri, con effetti positivi in particolare sui suoli sabbiosi, argillosi, desertici o semidesertici, come in gran parte di quelli italiani.

E il resto dove va a finire?

In Italia la raccolta differenziata mediamente arriva al 24%, con delle punte al 70-80%, e altre “punte”, per esempio Messina, che è allo 0%. In sostanza c’è da un 70-80% a un 20-30% di rifiuto indifferenziato, che non è cioè oggetto di raccolta differenziata, che va a finire in discarica o in un inceneritore. La normativa europea tuttavia prevede che, prima di andare in discarica, il rifiuto venga sottoposto a un ulteriore trattamento, che è la separazione della frazione umida dalla frazione secca. Cioè, in base alla normativa europea, che in Italia ha subìto una serie di proroghe, non può finire in discarica se non materiale secco, cioè inerte, e non materiale organico, che è quello che attira i gabbiani, i topi, che puzza, e cose di questo genere. E’ buona prassi sottoporre allo stesso trattamento anche il rifiuto che va in un inceneritore: perché la frazione organica non brucia e assorbe calore invece di generarlo, e perché solo la frazione secca, depurata dagli scarti e dalla parte organica, garantisce un buon funzionamento dell’impianto e una riduzione dei veleni che possono uscire dal camino.

Come avviene questa separazione?

Con una macchina semplicissima. In sostanza si tratta di un setaccio con dei buchi larghi 14 cm, e di un secondo setaccio, con dei buchi più piccoli. Le bottiglie di plastica, i flaconi e i fogli di carta restano sopra al primo vaglio, mentre ci cadono sotto i torsoli di mela, i cocci, le cicche delle sigarette, ecc., mentre le lattine di metallo vengono prelevate con sistemi magnetici o a correnti indotte. Poi il secondo vaglio fa cadere le cicche, la polvere, le minutaglie: quello che si chiama sottovaglio, che va in discarica (per quanto anche questo materiale potrebbe essere recuperato) mentre trattiene il materiale organico. Ovviamente queste operazioni hanno dei limiti: per esempio, se una lattina schiacciata dal compattatore ha pinzato in mezzo una buccia di banana, il deferrizzatore se la tira dietro, e al rottamaio arriva del materiale inquinato. D’altra parte anche il prezzo del ferro è ormai talmente alto che lo ritirano lo stesso. Il materiale organico che viene separato deve essere sottoposto a un processo di compostaggio analogo a quello dell’organico raccolto in modo differenziato; solo che essendo contaminato non può essere utilizzato in terreni per colture alimentari; ma può esserlo in colture cosiddette no-food, come i pioppeti, o in quelle a scopo energetico per fare il biodiesel; oppure può essere utilizzato nelle bonifiche ambientali, classicamente per coprire le discariche. La gestione di una discarica, che si chiama anch’essa “coltivazione”, consiste nella deposizione di uno strato di rifiuti urbani per poi schiacciarlo con un trattore e coprirlo con uno strato di terra, e poi deporre un altro strato di rifiuti urbani, fino a fare dei montarozzi anche di 30 metri, magari partendo da 30 metri sotto il livello di campagna. Così, al posto di usare della terra buona, per fare le coperture si usa questo materiale, che in termini tecnici si chiama Fos, acronimo di Frazione Organica Stabilizzata: non puzza più, non attira più i ratti, eccetera. Può essere usato anche per coprire cave o per rinaturalizzare un sito, usandolo insieme alla terra. A parte il materiale stabilizzato e il sottovaglio, da questi impianti dovrebbe uscire anche la parte combustibile del rifiuto indifferenziato, quella destinata all’inceneritore. Ma può anche essere utilizzato, come combustibile addizionale, in cementifici, altiforni, fornaci o impianti di generazione elettrica a carbone e, visto l’alto prezzo del petrolio, a cui sono legati i prezzi di tutti gli altri combustibili, oggi in Francia e Germania questo Cdr se lo contendono.Comunque, in base al decreto Napolitano negli inceneritori doveva finire solo il Cdr. La giunta Rastrelli aveva fatto un bando di gara per affidare tutta la gestione del ciclo dei rifiuti, dalla raccolta in poi (cioè non solo l’inceneritore, inizialmente ne erano previsti due, ma anche gli impianti di separazione del secco dall’umido, i cosiddetti Cdr) a un unico soggetto. Al bando avevano partecipato inizialmente in tre, poi i giapponesi si erano ritirati (denunciando il fatto che il bando di gara era un imbroglio), e erano rimasti in due, Enel e Impregilo. Impregilo non aveva alcun know how in materia; per partecipare alla gara si era unita in associazione di impresa con una ditta tedesca che gestiva rifiuti, la Babcock. Questa ditta poi è fallita e Impregilo ne ha dovuto rilevare l’ufficio studi per mantenere l’affidamento; ma ha comunque partecipato alla gara con un progetto degli anni ‘60, presentato in gara nel 2000 e considerato il peggiore dalla commissione giudicatrice. Impregilo poteva vantare due buoni motivi per aggiudicarsi l’appalto. Primo, aveva garantito di realizzare l’impianto di incenerimento in 300 giorni. Ora, un qualsiasi studente di quarta geometri sa che costruire un inceneritore in 300 giorni è impossibile. In secondo luogo, Impregilo offriva una tariffa di conferimento molto inferiore a quella dell’Enel. Che cos’è questa tariffa? E’ una tariffa che chi gestisce questi impianti si fa pagare dai Comuni che conferiscono loro i rifiuti. Se tu conferisci in discarica, la tariffa di ritiro è quello che la discarica ti fa pagare, maggiorata di una tassa ecologica che è prevista per disincentivare l’uso della discarica. In questo caso specifico si trattava della tariffa di consegna del rifiuto indifferenziato agli impianti di produzione di Cdr previsti dal bando di gara. Allora, l’Impregilo, tramite la Fibe, sua società affiliata, aveva offerto una tariffa di conferimento assolutamente inverosimile: 83 lire al kg, contro le 120 lire offerte dall’Enel, che era il prezzo di mercato. Il trucco stava nel Cip6, l’incentivo pensato per promuovere le energie rinnovabili, cioè il sole, il vento, l’idroelettrico, e che, invece, grazie a un intervento delle lobby, è stato esteso anche alle fonti cosiddette “assimilabili”: i rifiuti e, udite udite, il petrolio! Cioè, il residuo degli impianti di raffinazione del petrolio, in sostanza il catrame, che fino allora veniva considerato uno scarto. Si calcola che da allora ad oggi siano stati erogati qualcosa come 35-40 miliardi di euro in incentivi Cip6. Prevalentemente non li hanno incassati gli inceneritori, ma i petrolieri, in particolare Moratti, che si è pagato, così pare, un miliardo di Inter. Comunque con il Cip6 la Fibe, cioè Impregilo, avrebbe potuto recuperare i costi che sopportava, e guadagnarci alla grande. Il problema è che l’inceneritore, che è quello di Acerra, non è mai stato fatto; non è ancora finito. E non per colpa di Pecoraro Scanio e degli ambientalisti. Se dopo otto anni (altro che 300 giorni!) quell’inceneritore non c’è ancora è perché quel progetto, così come era stato concepito, era semplicemente irrealizzabile. Alla fine la commissione Via per la valutazione dell’impatto ambientale, ha dovuto intervenire chiedendo delle integrazioni tecniche, che sono state stimate in 150 milioni di euro, che è quasi il costo di un inceneritore nuovo. Impregilo è incaricata di fare queste integrazioni, ma è stata diffidata dalla magistratura dal continuare a occuparsi di rifiuti per la gestione che ne ha fatto in tutti questi anni e dovrà vendere l’impianto. Comunque Impregilo, per non perdere gli incentivi Cip6, invece di smaltire in inceneritori o impianti altrui il Cdr prodotto nel frattempo, lo ha accumulato impacchettandolo nelle famose ecoballe. Al 15 dicembre del 2006, quando Impregilo è stata esautorata dalla gestione dei rifiuti campani dalla magistratura, ed è subentrato, come gestore degli impianti cosiddetti Cdr e proprietario delle ecoballe, il Commissario straordinario, si calcola che il valore in kilowattore delle ecoballe accumulate fino ad allora -circa 6 milioni di tonnellate- fosse, grazie agli incentivi Cip6, di un miliardo e mezzo. Non stupisce che Impregilo le abbia date in garanzia alle banche che l’hanno finanziata come fossero altrettanti barili di petrolio.Ma non è ancora finita: l’Impregilo ha anche modificato gli impianti di Cdr, rispetto ai progetti presentati per la gara. In un modo molto semplice: ha ristretto i buchi dei setacci. Invece di farli di 20 cm, li ha fatti di 14, così il materiale che rimaneva in superficie, cioè che andava a finire nelle ecoballe, era ovviamente molto di più. Peccato che, insieme a del materiale sicuramente combustibile, lì dentro ci sia finito anche del materiale organico putrescibile che ha trasformato i depositi di ecoballe in vere e proprie discariche, ovviamente non a norma e non autorizzate, con tutti gli inconvenienti che questo comporta.Impregilo aveva anche strappato l’accordo di costruire dove voleva. Questo modo di operare è evidentemente la negazione di qualsiasi principio di governo del territorio, perché se è l’impresa che decide, dove sceglierà i siti? Dove ha già i terreni, o dove costano di meno, o sono più accessibili alla viabilità. Così, per esempio, per fare l’inceneritore ha scelto Acerra, che era già prima, come lo è adesso, il luogo più inquinato della Campania, perché lì c’era la Montefibre, che ha sversato rifiuti chimici sul territorio per anni, più la camorra.

Ma il ruolo della camorra?

La camorra ha avuto vari ruoli, in particolare controllava praticamente tutte le discariche. Ora, per accumulare le ecoballe ci vogliono dei suoli. Bene, la camorra comprava i suoli e poi li affittava a Impregilo a prezzi stratosferici. Impregilo pagava, perché aveva una copertura finanziaria dal futuro Cip6. Dal 16 dicembre 2006, a pagare gli affitti per questi suoli è direttamente il Commissario straordinario. Inoltre la camorra ha incominciato ad infilare dentro questi impianti di tutto, tant’è vero che dentro le ecoballe si trovano biciclette intere, rifiuti industriali, rifiuti radioattivi ospedalieri, eccetera, che non sono certo arrivati dai cassonetti di Napoli! Una volta impacchettate, a parte i rifiuti radioattivi che si possono rilevare coi contatori geiger, per vedere se ci sono rifiuti tossici nelle ecoballe, bisogna aprirle e guardarci dentro una per una; sono otto milioni, quindi…Questi impianti non hanno mai funzionato come dovevano: Impregilo li faceva andare a tutta forza per trattare tutto il materiale, che era più di quello previsto, dato che di raccolta differenziata se ne faceva poca. Da quando è subentrato il Commissario, si è trascurata del tutto anche la manutenzione e i Cdr sono stati sempre meno in grado di accogliere tutti i rifiuti prodotti. Di qui l’accumulo dei rifiuti per strada, in attesa di aprire nuove discariche o di spedirli in Germania. Dopo Rastrelli è arrivato un altro presidente, si chiamava Losco, anche lui del Polo. Entrambi sono stati Commissari straordinari; poi è arrivato Bassolino, è stato Commissario anche lui; si è ritirato solo quando le cose hanno cominciato a diventare ingestibili, nel mentre era stato Commissario anche un Prefetto, Improta; poi è arrivato un altro Prefetto, Catenacci, poi si è dimesso anche Catenacci ed è arrivato Bertolaso; poi si è dimesso anche Bertolaso, ed è arrivato Pansa, altro prefetto. Insomma, una storia infinita. Certo resta una domanda: chi ha gestito tutti gli scambi con la camorra? Oggi anche una parte del trasporto è in mano alla camorra. Questi camion partono, poi si fermano per strada, svuotano in una roggia il loro contenuto e ne caricano dell’altro e lo vanno a infilare nei Cdr, questi lo setacciano e lo mettono nelle ecoballe e lì resterà. Tutta questa storia è raccontata per filo e per segno in un libro molto istruttivo: Ecoballe, editore Aliberti, di Paolo Rabitti. Questi è stato perito di Casson nel processo alla Montedison, e il perito della Procura di Napoli nel procedimento contro Impregilo e Bassolino.

C’è poi la vicenda degli Lsu, i lavoratori socialmente utili…

Da quando è cominciata l’emergenza rifiuti, gli amministratori della Campania, della Regione, delle Province e dei Comuni, chi più chi meno, hanno tutti pensato che la raccolta differenziata fosse la panacea per creare posti di lavoro. Così oggi, in Campania, ci sono circa 22.000 addetti alla gestione dei rifiuti urbani, più 3000 che, in base a progetti di “formazione” finanziati dal Ministero del Lavoro, dall’assessorato, dalla Regione, si aspettano di entrare nel settore: per fare che cosa? Una raccolta differenziata che non si fa. La media degli addetti, tutto compreso, dove si fa molto bene la raccolta differenziata è di un lavoratore ogni ottocento, mille abitanti. In Campania ci sono quasi sei milioni di abitanti, quindi la media sarebbe seimila addetti, diciamo sette-ottomila, novemila, per abbondare, ma non uno di più. Sono più del doppio, tutti potenziali esuberi. Molti di loro non lavorano per niente, non hanno mai lavorato, perché nessuno gli ha dato qualcosa da fare. Ci sono ovviamente anche fenomeni di malavita e, comunque, di gestioni clientelari. Gli Lsu hanno contratti per 20 ore la settimana e meno di 500 euro al mese, e hanno tutti un altro lavoro, se no non camperebbero. Quando gli offrono un lavoro stabile, di otto ore, nessuno lo vuol fare, perché la condizione di Lsu conviene molto di più. Il problema è micidiale, perché non puoi riorganizzare e razionalizzare la gestione dei rifiuti senza affrontare questa situazione. Nessuno per ora ci sta provando.

Ma come si è arrivati a questo punto?

E’ successo che i Presidenti della Regione hanno continuato a fare andare avanti le cose in quel modo, anche se il meccanismo era insostenibile. Lo sapevano tutti che prima o poi la situazione sarebbe esplosa. Invece, di volta in volta, i commissari che si sono succeduti sono riusciti ad aprire fortunosamente delle nuove discariche e a sbatterci i rifiuti; oppure, con i fondi del Commissariato, a spedire una parte dei rifiuti prima in Emilia, poi in Lombardia, poi in Germania. Prima che diventasse un fatto politico, molte regioni hanno accettato di prendere i rifiuti campani, anche perché venivano pagati profumatamente. A un certo punto in Emilia se li strappavano. Ma mai nessuno ha cercato di imporsi a Impregilo, di dire: “Guarda che questi impianti li devi far funzionare in un altro modo, come era nei patti; le ecoballe le devi spedire fuori regione a tue spese, ecc.” Fino a che non è intervenuta la magistratura che ha esautorato Impregilo. A quel punto è subentrato il commissariato che ha continuato a fare le stesse cose; anzi, peggio. Quando Prodi si è reso conto della gravità della situazione, ha nominato De Gennaro, che ha predisposto l’apertura di due nuove discariche, ha mandato un bel po’ di treni in Germania, ma soprattutto ha aperto una serie di cosiddetti depositi provvisori di rifiuti. Capannoni industriali dismessi, dove ha accumulato rifiuti talquali raccolti dalle strade. La cosa più grave è che a questo scopo sono stati usati anche gli unici due impianti di compostaggio esistenti in Campania, che avrebbero potuto trattare la frazione organica della raccolta differenziata. Così ora i cosiddetti comuni “virtuosi”, quelli che fanno la raccolta differenziata anche dell’organico, non sanno più dove trattarlo; sono costretti a spedirli fuori regione; prima in Sicilia e in Puglia, ma lì adesso hanno chiuso le porte e allora li mandano addirittura a Bergamo, ad Alessandria, a Padova. Insomma, paradossalmente i comuni virtuosi sono oggi i più sacrificati; e i loro sindaci devono spiegare ai cittadini come mai spendono tutti quei soldi per fare una cosa che gli altri non fanno.Così, alla fine, sulle strade della Campania si erano accumulati più di 300 mila tonnellate di rifiuti, più quelli che tutti i giorni venivano ad aggiungersi: circa 6.500 tonnellate. De Gennaro è riuscito a sgomberare le strade usando l’esercito. Al momento del cambio di governo avanzavano poco più di 15.000 tonnellate di rifiuti ancora sulla strada, che sono quelli rimossi da Bertolaso. Dopodiché è arrivato Berlusconi con la scopa in mano e ha annunciato: “Ho tolto tutti i rifiuti dalla strada”. In realtà li ha tolti De Gennaro, coi metodi che sappiamo, oltretutto ha imposto che venissero fatte due nuove discariche, quelle di Savignano Irpino e di Sant’Arcangelo Trimonte, che sono a fianco di discariche già riempite e chiuse, con un impegno preso con la popolazione locale di bonificare il sito e di mai più aprire altre discariche nella zona. Poi arriva il decreto 90, convertito nella legge 123/08, che è il piano dei rifiuti di Bertolaso e Berlusconi; che cosa prevede? Il 50% di raccolta differenziata. Ovviamente non c’è nessun provvedimento o misura di questo decreto che dica chi la farà, o come si farà. Ma intanto prevede la chiusura degli impianti di Cdr e così oggi il rifiuto che non viene raccolto in maniera differenziata, e che è più dell’80%, e non il 50%, e che tale resterà per anni, verrà bruciato negli inceneritori in forma di rifiuto tal quale, cioè assieme all’organico e a qualsiasi altra porcheria, senza passare attraverso alcun processo di selezione. Questo ne fa aumentare il volume; così gli inceneritori da costruire non sono più tre, ma quattro; ce ne vuole anche uno per Napoli. Come non bastasse, Prodi, sciaguratamente, forse per cercare di tenersi buono Mastella, nell’ultimo giorno del suo governo ha reintrodotto per l’inceneritore di Acerra i famigerati incentivi Cip6, che erano stati aboliti proprio dal suo governo, perché la normativa europea esclude misure del genere in quanto i rifiuti non sono una “fonte rinnovabile” che possa essere incentivata. Al massimo può essere considerata rinnovabile la parte organica del rifiuto. Ma la parte organica non è il rifiuto organico, che è umido, non brucia e anzi assorbe calore, ma è la carta. Allora, volendo mantenere gli incentivi, avrebbe dovuto concederli solo in base alla carta presente nei rifiuti. Questo incentivo esiste già, sono i certificati verdi, anche se in questo caso è del tutto contrario alle sue finalità, perché scoraggia la raccolta differenziata della carta. Invece Prodi l’ha introdotto per il solo inceneritore di Acerra per cercare di accelerare il suo completamento. Poi, su iniziativa del Pd, nella conversione in legge del decreto Berlusconi è stato presentato un emendamento per cui tutti gli inceneritori della Campania avranno gli incentivi Cip6. L’operazione, fatta per poi estendersi anche alle altre regioni, dove Giunte di tutti i colori intendono realizzare degli inceneritori, dovrebbe venir bocciata dall’Unione Europea, per cui ci potrebbe essere una nuova procedura di infrazione, assai costosa per le casse dello Stato italiano.

Rispetto agli scenari futuri?

Dunque, i paesi più civili dei nostri da tempo hanno accolto quella che era un’indicazione dell’Ocse, poi una direttiva della Comunità Europea, che è un ordine di priorità nella gestione dei rifiuti. Primo, ridurre la quantità dei rifiuti che vengono prodotti; secondo, recuperare il materiale, cioè riciclare, cosa per cui bisogna fare la raccolta differenziata; terzo, recupero energetico, cioè bruciare con produzione di energia soltanto quello che non si può recuperare, e quarto, smaltire in discarica quello che in nessun modo si può recuperare. Purtroppo noi, ma non solo noi, abbiamo cominciato con le discariche. Tra l’altro metà di quelle del Sud non sono a norma, ma anche quelle del Nord in genere sono in regola solo a partire dagli anni 70.Comunque prima si sono fatte le discariche a norma, poi gli inceneritori, poi la raccolta differenziata. Anche con situazioni paradossali. Per esempio la Germania ha costruito molti inceneritori; ma ora che fa la raccolta differenziata quasi al 50%, non ha più roba da bruciare. Per questo prende i nostri rifiuti molto volentieri. Ma oggi lavorano tutti sulla riduzione dei rifiuti: tra l’altro esistono impianti più sofisticati dei Cdr campani, i cosiddetti Tmb, che vuol dire trattamento meccanico-biologico, con cui, anche con un certo intervento manuale, si riesce a recuperare un sacco di materiale. Ci sono ormai diversi impianti dove si recupera quasi tutto. Uno di questi, in provincia di Treviso, il famoso impianto di Vedelago, mitico per tutti gli ambientalisti, recupera assolutamente tutto. Ma parliamo di un posto dove si fa anche il 70% di raccolta differenziata. Non è una questione che dipende dalle dimensioni delle città. Le città medio grandi dove si fa molta raccolta differenziata sono sempre più numerose. Basta impegnarsi. San Francisco, in un anno e mezzo, è arrivato al 60% di raccolta differenziata; insomma non sono cose impossibili. Concludendo, è possibile azzerare i rifiuti: non produrne più. Ci sono le tecnologie, c’è il know-how, e ci sono anche delle esperienze già funzionanti. Ad esempio in Germania o in Austria le bottiglie sono tutte cauzionate: quando compri la birra, anche nei bar, paghi la bottiglia e poi la restituisci. Certo, non è una cosa così semplice, perché dietro ci vuole una logistica ad hoc. In Italia facciamo ancora girare l’acqua minerale dal Trentino alla Sicilia, con delle bottiglie di plastica...