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 2010  ottobre 30 Sabato calendario

L’emigrante in fuga diventato giudice - La festa per il suo 78° compleanno l’hanno organizzata, il 14 ottobre, i suoi studenti della Yale Law School, dove per anni è stato preside e ora è professore emerito

L’emigrante in fuga diventato giudice - La festa per il suo 78° compleanno l’hanno organizzata, il 14 ottobre, i suoi studenti della Yale Law School, dove per anni è stato preside e ora è professore emerito. Pochi giorni dopo, Guido Calabresi, l’illustre giurista d’origine italiana, uno dei fondatori dell’analisi economica del diritto, 40 lauree honoris causa da università di tutto il mondo, nominato nel 1994 dal presidente Clinton giudice alla U.S. Court of Appeals for the Second Circuit, è tornato ancora una volta in Italia, il Paese che con suo padre Massimo, cardiologo, e sua mamma Bianca Finzi-Contini, ebrei antifascisti vicini a «Giustizia e Libertà», dovette lasciare quando non aveva ancora 7 anni. «Partimmo sul Rex, a New York sbarcammo il 16 settembre 1939. Non avevamo un centesimo, finimmo in uno squallido albergo nel West Side. In Italia avevamo lasciato tutto; in valigia io e mio fratello Paul avevamo solo qualche libro e una scatola di Monopoli. Non conoscevamo una sola parola d’inglese; gli altri bambini ci trattavano malissimo. A quei tempi gli emigrati italiani venivano considerati il peggio del peggio», ricorda Guido Calabresi, dal ‘48 naturalizzato americano. «Quando sono stato nominato giudice da Clinton ho voluto giurare il giorno del 55° anniversario del nostro arrivo a New York. Un modo per ringraziare gli Stati Uniti ma anche per dedicare la mia nomina a tutti quelli - profughi, emigranti, gente di colore - vittime di razzismo e pregiudizi». Altro secolo, altri migranti. Cravatta e bottone di Yale, il liberal Calabresi («Sono un patriota molto critico»), di passaggio con la moglie Anne Tayler a Milano, sua perduta città natale («Abitavamo in via Canova; nella nostra casa ora c’è una compagnia d’assicurazioni!»), prima di andare a Firenze dove, nel dopoguerra, ha comprato un appartamento con vista sull’Arno, parla dei suoi tanti progetti futuri. «Come giudice voglio fare una sentenza sulle donazioni dei privati ai partiti, come professore un libro sull’uguaglianza in America alla luce non solo del primo ma anche del 14° emendamento». Quando, prof. Calabresi, scriverà della sua straordinaria avventura? «E’ quello che vorrebbero a Yale. Ma ho qualche dubbio, temo gli esibizionismi». Tempi di auguri e di bilanci. «Grazie a Mussolini - bel paradosso! - ho avuto fortuna sia nel lavoro che nella vita privata. Tra pochi mesi con Anne festeggeremo le nozze d’oro!», sorride Calabresi. Sfoglia, il Grande Vecchio in Law and Economics, alcune pagine del suo album di famiglia. Narra dei felici anni della sua infanzia a Ferrara, della splendida casa Minerbi di sua nonna paterna frequentata anche dal giovane Giorgio Bassani e di un’altra villa vicino a Bologna, l’Uccelletto, dove ogni settembre i Finzi-Contini si ritrovavano dopo la villeggiatura estiva. «Tutto questo ormai non esiste più. Ma "Il giardino dei Finzi-Contini" di Bassani non è la vera storia della nostra famiglia», dice Calabresi. «Mia madre Bianca, che in America si laureò in letteratura comparata, non amava quel romanzo. Non era contenta che Bassani avesse usato il suo cognome. La cosa che più la disturbava è che i Finzi-Contini, malgrado tutto, non si arresero mai. Sono tutti sopravvissuti». Un mondo nuovo, un mondo finito per sempre. «Papà decise di andarsene già nel 1937, dopo l’assassinio dei Rosselli, suoi grandi amici. Per me e mio fratello Paul (in Usa diventerà un noto oncologo) non è stato un grande trauma; i nostri genitori hanno sofferto molto di più. Anche dopo la guerra mamma tendeva a non tornare più in Italia». Nuovo finale per un grande romanzo. «Un giorno, a Firenze, risposi al telefono: era Bassani. Disse d’aver saputo che mio padre era in Italia e se poteva, sulla strada da Roma a Ferrara, passare a salutarlo. Arrivò, la vide. «Sono Bianca Finzi-Contini», si presentò mia madre. Per un attimo, Bassani, tacque imbarazzato. Poi, si ricordò dei suoi studi: «Signora, quel che conta in un libro è solo la qualità letteraria». Mamma sorrise. Si chiuse con Bassani in una stanza e si parlarono per 2 ore».